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Entrata in vigore la riforma della scuola secondaria superiore

Entrata in vigore la riforma della scuola secondaria superiore


Il Consiglio dei Ministri ha approvato, in seconda lettura, i regolamenti per il riordino di licei, tecnici, professionali.

Dopo la registrazione della Corte dei Conti e la firma del Presidente della Repubblica, diventeranno definitivi.

 

I documenti possono essere consultati e scaricati all’indirizzo: Riforma “Gelmini”: il sistema dei Licei

 

Il parere di TUTTOSCUOLA


1. Secondaria. Riforma epocale? Perché sì
«Epocale» è stato l’aggettivo scelto da Mariastella Gelmini per definire la riforma dell’istruzione secondaria superiore varata la scorsa settimana dal Consiglio dei ministri, al termine di una settimana di intensissima attività degli uffici del Ministero, impegnati al massimo nello sforzo di recepire le modifiche tecniche (meglio: tecnico-politiche) chieste dal Consiglio di Stato e quelle politiche (meglio: politico-tecniche) proposte dalle Commissioni parlamentari.
Aggettivo appropriato? Da parte dei fautori della riforma e della maggioranza politica che l’ha sostenuta vengono indicate le ragioni del sì. La principale è quella - già proposta peraltro da Luigi Berlinguer dopo l’approvazione della legge n. 30/2000 sul riordino dei cicli - che fa riferimento al carattere globale del provvedimento: è la prima volta, dopo le riforme Gentile e successori degli anni venti dello scorso secolo, che tutta l’istruzione secondaria superiore viene complessivamente riorganizzata, sia pure a seguito e nel contesto di una legge-madre di carattere finanziario.
Tutti i precedenti tentativi o erano falliti (si ricordano le quattro leggi di riforma approvate da uno solo dei due rami del Parlamento nel 1978, 1982, 1985, 1993) o si erano risolti in una marea di sperimentazioni, a volte promosse e a volte subite dalla Amministrazione centrale, senza un disegno organico: un segno di potenza burocratica (tutto passava attraverso le Direzioni generali) e di impotenza riformatrice (perché comunque le sperimentazioni dovevano fare riferimento alle norme vigenti, invariate da decenni).
Il “contenitore” ora è finalmente cambiato, come osserva Paolo Ferratini, del gruppo del “Mulino” e membro della “cabina di regia” per la riforma dei licei, e da questo punto di vista si può certamente parlare di “svolta epocale”. Ma il successo della riforma dipenderà dai contenuti: una cosa è cambiare l’impianto e un’altra cosa cambiare la testa dei professori e il modo di fare scuola, come osserva Ferratini nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera il 6 febbraio, a riforma approvata.

2. Secondaria Riforma epocale? Perché no
«Qui di epocale c’è solo il taglio dei finanziamenti alla scuola pubblica», è stato invece il commento a caldo del segretario del PD Pierluigi Bersani, «un taglio che ci allontana dall’Europa e nega pari opportunità di vita, di educazione e di lavoro ai ragazzi e alle ragazze del nostro Paese».
Un giudizio particolarmente duro da parte del leader del PD, che da ministro del governo Prodi promosse il rilancio su basi autonome dell’istruzione tecnica e professionale, che la riforma Moratti aveva licealizzato: una misura avallata e portata a compimento dall’attuale ministro Gelmini, e che sembrava aver stabilito un minimo terreno di dialogo tra gli schieramenti.
In un certo senso, limitatamente alla questione dei tagli (del bilancio, degli organici), il giudizio di Bersani è corretto: è la prima volta nella storia della scuola italiana che si verifica una così consistente, “epocale” riduzione delle risorse finanziarie e umane destinate al sistema pubblico di istruzione, che erano sempre andate crescendo con tutti i governi.
La stessa valutazione di “epocalità” si può dare anche per la riforma? Difficile dire: dipenderà dalla sua attuazione e dai risultati che raggiungerà nel medio-lungo periodo. Stando ai soli ordinamenti, sarebbero state più “epocali” le riforme di Berlinguer (primo ciclo di 7 anni, modello panlicealista) o quella iniziale della Moratti (secondo ciclo di 4 anni, due canali di pari dignità). In fondo la riforma Gelmini torna alla classica tripartizione dell’istruzione secondaria superiore italiana nelle aree liceale, tecnica e professionale, assegnando a quest’ultima una funzione sussidiaria e complementare rispetto al sistema regionale di istruzione e formazione professionale.
Molto, quasi tutto, dipenderà dalla qualità degli insegnanti, dalla chiara definizione degli obiettivi di apprendimento (al di là degli sterminati elenchi di “competenze”), dall’efficacia dei sistemi di valutazione e della valutazione di sistema. E dalla disponibilità di risorse fresche da destinare per intero all’innovazione e al miglioramento dei livelli di apprendimento degli alunni.

 

3. Secondaria Taglio di 7 mila posti
Gli schemi iniziali dei regolamenti, approvati tra maggio e giugno 2009, prevedevano, come si sa, l’avvio della riforma anche per il secondo anno di corso per tutti, ma la critica generalizzata a questo doppio avvio ha convinto il ministro Gelmini a desistere, limitando l’avvio al primo anno.
Chi, invece, non era disposto a desistere era il ministero dell’economia che dal minor orario (= minor docenza) delle seconde classi aveva programmato un cospicuo risparmio di risorse.
Per non incorrere nella clausola di salvaguardia, il Miur ha dovuto trovare altre risorse a compensazione e lo ha fatto riducendo gli orari delle classi successive alla prima (quinte escluse) per i Tecnici e l’orario delle seconde e terze per i Professionali (i Licei sono salvi), con effetto immediato da settembre.
A dir la verità la riduzione dell’orario sulle classi non a riforma era già stato previsto nello schema iniziale, ma per i tecnici, per stare nei conti, il giro di vite è stato maggiore.
Per le classi dei tecnici si passerà dall’orario medio settimanale di 36 ore a 32 ore (sono interessate quasi 24 mila classi), con una conseguente riduzione di docenza pari a circa 5.300 posti di docente (senza contare anche i 400-500 posti di insegnanti tecnico pratici).
L’operazione dimagrimento per i professionali interesserà circa 10.800 classi: per le seconde si passerà dall’orario medio settimanale di 36 ore a 32, per le terze da 36 a 34 ore. La conseguente riduzione oraria dovrebbe determinare un minor fabbisogno di docenza pari a circa 1.800 posti (senza contare anche un centinaio di posti di insegnanti tecnico pratici “a registro”).
Complessivamente, quindi, i posti di docenza nelle classi intermedie dei tecnici e dei professionali si dovrebbero ridurre di oltre 7 mila posti. A questi sono da aggiungere almeno 500 posti degli insegnanti tecnico pratici.
Si tratta di stime da verificare con le determinazioni dei nuovi organici che il Miur si prepara a definire per il prossimo anno scolastico.

 

Il parere di DIESSE - Didattica e Innovazione Scolastica Centro per la Formazione e lAggiornamento

 
Riforma della Scuola superiore: la battaglia per le Scienze integrate
La materia “Scienze”, nella duplice versione “Scienze naturali” (Biologia, Chimica e Scienze della Terra) e “Scienze integrate” (Scienze della Terra, Biologia, Fisica e Chimica), sembra uscire dalla contesa riguardante il peso delle discipline di studio nei nuovi quadri orari della riforma della scuola secondaria superiore (licei, tecnici, professionali) con aria da vincitrice.
Di fatto, le Scienze naturali si studieranno nei licei, con l’eccezione dell’artistico e del musicale - coreutico, per cinque anni di seguito.
Nei tecnici e nei professionali abbiamo le Scienze integrate nell’area comune (2 ore settimanali) e poi di nuovo le Scienze integrate, distinte però in Fisica e Chimica (3 ore+3ore, di cui 2/3 in compresenza) negli indirizzi del biennio. Questa soluzione tuttavia non piace per niente agli addetti ai lavori che, mediante un documento congiunto delle Società e Associazioni dei fisici e dei chimici, ritengono che l’integrazione delle Scienze al livello formativo, cioè il compattamento in blocchi più o meno omogenei, «neghi di fatto all’insegnamento scientifico la possibilità di svolgere un compito significativo nella formazione culturale degli studenti e impedisca alla scuola di dare ai cittadini gli strumenti idonei per assumere decisioni consapevoli in una società fortemente tecnologica quale la nostra». Da qui la richiesta di mantenere distinti gli insegnamenti scientifici.


La scelta di chi ha redatto i nuovi ordinamenti e i nuovi quadri orari ha, ovviamente, una sua giustificazione
Scriveva Alberto De Toni, che presiedette la Commissione istituita dal ministro Fioroni per il riordino degli Istituti tecnici e professionali: «In realtà le scienze della natura, le scienze della vita e le scienze socio-economiche sono interconnesse in una logica di emergenza dal basso, per cui dove termina la comprensione di una disciplina inizia la comprensione di un’altra. Nel nuovo paradigma della complessità le diverse discipline non sono posizionate secondo una piramide gerarchica, ma si presentano come un sistema a rete. Le più recenti ricerche sulle modalità di funzionamento dei nostri processi cerebrali individuano la natura costruttivistica e sociale del conoscere. La percezione umana appare immersa nella dinamica dell’azione, per cui esiste un nesso assai stretto tra percezione, azione e progetto».
Gli stessi concetti sono riportati nel documento su: “Persona, tecnologie e professionalità - Gli Istituti Tecnici e Professionali come scuole dell’innovazione”, pubblicato il 3 marzo 2008 dal Ministero della Pubblica Istruzione, che costituisce la base teorica dell’operazione:
“La revisione critica dell’approccio riduzionista si è sviluppata in questi ultimi decenni con riflessioni provenienti dalla teoria della complessità assunta come paradigma. Il concetto teorico che le compete non è più il riduzionismo ma l’“emergenza”. Un sistema complesso è composto da un gran numero di elementi che interagiscono fra di loro; la loro interazione genera dinamiche d’insieme profondamente diverse da quella delle parti costituenti. Lo studio dell’emergere di queste nuove proprietà richiede un nuovo approccio scientifico, il che rompe i confini tradizionali fra le scienze. La sfida che la complessità prospetta alla scienza è soprattutto quella di esplorare e sviluppare il territorio dell’interdisciplinarità, della multidimensionalità del reale, della complementarietà dei saperi. Nel nuovo paradigma della complessità, le diverse discipline si presentano come un sistema a rete, con correlazione e nodi multipli. In questo modo vengono superate tutte le chiusure disciplinari, tutte le dicotomie che finiscono per paralizzare la ricerca e per impedire la comprensione e la trasformazione della realtà".
L’esempio delle Scienze integrate dimostra che nella “Riforma Gelmini” sono confluite diverse suggestioni di stampo pedagogico, tali da non rendere per nulla neutro il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento. Chi si incaponisse sull’allarme per la riduzione delle ore di lezione (il dimagrimento c’è per tutte le materie) e quindi delle cattedre (improbabile se le scuole riescono a conservare gli organici d’istituto) dimostrerebbe (come, di fatto, spesso avviene) di non rendersi conto che qualcosa si muove più in profondità.
Il fronte culturale sta altrove e passa per i tecnici e i professionali. Qui si gioca un’impostazione non solo didattica, ma relativa al modo di introdurre i ragazzi alla realtà attraverso la disciplina.
Sul versante strettamente operativo la scelta fatta dagli estensori dei nuovi quadri orari è quella di “unire per distinguere”, poiché, pur inglobate nell’unica denominazione di “Scienze integrate”, la Fisica e la Chimica restano distinte. Potrebbe essere, quest’ultima, un’indicazione di modello in cui convivono integrazione e specificità.
È vero anche che molti interrogativi rimangono aperti (per es. sull’uso del “costruttivismo” nell’insegnamento) e che solo l’esperienza dei docenti, sul campo, potrà portare contributi davvero “costruttivi”.

 

Il parere delADI  - Associazione Docenti Italiani


Non una riforma epocale ma la fine di unepoca

La Presidente dell’ADi, Alessandra Cenerini, commentando l’approdo della lunga navigazione della riforma della scuola secondaria superiore, ha affermato che non si tratta di una riforma epocale, secondo la definizione del ministro, ma sicuramente di una riforma che chiude un’epoca, quella delle sperimentazioni incontrollate che avevano condotto a 683 corsi sperimentali e a 88 progetti assistiti, che si aggiungevano ai 97 percorsi ordinamentali.
Un po’ di ordine viene fatto, ma non c’è il nuovo all’orizzonte. C’è piuttosto un riassetto che si si carica del fardello dei difetti di questi ultimi 30 anni, durante i quali le sperimentazioni hanno avuto un consenso quasi unanime perché si sono sviluppate lungo 3 direttrici ampiamente popolari:
1) l’aumento delle discipline,
2) il correlato aumento dell’organico,
3) la possibilità per le scuole di fare marketing presso genitori e studenti con una cornucopia di offerte, attraverso i due istituti dell’ autonomia e della sperimentazione.
La possibilità per una riforma di partire su basi nuove avrebbe dovuto fondarsi su una valutazione rigorosa di almeno 3 punti strategici:
1) l’efficacia dei percorsi curricolari rispetto all’inserimento nella vita attiva,
2) l’efficacia dei percorsi curricolari rispetto agli studi universitari,
3) il “valore aggiunto” o meno della scolarizzazione fino a 19 anni.
Così non è stato.
Ora la preoccupazione più forte rimane per gli istituti professionali, che avevano bisogno di un profondo riordino, di semplificazione dei curricoli, di forti iniezioni di cultura del lavoro, di accorciamento degli anni di scolarizzaione, di progressiva unificazione con la formazione professionale. Invece a fianco di un’omologazione agli Istituti Tecnici, non c’è ancora stato con le Regioni nessun accordo per le nuove qualifiche triennali e i nuovi diplomi quadriennali.
Alessandra Cenerini conclude auspicando che nei prossimi 5 anni, lungo i quali la riforma andrà a regime, si sviluppino idee e si generino la forza e la volontà di innovare, senza rivendicare nuove “organiche” riforme ordinamentali, che farebbero per l’ennesima volta azzerare il processo.


I testi approvati non ancora completi
La riforma varata dal Consiglio dei ministri nella seduta del 4 febbraio 2010 non appare ancora integralmente definita.
Nei documenti pubblicati dal MIUR non compaiono infatti i Regolamenti per nessuno dei 3 settori (Licei, Tecnici e Professionali), quello dei Licei è reperibile in versione ufficiosa sul sito ADi. E soprattutto non è ancora dato sapere quale sarà la riduzione ventilata per le 2^, 3^ e 4^, di cui riferiamo sotto, e quindi come saranno costruite le cattedre!
Si vuole sperare che il senso di responsabilità prevalga e si parta solo con le prime classi.

 

Licei
• Il liceo artistico articolato in prima lettura in tre indirizzi, ne assumerà 6 per facilitare la confluenza degli attuali istituti d’arte (arti figurative; architettura e ambiente; audiovisivo e multimedia; design; grafica; scenografia).
• Nel liceo scientifico l’opzione “scientifico-tecnologica” è diventata di “scienze applicate”.
• Nel liceo delle scienze umane viene potenziata l’opzione “economico-sociale”.
• E’ previsto, rispetto al precedente Regolamento, un contingente di organico per potenziare gli insegnamenti obbligatori e/o attivare ulteriori insegnamenti.
• Viene respinta la richiesta del Consiglio di Stato di ricorrere a Regolamenti per gli atti successivi e si mantiene fermo il ricorso a decreti del ministro.
• Si accoglie invece il rilievo sui dipartimenti e il comitato scientifico resi “possibili” ma non “obbligatori”. Un’occasione mancata!
Per quanto concerne le modificazioni orarie rimandiamo agli specifici documenti pubblicati sul sito ADi.

 

Istruzione tecnica e professionale
Si chiarisce, senza lasciar dubbi, che sia per i Tecnici sia per i Professionali le ore di lezione sono da considerarsi di 60’, a significare che per gli studenti l’orario effettivo di permanenza a scuola non viene diminuito.
Tutti gli istituti praticavano infatti la riduzione dell’ora di lezione a 50’ (50’X 36 lezioni settimanali = 1800’ = 30 ore effettive di lezione, ora l’orario settimanale sarà di 32 h.). Ciò che cambia è evidentemente la distribuzione dell’orario delle discipline che comporta una diminuzione di cattedre.
Nell’incontro con le OOSS il 3/02/10, il Sottosegretario Pizza ha dichiarato che:
• negli Istituti Tecnici, pur applicando i nuovi modelli orari e ordinamentali solo nelle prime classi, già nell’a.s. 2010/11 nelle classi 2^, 3^ e 4^ si adotterà l ’orario a 32 ore settimanali piene ad ordinamenti vigenti. Il criterio nella costruzione delle cattedre sarebbe quello di diminuire le discipline con un carico orario pari o superiore a 99 ore, ma nessuna disciplina dovrebbe essere ridotta più del 20%.
• Negli Istituti Professionali, le classi 2^ e 3^ per l’a.s. 2010-11 dovrebbero avere un orario pieno di 34 ore ad ordinamenti vigenti. Inoltre, considerato il ritardo nella formalizzazione delle nuove 21 qualifiche professionali (concordate in Conferenza Unificata ma ancora non ufficializzate e attualmente sospese a causa della scadenza elettorale), ci sarà un ampio regime surrogatorio con la prosecuzione automatica delle attuali qualifiche triennali statali. Il passaggio al nuovo ordinamento sarà regolato da Linee guida.

Sul sito il testo integrale

 

Il parere della Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL


Regolamenti della scuola superiore: azzerate le sperimentazioni ed il loro portato innovativo
Dalla lettura dei regolamenti approvati dal Consiglio dei Ministri (non ancora definitivi perché in attesa della certificazione del Ministero dell’Economia), è confermato in modo inequivocabile che tutte le sperimentazioni in atto saranno azzerate a partire dalle prime classi, dato l’avvio del nuovo ordinamento.
Non abbiamo mai negato l’esigenza di ridurre e razionalizzare la pletora di indirizzi, spesso simili tra loro, che in tanti anni si sono accumulati e affastellati negli indirizzi della secondaria superiore.
Ma abbiamo anche da tempo posto l’esigenza di una valutazione, esplicita, di queste esperienze che comunque in tantissime situazioni hanno consentito a questo segmento del nostro sistema di istruzione di reggere la sfida dei cambiamenti, a fronte dell’immobilismo della politica.
Andavano valutate le sperimentazioni, per poter portare a sintesi e a sistema i risultati positivi di un lavoro che, soprattutto nella sua fase iniziale, è stato portato avanti, a titolo quasi sempre volontario, da tanti docenti e dirigenti che credevano nella scuola pubblica e nella sua qualificazione.
Un lavoro che fa si che ad oggi in molte realtà territoriali ci siano interi istituti di scuola secondaria superiore integralmente sperimentali, che hanno fatto la storia di quei territori, ne hanno significativamente consentito, sostenuto, facilitato anche una qualificazione del tessuto non solo democratico, ma anche economico e produttivo.
Un serio percorso riformatore doveva e deve partire da lì, da ciò che in questi anni la scuola reale ha maturato sul campo, da un processo trasparente di valutazione, sulla base di criteri e indicatori predefiniti.
Nulla di tutto ciò è accaduto.
Nessun coinvolgimento pubblico, trasparente è stato realizzato, neppure pensato né programmato per la definizione dei cosiddetti nuovi ordinamenti che, come noto, nascono da una norma contenuta nella legge 133/08 che ha stabilito, pressoché d’imperio, che la scuola doveva essere tagliata per un ammontare di risparmio pari a 8 miliardi di euro in tre anni.
Nessuna scelta pedagogica, didattica, culturale ma solo ed esclusivamente economico/finanziaria ha avviato questo processo ordinamentale che, non casualmente, si è ben accoppiata all’altra esigenza, tutta ideologica e politica, di questa maggioranza di sostenere le scuole private, cui nessun euro è stato tolto, anzi.
In questo sta il senso “epocale” dell’intera operazione e non ci sembra un valore di cui farsi vanto, visto che la scuola pubblica che ne esce è più povera culturalmente, socialmente più iniqua, nel complesso più precaria e non solo sul versante del personale.
A parte la situazione emblematica del Liceo scientifico tecnologico, che fine faranno quegli istituti interamente sperimentali, che hanno da tempo superato, ad esempio, la distinzione tra licei e istituti tecnici e professionali, con bienni unitari che non hanno penalizzato nessuna scelta successiva di indirizzi marcatamente diversi nei trienni, né l’esito formativo e/o lavorativo successivo?
Che fine faranno quelle esperienze fondate sulla laboratorietà come pratica didattica diffusa e trasversale, a fronte del deciso calo dei laboratori, limitati nella migliore delle ipotesi ai più tradizionali laboratori scientifici?
Con la confluenza forzata nei vari indirizzi previsti dai regolamenti si disperde un patrimonio anche professionale che viene negato, svilito e con esso anche la spinta motivazionale, essenziale nello svolgimento del lavoro docente.