raccolte cd
timberland euro, timberland uomo 6 inch stivali, timberland uomo barca stivali, timberland uomo earthkeepers, timberland uomo euro hiker stivali, timberland uomo nellie chukka, timberland uomo rotolo top stivali, timberland uomo scarpe da spiaggia, timberland donna 6 inch stivali
Franco Mosca

 

Con la scomparsa avvenuta il 31 maggio di Franco Mosca, il “Professor Mosca” che tanti a Pisa, in Italia e nel mondo, conoscevano non solo come grande chirurgo e persona instancabile dalle mille iniziative, ma anche per la sua grande umanità e per l’illimitata disponibilità ad aiutare tutti coloro che a lui si rivolgevano, Pisa perde uno dei tanti “non pisani doc” che più hanno contribuito a farla grande negli ultimi decenni. Particolarmente attento al dolore umano, Franco aveva cercato di alleviare le sofferenze in mille direzioni, con la Fondazione Arpa da lui creata e con molti altri progetti da lui portati avanti con gran vigore (ricordiamo tra l’altro il contributo che aveva dato allo Hospice pisano per i malati terminali, e - nell’ultimissimo periodo della sua vita, quando il male che lo avrebbe portato a morte stava erodendo il suo corpo ma non attenuava certo la sua generosa fantasia – il “Progetto RainboWiFi” messo in atto per far sì che pazienti COVID positivi in isolamento potessero comunicare con i propri cari. Come sottolinea un suo allievo della Scuola Sant’Anna, il Professor Mosca metteva in questo modo “a servizio della cura del paziente, libertà, tecnologia e umanità, come ha sempre fatto nel corso della sua lunga e piena carriera professionale”. Una delle qualità distintive di Franco era proprio la libertà e – con essa – l’insofferenza per tutti i limiti più o meno artificiali che burocrazie e istituzioni ergono contro ogni sforzo teso a rendere migliore, più bello e vivibile il mondo attorno a noi.

 

Se rimarrà a lungo in chi lo ha conosciuto il rimpianto per quest’uomo davvero eccezionale, conoscendo l’amore di Franco per l’arte e – in particolare – per la musica, il ricordo di lui sarà sempre associato alla bellezza della “stagion dei fior” in cui egli ci ha lasciato. NATURALMENTE Scienza ricorda qui Franco con un testo di Antonio Cambi, suo caro amico e attento collaboratore.

  

 

Franco Mosca

Caro Amico...

 

...è stato l’Incipit di un discorso che Franco Mosca iniziava spesso e non completava, al termine di una ennesima iniziativa culturale andata bene, oppure dopo un incontro dove si discuteva qualche nuovo progetto. Quella “dichiarazione di amicizia” in queste due parole lasciava intendere tutto, ma principalmente che quanto facevamo era grazie alla sua amicizia ed agli scopi che condividevamo. La vita passa, il corpo seppur forte e resistente per tanti anni è limitato e vulnerabile.

 

Il tempo è prezioso, la vita è bella. Le idee rimangono.

 

Ciò che mi spinge a scrivere su Franco Mosca è il dovere, visto che rispetto al suo ruolo di medico, di cittadino, di persona attiva non si è mai tirato indietro. Ciò che mi rende timoroso è la preoccupazione di non riuscire a parlare di tutto quello che nella sua vita ha realizzato, rischiando di non mettere in evidenza  parte di ciò che lo ha visto protagonista attivo. Ma se mi è difficile capire tutte le diramazioni del suo pensiero, come ha applicato la sua intelligenza, è più semplice parlare del suo tronco, delle sue radici. Si individuano bene provenendo da una realtà di lavoro dalle regole ferree, da un credo religioso fermo e stabile, da principi su cui fondare una propria famiglia come dovere per dare il personale contributo alla società con figlie e nipoti ben preparati. 

 

E infatti, dopo aver ottemperato al debito di riconoscenza alla sua famiglia che lo ha mantenuto agli studi, dopo la laurea e l’inizio del suo lavoro, il fondare un proprio nucleo è stato per Frmanco un obiettivo primario ed è stato l’ambiente familiare a custodirlo in tutte le fasi della sua esistenza fino al sonno finale. Per noi che in questi tempi ci lamentiamo delle misure anti contagio, dovremmo pensare a questa persona che ha indossato panni sterili per la gran parte della sua vita lavorativa, dopo un attento lavaggio di ciò che poteva portare addosso di contaminante per il paziente sul tavolo operatorio; che ha dato sempre il massimo della sua concentrazione perché consapevole che un suo errore poteva danneggiare anziché salvare il suo malato, e che ha deciso di mettere a disposizione del prossimo l’insieme delle sue conoscenze professionali, le amicizie ed i rapporti sociali, la sua sete di cultura per realizzare scopi dentro le realtà più difficili del mondo intero.

  

Il ruolo di crescente rilievo scientifico lo ha portato ad organizzare eventi congressuali di grande spessore, contando spesso su realtà che lo hanno visto crescere in professionalità e prestigio. Il rapporto con la gestione della clinica San Rossore e del Green Park Resort di Calambrone, ha reso possibile due eventi a cui ho partecipato personalmente, di importante rilievo internazionale e nazionale: il congresso mondiale sul cancro del pancreas ed il congresso della Società Italiana dei Trapianti d’Organo. Naturalmente nel complesso di una vecchia colonia marina ben restaurata e modernizzata, non mancava certo il teatro. Il programma sociale previde degli spettacoli di accoglienza un po’ particolari: oltre agli artisti testimonial di “Arpa”, gli spettatori videro sul palco pazienti trapiantati che mostrarono ciò che con la musica,  la danza, la poesia aveva fatto loro riprendere  il percorso nella vita di tutti i giorni,  dopo un lungo iter di cure per la grave minaccia alla loro salute.

  

 

Poster per raccogliere i fondi per la fondazione ARPA destinati alla promozione della ricerca e la formazione medico sanitari

 

Ampliandosi sempre più l’ambito d’intervento della Fondazione Arpa, i limiti mondiali divennero sempre meno limiti per arrivare ad una globalizzazione degli interventi e delle finalità. Con un paragone efficace, mi spiegò che era rimasto impressionato da una diapositiva in cui in una cartina panoramica mondiale, la zona blu rappresentava le terre, le nazioni in cui non vi era nessuna assistenza sanitaria. Bisognava lavorare per “ridurre la zona blu!”. Un lavoro da niente!!! Una espressione così decisa detta in quell’intervallo di tempo, terra di nessuno , verso le 14 nel suo studio a Cisanello, dopo che la mattina lo ha visto di turno in corsia, sala operatoria, ricevimento pazienti come un fuoco di fila. Gli altri sono spariti a mangiare, i pazienti ed i loro familiari sono rientrati, qualche medico si aggira ancora tra uffici e corsie, restano ancora le segretarie ormai votate a quel compito. Ma nel pomeriggio sarebbero tornati… persone e problemi.

 

Oltre a tener testa agli impegni organizzativi e professionali che svolgeva con la Segreteria di Cisanello (“Mi chiami ... mi passi ...”) che gli consentivano di passare dalla fase progettuale a quella fattiva, realizzativa, Franco Mosca ha mandato avanti iniziative editoriali che rendevano onore ai collaboratori preziosi della sua attività di chirurgo: “Trapianti” o “Infermieri” sono libri che affidano alla fotografia la comunicazione al pubblico di ciò che è il mondo dietro il limite invalicabile delle sale operatorie e delle terapie intensive, o della solitudine di una stanza in cui un paziente attende l’intervento che cambierà il suo destino. È sempre stato presente il segnale di gratitudine che Franco ha riservato ai coadiutori della sala operatoria, capaci di intuire ciò che si svolgeva al tavolo e di preparare i passi successivi, così come gli infermieri che passavano la maggior parte della giornata in corsia con i ricoverati, ricevendone le angosce e le speranze.

 

Il protrarsi con le cure dei casi più gravi, lo ha fatto imbattere nella necessità delle cure palliative, gli Hospice, in cui rendere dignitosa la vita rimanente a pazienti segnati nel destino dalla loro malattia, o quelli in  cui il dolore diventa il problema principale superiore a quello dovuto alla malattia. Anche a questi problemi, per la maggior parte insolubili, Franco ha cercato di dare una risposta con tutte le forze del suo staff e della Fondazione messe a disposizione di queste persone, allo scopo di mantenerne non solo la salute ma anche la dignità. Se i risultati terapeutici non sono stati efficaci, certamente le esperienze sono state formative per il personale medico ed infermieristico cui è sarà affidato il compito futuro di curare. 

 

 

Infine la Robotica, l’ambito in cui ha ritenuto di poter raggruppare tutte le sue conoscenze in ambito scientifico, istituzionale ed imprenditoriale dando vita ad un Festival e impegnandosi a seguire le iniziative che applicavano questi concetti al nostro vivere sociale.

 

Per la medicina mi rivelò la grande importanza che attribuiva alla simulazione robotica per la formazione chirurgica, come un metodo per incrementare l’efficacia e diminuire la durata dell’alta specializzazione in chirurgia. Operativamente vedeva realizzabili progetti per far agire strumenti chirurgici teleguidati in paesi e continenti distanti. Servizi distanti anni luce dalla vecchia clinica chirurgica del suo maestro, Mario Selli. 

 

Fino a qui ho descritto ciò che in modo costante, puntuale, preciso ho conosciuto nella vita di Franco, dedito a una mission che la cultura pensava a tenere assieme, tra arte medica e solidarietà umana. Un percorso di lavoro continuo, interrotto da qualche rara vacanza in luoghi tranquilli, dove poi bastava la linea telefonica o internet per farlo rituffare nel mare magnum di iniziative. Iniziando il mio rapporto con lui da una sera a Volterra, dove vennero portate le panchine, cioè gli oggetti della mostra “I sedili di pietra”, nell’estate 2003, quando la signora Palmira mi introdusse a questo personaggio straordinario, passo a questi ultimi sei mesi, che hanno voluto dire il periodo tra il suo verdetto e l’esecuzione, cioè la diagnosi e l’epicrisi. Ripensando a questi sei mesi, e quindi alla presa di coscienza del suo male, ho esaminato le nostre ultime occasioni di contatto. A fine novembre 2019 io ho avuto un serio problema di salute, che ha rivelato una situazione minacciosa alle mie coronarie. Naturalmente lo avvertii così come aveva voluto essere aggiornato, , in tempi passati, della salute dei miei genitori o di amici comuni. Dopo due settimane mi telefonò per aggiornarsi e gli risposi che stavo andando a incontrarmi con la redazione del “Rintocco del Campano” per fargli capire che stavo prendendo le misure per poter mettermi in sicurezza dal mio male e nello stesso tempo poter proseguire i miei impegni, nell’ambito istituzionale in cui lui stesso mi aveva indirizzato. Fu soddisfatto e rassicurato dalla mia risposta. Fu il Franco di sempre, non lasciando trasparire niente di ciò che stava iniziando a minarlo. Per Natale, e successivamente per Pasqua, ci sentimmo telefonicamente per scambiarci gli auguri come puntualmente facevamo da anni. Materialmente lo rividi alla riunione della Associazione Laureati Ateneo Pisano, il 27 gennaio, Giorno della Memoria, e come sempre egli fu la “coscienza” della nostra associazione, uno dei membri più anziani, a intervenire in modo puntuale e lucido su argomenti così vasti quanto spinosi: statuto, privacy etc. etc.

 

Sembrava tutto come sempre, anche se le difficoltà a muoversi non si esprimevano sonoramente ma con le piccole smorfie ogni volta che appoggiava il piede nel cammino o cambiava posizione.

 

Il salto sulle notizie di Franco arriva a ieri quando ho saputo del male che l’ha portato a morte dall’unica persona che ha condiviso sia la comunicazione della diagnosi che l’exitus. Ho pensato subito alle sue frasi pubblicate dalla Fondazione Arpa con la sua firma, subito dopo la sua scomparsa, come un testamento morale e come ultime volontà. Ritengo in genere  un testamento un atto coraggioso, di chi da una parte accetta il suo destino, qualunque esso sia, e dall’altra vuole che le cose cui si è maggiormente creduto continuino oltre la propria vita. Franco non ha intrapreso alcuna cura, ben consapevole che sarebbe stata inutile, aspettando di iniziare un lento ma progressivo sonno, che lo avrebbe fatto giungere in modo morbido al trapasso. Personalmente ho concluso, che se c’è un corpo che non risponde più a quello che vorrebbe la mente, una decisione come quella di Franco aumenta il valore che va dato alla vita fino a che questa sia possibile, e questo obiettivo deve essere perseguito con la cura della parte organica ma nel rispetto della mente e dei sentimenti. In questa circostanza ho trovato similitudine in Andrea Bocelli, con il padre gravemente malato ormai in coma, quando andò a cantare in Vaticano per l’inizio dell’Anno Giubilare 2000. La vita è da coltivare fino a che c’è.

 

In questo modo, rimanendo nella propria casa e circondato dai suoi affetti familiari, Franco non è stato di peso a nessuno. Si è immerso nella nebbia cui ci ha costretto l’isolamento sociale imposto dalla pandemia del COVID, e appena la nebbia si sta diradando scopriamo di aver perso principalmente un amico, un grande amico.

 

A Campo di San Giuliano la distanza tra la casa in cui abitava con le sue figlie, generi e nipoti, con quel giardino in cui teneva i vasi di limoni o faceva decollare gli aquiloni dei nipoti, è a un passo dalla Chiesa che è stata di Don Mirio Coli, un sacerdote di cui Franco ha raccolto gli aneddoti e pubblicato come memoria di un periodo di dopo guerra molto travagliato nel sotto monte pisano. Dopo la fila dei tanti amici, dai volti resi anonimi dalla mascherine, accanto alla bara davanti all’altare, ho incontrato Giuse, cioè la moglie Giuseppina, la persona che gli è stata accanto e che –  conoscendolo e amandolo – è riuscita a mettere sempre Franco nelle condizione di realizzare sé stesso e di rendersi utile agli altri. Si dice che accanto a un grande uomo c’è sempre una grande donna. Non si dice come la grande donna riesca nell’intento di adattarsi sempre ad ogni situazione, come Giuse sia riuscita con Franco lo sa solo lei. La sua grande religiosità e la fede che la facevano accompagnatrice di tanti pellegrini a Lourdes, me l’ha fatta conoscere come una persona che, dovendo sempre portare conforto agli altri, era capace sempre di trovare una preziosa frase di circostanza. Mi spiegò una volta che una suora le aveva detto che quando un moribondo, qualsiasi età abbia, nel suo delirio affettivo chiama la mamma, è questa che lo viene a prendere per portarlo nell’aldilà. Ho chiesto a Giuse se Franco aveva chiamato la mamma e mi ha risposto “Ha chiamato il padre, papà, ma sono sicura che è stata la Mamma Celeste a venirlo a prendere”.

  

Questo è stato per me Franco e le persone che lo hanno amato, avendo avuto la fortuna di essere ammesso alla sua casa dopo essere entrato nell’ambito delle sue Associazioni. Ritenendomi di essere uno dei nominati del suo testamento morale, il compito non finisce con lui, ma inizia o continua. 

  

Antonio Cambi 

 

 

Una breve biografia  di Franco Mosca è sul sito dell’Università di Pisa: Ateneo e Aoup piangono la scomparsa del professor Franco Mosca