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Marcello Buiatti

Marcello Buiatti ricordi di Marco Buiatti Ω Elena Gagliasso Ω Vittorio Cogliati Dezza Ω Il ricordo: Un'eredità verso il futuro Ω La risposta della Scienza al razzismo Ω Manifesto degli scienziati antirazzisti

 

 Un articolo di Marcello Buiatti per gli auguri a NATURALMENTE per il suo primo decennale

 

 

 

A glezele l’chaim! Un bicchierino alla vita!
 
Cosi’ voglio salutare mio babbo
 
Marcello Buiatti, che non perdeva mai occasione di inneggiare con questo brindisi alla vita, anzi si correggeva sempre, alle vite, che per lui includevano gioiosamente oltre a noi umani tutto il mondo animale e vegetale fino ai batteri, senza soluzione di continuià.
 
Mio babbo è nato segnato dalla storia, uno scampato alla Shoah, e grazie all’amore e all’investimento dei miei nonni ha trasformato questo fardello in una vita rivolta verso il mondo con infinita curiosità e volontà di farne parte, coniugando sempre il suo appassionatissimo lavoro di scienziato genetista con l’impegno costante, una missione, per guidare e raccontare l’impatto della scienza sulla società e sulla natura nelle vesti di ambientalista e divulgatore.
 
E come non ricordare il suo impegno coraggioso (con il grande spavento di mia nonna, ebrea, che non voleva che si esponesse!) contro i conflitti, il razzismo, il fascismo (fiero presidente ANPI di Pisa), culminato con il Manifesto Antirazzista di San Rossore del 2008 che ha ideato e coordinato, la risposta migliore che potesse dare alle leggi razziali che ha subito da piccino.
 
Per mia enorme fortuna, mio babbo ha cercato e trovato come compagna di vita una donna splendida e ugualmente valorosa, mia mamma Anna con cui ha condiviso tutto, sentimenti, godimento delle gioie della vita e coinvolgimento nella società. L’amore di mio babbo per mia mamma era una certezza incrollabile nella sua vita, e il vuoto che lascia in lei, che ha dato sempre tutta sè stessa per farlo star bene fino all’ultimo, sarà quello più difficile da colmare.
 
E infine mio babbo era il mio babbo, dolcissimo, tattile, paziente e ottimista, quello che quando ero bambino mi faceva passare il mal di pancia posandoci sopra la sua manona calda, quello che cercava sempre occasioni goduriose per stare insieme in una simbiosi speciale babbo-figlio, quello che mi ha aperto tutte le porte che conosceva per aiutarmi a trovare la mia strada, quello che ha accolto con grande gioia mia moglie Manuela e gli adorati nipoti Leone e Nina, con cui ancora questa estate scherzava con gusto.
 
Un bicchierino a te, caro babbo, farai sempre parte di me e di noi.
 
Un ricordo speciale alla memoria di sua sorella Eva e di suo cugino Alfred, che amava immensamente.
 
PS Vista l’emergenza sanitaria, la cerimonia funebre si tenuta in forma strettamente familiare. Troveremo nel futuro un modo di commemorarlo insieme alle tante persone che gli hanno voluto bene.
 
 


 

 

Siamo vivi perché diversi avvolti in un benevolo disordine

 

Addio a Marcello Buiatti, il genetista che combatté il fascismo e difese l’ambiente con la scienza


Il Manifesto


Elena Gagliasso

 

Marcello Buiatti  

Marcello Buiatti ora non c’è più e le tante nostre vite di cui ha fatto parte negli anni restano orfane. Voglio allora ricordarlo per quanti di noi hanno condiviso pezzi di strada con lui e incuriosire chi non l’ha mai incontrato e non lo potrà più incontrare di persona.

BIOLOGO GENETISTA evoluzionista, per lui l’amore per la ricerca non era che la forma più concreta che assumeva il suo amore per la vita. Tutta la vita che brulica nel mondo, anzi tutte le vite colte nel loro «benevolo disordine», come scriveva, così differenziate, imprevedibili, resilienti, e ciascuna composta di altre. Uno «stato vivente della materia» (dal titolo del suo libro del 2004, antesignano di una nuova biologia), incomprimibile in omologazioni, irriducibile ai suoi componenti additivi. E in cui ogni singolo essere in realtà non è tale, preso com’è sempre in relazioni reciproche con altri. Poco conosciamo il ruolo del contesto, dei microambienti, dei nostri coabitanti, delle cooperazioni tra specie diverse e lontane tra loro, diceva: le vite sono «multiversi» (siamo «vivi perché diversi», suo leitmotiv) e sono, materialmente, il prodotto di ciò che fanno al loro mondo.

 

E AVEVA RAGIONE. Lo si sta capendo meglio ora tra gli studi rivoluzionari sulle reti nella vita vegetale, quelle sui mondi batterici dei simbionti nei nostri corpi, sull’ecologia evoluzionista in trasformazione, mentre verifichiamo oggi sulla nostra pelle le nostre responsabilità per le fratture operate sulle reti vitali degli ecosistemi, mentre cambia soprattutto nelle ultime generazioni il modo stesso di sentirsi parte nel mondo vivente, accomunati a molte specie a rischio.

Ma lui lo diceva a partire dagli anni ’70 -’80 del secolo scorso, quando ancora tutto ciò era ardimentoso. Di fronte a una genetica molecolare riduzionista e al selezionismo allora egemoni, metteva a germogliare in Italia l’ambientalismo scientifico, in tensione tra ragioni della salute e quelle del lavoro (presiedeva l’Associazione Ambiente e Lavoro, fondava il Comitato scientifico di Legambiente). Si sarebbe poi attirato inimicizie sulle questioni delle sementi ingegnerizzate, con la sua pacata e ferma battaglia contro i brevetti (così profondamente anti-etici nella ricerca) o sulla responsabilità delle multinazionali nel degrado degli ambienti e con la critica dell’omologazione delle nostre vite alla sovranità della finanza virtuale.

Era però in buona compagnia. Dei grandi biologi marxisti anglosassoni gli erano stati maestri nella sua formazione giovanile in Inghilterra, aveva lavorato nella Cuba rivoluzionaria, a ciò era poi seguito lo scambio con «i compagni» di Science for the People negli anni ’90.

 

FISICI ED EPISTEMOLOGI nuovi erano (eravamo) con lui in una consonanza profonda in Italia. Come il suo grande amico Marcello Cini con cui ha condiviso battaglie scientifiche, culturali, ambientaliste e politiche, da ultimo quella sui beni comuni, o come, proprio negli ultimi anni, il fisico dell’École Normale di Parigi, Giuseppe Longo, con cui confrontava simmetrie e caso in biologia e in fisica, secondo quella curiosità del nuovo che sempre, anche in tarda età, aggiunge vita alla vita.

Così Buiatti, metteva insieme il suo entusiasmo curioso nel battere piste, oggi diventate mainstream, la sua intensa passione per le relazioni umane, il suo antifascismo di lunga data. Che partiva da un’infanzia di bimbo ebreo in fuga, passava per la militanza marxista nelle varie reincarnazioni della sinistra italiana, la direzione dell’Anpi toscano, il «Manifesto degli scienziati antirazzisti» scritto a più mani nel 2008, fino al suo costante testimoniare nelle scuole il Giorno della memoria, sempre con l’idea che al vertice dell’insegnamento stanno le scuole elementari.

Il genetista eterodosso Buiatti, l’uomo gentile, sorridente e ardente di passione per la vita, il compagno antifascista e l’ambientalista, maestro e amico, che resta dentro a chi con lui ha vissuto imprese grandi e piccole, l’ha attraversata bene questa sola vita che ci è data. L’esempio suo di stile conoscitivo, politico e umano si proietta ora nel futuro. Uno stile di coerenza ed eleganza, ormai direi anche «filosofico» che ci può aiutare a orientarci in un difficile presente, a nostra volta raccogliendo il suo lascito per i più giovani.

 



 

Addio a Marcello Buiatti, lo scienziato che sapeva parlare a tutti

 

Genetista e  divulgatore, è stato tra i fondatori dell’ambientalismo scientifico

 

Huffpost

 

Vittorio Cogliati Dezza

 

Marcello Buiatti  

Marcello Buiatti ci ha lasciato. Scienziato di fama mondiale, è stato uno dei fondatori dell’ambientalismo scientifico.

Era professore ordinario di genetica all’Università di Firenze, ma la sua figura non ha nulla di “ordinario” fin dalla prima infanzia, quando lui, di famiglia ebrea, fu salvato dai rastrellamenti nazisti del ’43 da un prete ?orentino che l’aveva nascosto. Da lì la sua vita è trascorsa tra ricerca scientifica e impegno politico e sociale, trovando nell’ambientalismo un punto di sintesi.

Tra i più giovani di una generazione pionieristica di fisici, medici, biologi, ingegneri, filosofi che hanno tracciato i fondamentali dell’ambientalismo italiano, Marcello era uno scienziato rigoroso che ha rifiutato di chiudersi nella cittadella del sapere, mettendo a disposizione di movimenti sociali e culturali le sue competenze.

Ha dato un grande contributo alla costruzione del bagaglio culturale dell’ambientalismo scientifico per contrastare quella cultura e quella ideologia che vuole l’economico dominante sulle leggi della natura. Un principio che è alla radice della crisi climatica e dei tanti guasti ambientali a cui abbiamo dovuto assistere in questi anni. La sua battaglia culturale ha mirato a spostare l’attenzione sui sistemi viventi e sull’evoluzionismo, per andare oltre i confini culturali del Novecento e collocare l’uomo dentro un complesso sistema di relazioni sociali ed ecologiche, dove la diversità è la garanzia della capacità di resilienza. Precorrendo quell’ecologia integrale ripresa poi da Papa Francesco nella Laudato sii.

Marcello sapeva che i guasti ambientali derivano dal voler trattare la natura come se fosse una macchina. Ma macchina e natura non sono assimilabili. “Se togliamo a un’automobile una ruota”, scriveva a fine anni Ottanta, “l’automobile non si può usare più, ma gli altri pezzi non cambiano in alcun modo. Basta infatti che rimettiamo la ruota perché l’automobile funzioni come prima”. Gli esseri viventi sono diversi “non solo non sono prevedibili ma si nutrono, vivono di imprevedibilità, di casualità, di invenzione”.

 

Forte di queste motivazioni, Marcello Buiatti è stato anche un grande divulgatore, per provare a scardinare le banalità prescientifiche troppo diffuse nella nostra società. Lo ha fatto nelle sedi istituzionali, con gli insegnanti e, soprattutto, collaborando con le associazioni, come Legambiente, di cui è stato da sempre socio e membro del Comitato scientifico, e Ambiente e Lavoro, di cui è diventato presidente. E, sempre, la sua ironia e arguzia, a cui l’erre arrotata aggiungeva fascino e stile, gli hanno consentito di trasformarsi in grande comunicatore.

Ma il rigore scientifico è stato anche “l’arma segreta”, con cui ha più volte affrontato battaglie politiche, che hanno migliorato questo Paese. E’ stato così quando nel 2004 l’allora ministro dell’Istruzione Letizia Moratti provò a cancellare l’evoluzionismo dai programmi ministeriali e lui fu uno dei pilastri dell’opposizione a questa manovra. Battaglia che, grazie anche al suo contributo, riuscì a rovesciare quell’azione oscurantista e rilanciò la centralità dell’evoluzionismo.

Lo stesso rigore e impeto che mise, qualche anno dopo, nella battaglia contro gli ogm, quando contribuì in modo decisivo a mettere a punto le argomentazioni di gran parte del mondo ambientalista e agricolo.

E oggi mi immagino che abbia vissuto con soddisfazione e conferma delle sue tante battaglie la potente richiesta dei Fridays for Future alla politica perché riconosca ?nalmente alla scienza la forza delle sue argomentazioni.

Oggi l’ambientalismo italiano, e non solo, perde un patrimonio di lucidità. E sappiamo tutti quanto ne avremmo bisogno.


 

 

MARCELLO BUIATTI: UN' EREDITA' PER IL FUTURO
 
Venerdì 13 maggio 2022, presso la Gypsoteca di Arti Antiche dell’Università di Pisa. Un’occasione per dialogare sul pensiero e sulla visione politica e ambientalista di Marcello Buiatti, recentemente scomparso.
 
Per informazioni contattare la segreteria tramite email comunicazione@ftsnet.it oppure telefonare al numero 329 102 8700.
Per la partecipazione all’incontro, visto i posti limitati, è richiesto l’invio della prenotazione a comunicazione@ftsnet.it indicando: nome, cognome e telefono del/dei partecipanti. In alternativa è possibile registrarsi online sul sito www.ftsnet.it/registrazione
L’accesso alla sala per la giornata commemorativa sarà possibile a seguito presentazione green–pass e nel rispetto della normativa vigente.
 
PROGRAMMA
 
Mattina, Scientifica e filosofia
 
ore 9.00 – Registrazione partecipanti
ore 9.15
Anna Anglani Buiatti, presentazione della giornata
 
Introduzione della mattina
Elena Gagliasso e Alfonso Maurizio Iacono, dialogano sulla ricerca e sul pensiero di Marcello Buiatti
Mauro Durante, Gli eretici della genetica
Manuela Giovannetti, Scienza, politica e storie personali
Pietro Liò e Andrea Ciliberto, Genotipo, Fenotipo, Sequenze e Ciclo Cellulare
 
Testimonianze
Fabrizio Bianchi, Lele Coco, Saverio Forestiero, Carlo Modonesi, Carmela Morabito, Mario Piazza, Gianni Tamino
 
Relazioni:
Stefano Ruffo, Sistemi complessi
Peppe Longo, Alla ricerca di senso in scienza
Marco Buiatti, Lo stato vivente della materia
 
ore 13.00 – Pausa pranzo
 
Pomeriggio, Politica, ambiente e formazione
ore 14.30
 
introduzione del pomeriggio
Elena Gagliasso e Alfonso Maurizio Iacono, dialogano sulla visione politica e ambientalista di Marcello Buiatti
Rav Joseph Levi, Ebraismo, giustizia sociale e genetica
Claudio Martini, L’ecologia umana e il Manifesto Antirazzista
Fiorenzo Gimelli, Una visione laica della proprietà intellettuale in agricoltura
Alessandro Lippi e Renato Cecchi, Un filo rosso-verde
 
Testimonianze
Maria Paola Azzali, Ugo Caffaz, Vannino Chiti, Francesca Civile, Claudio Del Lungo, Vittorio Cogliati Dezza, Fausto Ferruzza, Maria Grazia Mammuccini, Moreno Periccioli, Carlo Petrini, Bruno Possenti, Anna Rossi, Guido Sacconi, Vincenzo Terreni, Maria Turchetto
 
ore 17.30
Conclusioni, Elena Gagliasso e Alfonso Maurizio Iacono
Segue Musica Klezmer di Enrico Fink
ore 19.00
film ‘Haim. Frammenti di un pomeriggio e una passeggiata con Marcello’, di Matias Guerra, 34’, 2021 (da un’idea di Sandra Lischi), Arsenale, sala Sammartino, via San Martino 63, Pisa – Ingresso libero
 

SCUOLA PER LA PACE
della Provincia di Lucca

Incontro con Marcello Buiatti
2 febbraio 2009

 

La risposta della Scienza al razzismo 

 

Marcello Buiatti

 

Docente di Genetica - Università di Firenze,

Coordinatore del Manifesto degli Scienziati Antirazzisti della Regione Toscana

 

Sono di origine ebraica, sono quindi stato testimone – anche se ero molto piccolo – di quello che stava succedendo durante i tragici anni delle leggi razziali. Ma oggi non parlerò di quello che è successo in quegli anni agli ebrei, ma del razzismo, anzi, dei razzismi.

 

Quando si é razzisti? Quando si attribuiscono ad un intero gruppo di persone, senza vedere le differenze fra individui, caratteristiche secondo noi negative che ci permettono di identificare il gruppo stesso come un nemico e quindi di combatterlo, emarginarlo, escluderlo. Il gruppo naturalmente deve avere una qualche caratteristica comune che permetta di etichettarlo e poi indicarlo come “altro” ed “inferiore”, e in quanto inferiore eliminabile e colpevolizzabile. È molto importante questo tipo di definizione, perché nel nostro tempo siamo molto spesso vittime di slogan, e si discute non delle cose reali ma degli slogan stessi, che si trasformano in “tifo”: per gli ebrei o contro gli ebrei, per gli ogm o contro gli ogm, per i cloni o contro i cloni…senza discutere nel merito e senza sapere chi sono gli ebrei, cosa sono gli ogm, cosa sono i cloni.

Per essere chiari é altrettanto razzista dire che gli ebrei sono una razza inferiore, o dire che sono più intelligenti degli altri come se un popolo potesse essere tutto intelligente o tutto stupido magari per ragioni genetiche.

 

Si é comunque razzisti, anche senza menzionare razze, quando ad esempio si escludono gli handicappati, gli omosessuali, le persone con disagio mentale, i poveri che non possono comprarsi le scarpe che si “devono” avere ecc, e in genere persone etichettate come diverse senza pensare a chi sono e come realmente si comportano e perché. In realtà qualcosa di simile c’è stato sempre. Mi ricordo che in classe mia c’era un unico ragazzo che non aveva abbastanza soldi per acquistare dei bei vestiti, ed era considerato in modo un po’ strano, diverso…ma ovviamente non era strano, era semplicemente povero.

Il razzismo odierno non è necessariamente genetico ma si tende a presumere che i comportamenti siano genetici e quindi non modificabili perché come si dice “sono scritti sul DNA”. A parte il fatto che, come vedremo, i comportamenti dipendono poco o nulla dai geni, se fosse vero questo significherebbe che non si può migliorare la nostra specie in alcun modo se non eliminando in qualche modo chi ha un DNA “cattivo” o modificandolo con operazioni di ingegneria genetica. Naturalmente, una volta individuato il colpevole, bisogna trovare delle colpe o comunque delle ragioni per cui non ci va bene. Fra queste, ad esempio, quelle ragioni economiche su cui si fonda , almeno in parte, il razzismo odierno nei confronti degli immigrati, sono false, perché gli immigrati fanno lavori diversi, spesso rifiutati dagli italiani perché faticosi o pericolosi ma soprattutto in quanto pagati poco; è proprio sugli immigrati che si fonda la nostra economia che in diversi casi senza la manodopera immigrata probabilmente collasserebbe. Non è quindi per cause economiche che oggi c’è il razzismo, anche se indubbiamente proviene indirettamente dal disagio economico, ma – come detto – non si fonda su questo aspetto. Il razzismo si basa oggi come sempre sulla necessità di trovare un capro espiatorio su cui addossare i malfunzionamenti della società o anche semplicemente una spesso indistinta paura del futuro. Infatti, quando è che nasce il razzismo, quello che emargina con le leggi e uccide? Generalmente in periodi di instabilità ed insicurezza economica e sociale, proprio come sta avvenendo ora in Italia, in cui alla reale crisi economica si unisce una vera e propria crisi dei rapporti individuali e della intera società dovuta anche al fatto che il disagio in questo momento è strumentalizzato da chi vuole ancora aumentarlo, proprio per identificare il colpevole e poi attaccarlo e allo stesso tempo, per utilizzare l’occasione per porsi come salvatore e modificare la stessa struttura democratica complessiva. 

 

Naturalmente se io cerco il colpevole, significa che io non sono colpevole…è una sorta di non riconoscimento della responsabilità. E chi sarà il colpevole? Ovviamente il più debole, in quanto è molto più facile emarginare il debole anziché il forte. In questi casi si tende ad attribuire la colpa della insicurezza a un gruppo di persone individuabile, debole, che ha e mantiene una sua identità che appare “diversa” per caratteristiche fisiche, religiose, modo di comportarsi. In Italia questo succede “a ondate”: all’inizio erano gli albanesi i colpevoli, poi i rom e oggi i romeni con i quali fra l’altro la gente confonde il rom probabilmente semplicemente perché il nome comincia con le stesse 

lettere. Recentemente poi anche gli ebrei iniziano ad essere di nuovo considerati “colpevoli”, e questa volta anche da frange della sinistra, perché si confondono gli ebrei con lo Stato di Israele.

Ci sono state infatti manifestazioni antisemite contro le sinagoghe, perché Israele sta portando avanti determinate politiche – che tra l’altro io non approvo – nei confronti dei palestinesi ed è quindi di nuovo “politicamente corretto” attaccare gli ebrei italiani. Un concetto molto importante che vorrei fosse chiaro è che nessun popolo è buono o cattivo, ma tutti i popoli sono fatti di individui, che sono buoni o cattivi anche a seconda del momento storico in cui si trovano. Non esistono quindi blocchi monolitici. Noi italiani in passato siamo stati cattivi come altri popoli, non siamo sempre stati “italiani brava gente”. Quando eravamo in Africa abbiamo commessi reati orrendi; abbiamo ucciso migliaia di africani, impiccandoli e crocifiggendoli; abbiamo fatto cose spaventose in Jugoslavia e in tutti i posti che abbiamo occupato e bisogna ricordarci che durante il fascismo siamo stati antisemiti e abbiamo consegnato tanti ebrei ai nazisti, anche se poi una parte notevole della popolazione ha cercato di salvare ebrei e combattere il fascismo soprattutto dopo l’otto Settembre 1943. Siamo quindi come tutti i popoli.

 

Quando si sceglie un capro espiatorio, non se ne sceglie uno solo. Certo, uno è preminente, ma ci sono anche gli altri. Infatti nella Shoah, non sono morti solo gli ebrei, ma anche centinaia di migliaia di zingari, omosessuali, oppositori politici, Testimoni di Geova. E sarà bene ricordarsi che anche allora gli zingari furono i primi ad essere discriminati, proprio come avviene oggi in Italia dove sono state prese le impronte agli zingari, proprio come fecero i nazisti. E’ in atto una campagna feroce contro gli immigrati e sono state perfino approvate leggi anticostituzionali che li discriminano nelle scuole e nella società. Certo, io non credo che avverrà quello che avvenne sotto il fascismo, però prendere le impronte è etichettare le persone, impedire la loro identità indipendente, e le leggi di discriminazione nelle scuole e nella sanità, non solo dei clandestini ma anche dei regolari, sono atti ufficiali dello Stato che vanno indubbiamente in quella direzione. La questione delle impronte è molto grave, perché in questo modo si ha una sorta di “schedatura dell’identità”. Ho parlato con alcune persone sopravvissute ai campi di sterminio, e mi hanno confessato che il ricordo più terribile è la trasformazione da uomo a semplice numero, quindi l’annullamento dell’identità. Siamo quindi in presenza di una identità offesa, una identità che viene ferita quando viene schedata, quando viene trasformata in un numero, quando gli vengono attaccate caratteristiche che la distinguono indelebilmente in negativo: albanese ladro e assassino, romeno stupratore, marocchino spacciatore, ebreo intelligente e infido ecc.

E l’identità è fondamentale, perché essere troppo identitari è negativo, ma le identità, tutte assieme, costituiscono la ricchezza di una società.

 

Quella del razzismo in realtà è una storia molto vecchia: già Platone suggeriva ai potenti della sua città ideale di dire alla gente che chi è figlio dell’oro è d’oro e chi è figlio del bronzo è di bronzo. E secondo Platone era necessario ripetere svariate volte questo concetto, perché il popolo all’inizio è diffidente, ma dopo molte volte che si è ripetuto, quelli che stanno sotto – “quelli di bronzo” – non reclameranno diritti.

Ma ecco come un grandissimo scienziato, uno dei primi tassonomi, Linneo, classificava nel 1758 gli esseri umani, si capisce bene cosa è il razzismo:

Americanus: rossiccio, collerico, capelli lisci spessi; narici larghe, barba rada, ostinato, allegro, libero. Asiaticus: melanconico, rigido, capelli e occhi neri, severo, avaro, segue le opinioni dominanti.

Africanus: nero, flemmatico; capelli occhi e pelle neri, capelli ricci, pelle setosa, naso schiacciato, labbra tumide, donne senza vergogna che producono molto latte; ingegnoso, indolente, negligente, si unge con il grasso, agisce secondo capriccio. Europeaeus: bianco, sanguigno, muscolare, capelli lunghi e fluenti, occhi blu, gentile, acuto, con capacità inventive, si copre con vestiti, governati da legge.

 

Come si vede, Linneo mette insieme caratteri fisici e comportamentali, cose completamente diverse, perché se per i caratteri fisici spesso esiste veramente un determinismo genetico importante, la scienza ha ormai chiarito che per quelli comportamentali questo non avviene. Infatti ci sono almeno 150 classificazioni in razze, nessuna delle quali va d’accordo con nessuna delle altre, il che già di per sé stesso dimostra che è praticamente impossibile dire di una persona se appartiene ad una “razza” o ad un’altra. Tutte le classificazioni sono come quella di Linneo: mettono arbitrariamente insieme caratteristiche fisiche e comportamentali, perché si pensa (o si vuol pensare) che se i caratteri fisici sono in parte almeno attribuibili alla genetica, così sarà anche per il comportamento.

 

Questo ragionamento purtroppo si basa spesso su come, non per colpa degli insegnanti, si insegna la genetica nelle scuole, dove di fatto si dice che noi siamo dei computer con un solo programma scritto nel DNA. E che quindi noi dalla nascita saremmo totalmente determinati come corpo, mente, pensieri, ecc. Questo purtroppo è contenuto in tutti i libri di scuola e anche universitari. Ahimè e in Italia è ancora spesso insegnato anche da chi dovrebbe essere più aggiornato sui progressi della scienza e non si fa influenzare da motivazioni extra- scientifiche. Cercherò di spiegare brevemente come stanno le cose.

E’ in realtà vero che il DNA viene trascritto in un’altra molecola che viene tradotta negli strumenti che ci auto-costruiscono, le proteine, ma è falso che un gene abbia l’informazione per una sola proteina tanto è vero che noi esseri umani abbiamo solo 23000 geni e facciamo almeno quattro milioni di proteine fra le quali scegliamo, di momento in momento, quali fare a seconda dei segnali che ci vengono da fuori.

Quindi il DNA non ci determina, con la sua “ambiguità, ci fornisce gli strumenti ma non il programma, come se io fossi un costruttore di case che può fare molte case diverse. Così siamo noi: abbiamo tanti strumenti,

ma il programma ce lo costruiamo durante la nostra storia individuale. Io sono Marcello Buiatti, ma possono essere tantissimi Marcello Buiatti e di fatto lo sono perché cambio ogni millisecondo. Questo è un concetto molto importante. Mentre vi parlo io vi sto cambiando fisicamente il cervello, nel senso che le sinapsi tra le vostre cellule stanno cambiando di posizione, le proteine che si formano nei vostri neuroni sono diverse. Lo stesso succede a me perché anche io recepisco i vostri segnali e ho un cervello che si modifica continuamente e infatti pensa sempre cose diverse. Quindi i vostri pensieri non stanno scritti nel DNA che fra l’altro non potrebbe contenerli come vi può dire un buon informatico, perché mentre noi abbiamo solo 23.000 geni che costituiscono solo lo 1,5% del nostro DNA (l’altro DNA serve per regolare il funzionamento dei geni), possediamo invece 100 miliardi di neuroni nel nostro cervello che possono formare un milione di miliardi di connessioni diverse, un numero tale che per contarlo partendo da zero ci vorrebbero 32 anni.

In altre parole, il DNA non è comunque un contenitore sufficiente per contenere i nostri pensieri che si formano nel cervello da altri pensieri durante la vita e dai pensieri che ci vengono dagli altri nostri simili.

Infatti, le connessioni fra neuroni alla nascita sono in gran parte quasi-random e si organizzano durante la vita ma in particolare nei primi anni di questa e l’organizzazione che avranno dipende in gran parte dal contesto che dà appunto i segnali che organizzano le sinapsi e cambiano sempre più lentamente ma per tutta la vita.

 

In realtà mentre dal punto di vista fisico noi siamo simili agli altri Primati, il nostro cervello si distingue anche da quello dei nostri cugini scimpanzè, gorilla, orango, bonobo ecc. per:

indice di encefalizzazione; alto numero di neuroni; forte velocità ed efficienza di comunicazione fra questi; grande capacità di cambiamento di organizzazione delle sinapsi che continua durante tutta la vita

(plasticità); grande capacità di ricezione e scambio di segnali; aree innovative come quella di Broca, responsabile per il linguaggio. Noi infatti differiamo per pochi geni dai nostri “cugini” oranghi e scimpanzé, ma sono geni rilevanti che si sono evoluti con grandissima rapidità: sono ad esempio, il gene per la encefalina che è responsabile per la encefalizzazione, alcuni geni per la ricezione dei segnali, gruppi di geni per le neurexine, le caderine, la reelina, proteine responsabili dei collegamenti fra neuroni che in noi hanno una enorme variabilità e permettono un elevatissimo numero di combinazioni.

Infine, è ormai chiaro che noi siamo superiori agli scimpanzé perché sappiamo comunicare di più e quindi sappiamo ricevere e dare più informazione.

Se paragoniamo un bambino con uno scimpanzé, notiamo che le capacità fisiche (tatto, manipolazione, ecc.) sono pressoché uguali, ma sono molto diverse le capacità sociali, “l’intelligenza sociale”. Praticamente il valore della capacità sociale del bambino è l’unico parametro diverso dagli altri. E siamo diversi perché parliamo, comunichiamo, archiviamo ed elaboriamo informazioni che successivamente proiettiamo all’esterno.

Tutto questo ci dice che insegnare che il DNA definisce tutti i nostri pensieri e quindi i nostri comportamenti, comporta implicitamente, anche se nessun insegnante serio direbbe queste cose esplicitamente, una concezione del tutto sbagliata dell’umanità che avrebbe le seguenti regole:

Gli esseri umani sono diversi nel fisico e nelle menti solo perché hanno DNA diversi…il figlio del bronzo è di bronzo, il figlio dell’oro è di oro. Non sono influenzati dall’ambiente ma cambiano solo se cambia il programma.

Nessuno ha colpa o merito dei suoi atti ma solo fortuna o sfortuna. Quindi se io sono un assassino non è certo colpa mia, ma è colpa del fatto che sono nato così; la stessa cosa avviene quando si sente dire che un uomo ha ucciso una donna perché in preda a un raptus, e il raptus deresponsabilizza. La collettività umana non ha alcun ruolo nella storia dell’uomo, non serve a migliorare lo stato dei singoli membri, perché tutto dipende dal DNA.

L’unico modo per migliorare la vita è cambiarne i programmi o non far riprodurre i componenti “peggiori”. In questa ottica si decide quali sono i programmi buoni e quali quelli cattivi, quindi gli immigrati e i Rom vengono emarginati perché hanno un DNA cattivo; oppure si potrebbero inserire geni buoni in un DNA cattivo…ma per fortuna quest’ultima ipotesi è avveniristica e non è tecnicamente possibile.

 

Nel Manifesto degli scienziati antirazzisti abbiamo controbattuto, punto per punto, il manifesto degli Scienziati razzisti, presentato a San Rossore nel 1938, pochi giorni prima del varo delle leggi razziali. Secondo il manifesto degli scienziati razzisti “Le razze umane esistono. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi [..]” (Art. 1)

“Esistono grandi razze e piccole razze. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma

bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, ecc.)

individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni [..]” (Art. 2)

“Il concetto di razza è concetto puramente biologico. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose

[..]” (Art. 3)

“La popolazione dell'Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà ariana. L'origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono

il tessuto perennemente vivo dell'Europa” (Art. 4)

Quest’ultimo articolo è forse il più grottesco…è sufficiente guardarci intorno per controllare se siamo tutti con gli occhi azzurri. Inoltre non si sa nemmeno se gli ariani sono mai esistiti; sappiamo che esisteva una piccola etnia proveniente dall’Asia chiamata “Ari”…ma la loro esistenza è dubbia e inoltre non erano sicuramente biondi con gli occhi azzurri.

Sfatiamo una volta per tutte il mito dei biondi con gli occhi azzurri! Intanto , si ha pelle scura quando si sta sotto molto sole, si ha la pelle chiara quando non si sta sotto molto sole e fra l’altro la pelle più scura non la

troviamo nemmeno negli africani, perché ci sono abitanti dell’Asia che la hanno più scura ancora.…ma perché chi vive al sole ha la pelle scura? Perché se la avesse chiara e stesse sotto troppo sole, la pelle sarebbe colpita da gravi forme tumorali.

Al nord invece non va bene avere la pelle scura, perché un po’ di sole è necessario per fissare il calcio con la vitamina D e per altri motivi. Per cui mano a mano che si scende verso sud la pelle diventa sempre più scura. Ovviamente molti africani – ma non tutti, pensiamo ai nordafricani – sono molto scuri, molti indiani sono più scuri degli africani, così come alcuni australiani.

Da cosa dipende la diversa colorazione della pelle? Deriva solo e unicamente da un gene, da un piccolo pezzo di DNA, dipende da 10-11.000 lettere su 3,3 miliardi di lettere che ha un DNA che ha solo la funzione

di colorare più o meno e non c’entra in alcun modo con il comportamento…e noi pensiamo di distinguere una razza in base a 10-11.000 lettere su 3,3 miliardi?

 

Continuiamo la lettura di alcuni stralci di articoli del Manifesto degli Scienziati razzisti del 1938…“È una leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici. Dopo l'invasione dei

Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione [..]” (Art. 5)

“Esiste ormai una pura razza italiana [..]” (Art. 6)

La razza italiana non esiste, perché fortunatamente siamo stati percorsi da molti popoli che a più riprese ci hanno invaso. Ci siamo mescolati, siamo figli dell’Impero Romano che molto saggiamente dava la

cittadinanza romana ai popoli conquistati. Noi non vogliamo dare la cittadinanza agli immigrati mentre i


Romani invece compresero quasi subito che la concessione della cittadinanza avrebbe reso più forte l’Impero, che tra l’altro si sarebbe arricchito grazie all’apporto di culture diverse.

Comprendiamo quindi che tutta l’impostazione del Manifesto degli scienziati razzisti è totalmente senza senso dal punto di vista scientifico come ci dice in modo chiarissimo la Biologia del terzo millennio che ha cambiato molti concetti vecchi delle scienze della vita.

 

Quali sono allora le regole della vita alla luce delle nuove conoscenze?

Gli esseri viventi restano tali finché sono in grado di cambiare in funzione del mutevole contesto esterno ed interno. Un esempio ovvio è che se fuori fa caldo io sudo al fine di mantenere costante la mia temperatura corporea. Io quindi cambio programma in funzione dei segnali provenienti dall’esterno perché è ovvio che nel DNA, che non cambia durante la vita, non può esserci scritto che nel giorno X ho caldo e devo sudare!

Per questo gli esseri umani, come tutti gli altri esseri viventi, si sono evoluti con strategie che aumentano la capacità di cambiamento: in natura non vince quello che è ottimo, ma “chi se la cava”, ovvero chi è capace di cambiare continuamente in funzione dei cambiamenti esterni.

Per questo gli organismi devono quindi sviluppare strategie produttrici di variabilità e strumenti che permettano di percepire i cambiamenti interni ed esterni e reagire ad essi utilizzando plasticità.

Inoltre, e anche questo è molto importante, cellule, organismi, popolazioni, specie, ecosistemi, la stessa biosfera tutta, sono reti di elementi interconnessi e quindi capaci di reagire di concerto ai segnali interni ed esterni.

 

 

La vita è quindi fondata su variabilità, connessioni e comunicazione

 

Tutti gli organismi hanno sviluppato metodi per cambiare che però sono diversi a seconda del gruppo di appartenenza: i batteri cambiano perché muta il loro DNA, l’uomo, le piante e gli animali non cambiano perché cambia il loro DNA – in quanto hanno vite troppo lunghe perché le mutazioni favorevoli si fissino – ma cambiamo durante la vita, grazie a una serie di meccanismi molto complessi chiamati “epigenetici”. Questi meccanismi si basano su segnalazioni dall’esterno molto precise che ci dicono come cambiare continuamente e la comunicazione avviene essenzialmente mediante incontri con il diverso che permette la formazione di novità. Infatti nella vita per nostra fortuna A+B non dà mai AB ma C: il figlio non è la somma della madre e del padre ma un’altra cosa! Altro esempio: io parlo con voi, vedo le vostre facce, vi comunico qualcosa; ma anche voi comunicate qualcosa a me e mi cambiate…cambiamo insieme e formiamo un organismo nuovo. Ognuno di noi si adatta cambiando, sempre fra diversi, mai tra uguali: io infatti non comunico con il mio specchio, anche perché non avrei molto da dire. Si comunica quindi fra diversi e se non si comunica non si cambia.

 

Il DNA stesso, da solo, non é attivo, è inerte, ma viene attivato da determinati segnali. Al DNA arrivano proteine che lo attivano, così il DNA diverrà funzionante e produrrà un’altra proteina in risposta al segnale proteico: se, ad esempio, al DNA arriva la comunicazione che è necessario sudare, produrrà una proteina che attiverà i geni preposti alla sudorazione nelle cellule delle ghiandole sudoripare. Senza connessioni quindi non saremmo in grado di cambiare, diventeremmo come le macchine che, loro sì, hanno un solo programma fatto da un essere umano e infatti sono morte.

 

Noi esseri umani abbiamo una nostra specifica strategia di adattamento, molto diversa da quella degli altri anche se utilizziamo tutti gli strumenti degli altri animali. La diversa strategia è coerente con il fatto che la nostra variabilità genetica (il numero di varianti dei corredi ereditari umani) è nettamente inferiore a quella dei Primati più vicini a noi.

Il diagramma sottostante ci mostra la variabilità genetica degli umani (humans), degli scimpanzé (chimps), dei gorilla e degli orango. Come vediamo, tra questi l’uomo è l’essere che ha minore variabilità genetica anche se noi siamo quasi sette miliardi e i nostri cugini primati poche migliaia per specie, per cui il nostro numero di varianti dovrebbe in teoria essere molto superiore.

Variabilità genetica di esseri umani, scimpanzè, gorilla e oranghi  

Nel caso degli umani quindi non si possono distinguere le razze per via genetica, molto semplicemente perché la variabilità è molto poca e per il 95% uguale in tutte le popolazioni, nel senso che il 95% dei varianti è presente in Europa come in Africa, come negli altri continenti. In altre parole le variazioni presenti nei genomi umani nei diversi continenti si sovrappongono in gran parte per cui è impossibile assegnare l’etichetta di razza a gruppi di individui osservandone il DNA. Il termine “razza” quindi non ha significato biologico nel caso dell’Homo Sapiens, mentre ha senso nel caso ad esempio degli animali domestici che sono stati apposta selezionati in razze diverse da noi .

Perché l’uomo ha una variabilità genetica ridotta? Per una ragione storica: noi siamo tutti africani, siamo i discendenti di un gruppo di soli 10-15 mila uomini che ad un certo punto della storia ha colonizzato il mondo. E come lo ha fatto? Non cambiando a seconda dell’ambiente trovato, come nel caso degli animali. Noi non ci adattiamo all’ambiente per selezione naturale, perché siamo noi che adattiamo l’ambiente a noi e alle nostre esigenze. Siamo noi che costruiamo i nostri ambienti di vita.

Quindi noi non siamo variati geneticamente ma abbiamo inventato una enormità di culture, non di geni! E sono proprio le culture che ci hanno permesso di adattarci: infatti in ogni ambiente si mangiano certe cose e non altre, si coltivano certe piante, si hanno religioni, lingue, arti diverse. In questo modo sopravviviamo.

La diversità culturale è fortunatamente ancora presente: basti pensare che secondo il Summer Institute of Linguistics nel 2005 erano ancora parlate 6912 lingue (il numero di lingue è un buon indicatore della presenza di culture diverse). Ci sono poi i dialetti e tutta una scala gerarchica di comunità locali umane, di popoli, di nazioni in cui si scambiano infiniti pensieri individuali, che sono la ricchezza fondamentale della nostra specie. Anche gli scimpanzé hanno delle lingue molto semplici ed elementari; i delfini hanno qualcosa di simile a noi, ma noi siamo infinitamente più capaci di adattarci utilizzando le “invenzioni” che vengono dal nostro cervello, molto più numerose di quelle che potrebbero darci i geni.

 

Ma torniamo all’Homo Sapiens: dove si concentra il maggior numero di linguaggi nel mondo? Quindi, dove c’è maggiore diversità culturale? In Europa si concentra il 3% dei linguaggi, nelle Americhe il 5%, in Africa il 30%, in Australia e nel Pacifico il 19%, in Asia il 32%.

Come vediamo c’è più diversità di linguaggio nelle zone più povere dal punto di vista economico: possiamo dire che i più poveri economicamente sono i più ricchi dal punto di vista culturale e di conservazione delle

diversità.

La distribuzione dei linguaggi, cosa particolarmente interessante, coincide con quella delle zone a maggiore variabilità delle piante coltivate e degli animali allevati. Questa coincidenza non è casuale, ma deriva dal fatto che in ogni ambiente le diverse culture hanno selezionato piante diverse perché più adatte all’ambiente stesso ed anche alle tradizioni e culture locali. La variabilità culturale infatti è variabilità adattativi, senza la quale le nostre società avrebbero difficoltà a sopravvivere. E’ per questo che il termine “tolleranza” non mi piace. Essere tolleranti significa che noi siamo così buoni che lasciamo arrivare gli immigrati. Ma non è così, noi abbiamo bisogno degli altri, noi insegniamo a loro delle cose e loro ce ne insegnano altre. Dobbiamo essere contenti che gli immigrati arrivino, è utile che vengano da noi, ci servono! Noi dobbiamo quindi richiedere la presenza di più culture, non tollerarle; dobbiamo imparare dall’Impero Romano che allargava le frontiere e includeva le culture, dai multietnici Stati Uniti, dall’Impero Asburgico e così grande e multietnico.


Tutti gli imperi antichi si sono mantenuti solo quando sono stati uniti tra diversi, senza la supremazia di un gruppo su un altro creando nuove civiltà date dalla mescolanza delle vecchie che mantenevano la loro identità. Così la civiltà statunitense è ad esempio completamente nuova rispetto alle civiltà originarie che l’hanno formata, ma viene da lì, dalla mescolanza.

Io sono molto fiero di essere bastardo: mio padre era italiano, non ebreo, di origine friulana; mia madre era mitteleuropea, di origine ebraica. Quindi sono ebreo, perché per la religione ebraica è la mamma che conta…non il babbo. Una cosa molto saggia, perché effettivamente è la mamma che conta nella formazione, ci sono anche prove molecolari che lo confermano come dicevo quando ho parlato della organizzazione del cervello nei primi periodi di vita.

Per essere chiari, tutti noi esseri umani abbiamo gli stessi geni in varianti diverse, gli uomini e le donne hanno le stesse varianti con un’unica piccola differenza: noi maschi abbiamo geni – contenuti in un piccolo cromosoma – che inibiscono la femminilità…quindi gli uomini sono praticamente delle “femmine mancate”, solo per pochissimi geni. Non esiste ovviamente una razza maschile e una razza femminile, ma esistono generi diversi.

Si dice sempre che agli umani non piacciono i diversi ma se ci pensiamo, noi preferiamo la variabilità o l’omogeneizzazione? Guardiamo le due foto sottostanti…quella a sinistra fa nascere simpatia, quella a destra ci dà angoscia, perché istintivamente abbiamo paura dei cloni che in realtà non sono pericolosi in alcun modo. Eppure abbiamo paura ugualmente, perché istintivamente l’omogeneità ci fa paura. Se tutti avessimo la stessa faccia saremmo terrorizzati. Questo significa che anche istintivamente sappiamo che è necessario essere diversi…e allora diciamo che gli altri sono necessari e sono una ricchezza. Certo, se “gli altri” si comportano male vanno puniti individualmente, ma capiamo una volta per tutte che è la stessa cosa se uno stupro è commesso da un italiano o da un romeno.

varianilità cloni    

 Pensateci per bene…vi piace un clone? No, ci piace la varietà, perché con la variabilità si vive molto meglio, impariamo, cambiamo.

Dall’altro lato dobbiamo dire che noi abbiamo paura del diverso se non lo conosciamo, ma ci piace la variabilità che conosciamo. Questo è un atteggiamento atavico, perché l’uomo ha sempre avuto paura dell’ignoto sino a che non diventa noto e d’altra parte, se fossimo tutti uguali, non avremmo con chi comunicare e saremmo infelici.

Riguardo a questo tema cito un lavoro di un economista e sociologo dell’Università di Siena, Stefano Bartolini, sul tema dell’economia della felicità. La felicità è soggettiva, ma quanto è influenzata dal denaro?

La risposta a questa domanda è stata ricavata da ricerche portate avanti in tutto il mondo, ricerche che hanno dato questo risultato: i soldi aumentano la felicità soggettiva fino a 5000 Euro all’anno (se uno non mangia non è felice!), se il guadagno è superiore non è cosi ma entrano in gioco molti altri fattori, di cui uno è largamente dominante ed è lo stare bene con gli altri.

Da questo deriva l’omologazione: per stare bene con gli altri, e affinchè ci accettino nel loro gruppo, io devo essere come loro e soprattutto devo comprare le stesse cose. Le cose sono da questo punto di vista cambiate in peggio da quando ero giovane io.

 
 

La nostra generazione, quella che ha fatto il ’68, ha lottato per essere sé stessa, lontano da ogni omologazione. Oggi invece stiamo andando verso una omogeneizzazione imposta, per cui si è al passo con i tempi se si legge un determinato libro, se si va su Facebook, se ci vestiamo in un certo modo, ecc.

 

La virtualizzazione che colpisce la nostra società – Facebook, Second life e le chat ne sono una prova – è uno dei fattori della crisi che stiamo attraversando. La virtualizzazione arriva a livelli inimmaginabili…tempo fa leggevo di una coppia che frequentava Second life nel senso che marito e moglie avevano ognuno un loro “sosia”virtuale si chiamano “avatar”). Ebbene, è successo che la moglie ha pensato di inventare un altro personaggio virtuale che facesse su Second Life l’investigatore privato e controllasse cosa faceva l’avatar del marito. L’investigatore ha scoperto che se la faceva, virtualmente, con una avatar diversa da quella della moglie. Dopo questo, marito e moglie si sono incredibilmente lasciati per davvero con un gesto che a me sembra semplicemente allucinante!

La realtà virtuale sta prendendo sempre più il sopravvento, anche nella concezione di ricchezza: una volta era ricco chi mangiava bene, poi è diventato ricco il proprietario delle imprese. Oggi invece è ricco chi ha soldi.

Chi sono oggi i grandi ricchi? Bill Gates è l’uomo più ricco del mondo, ma non possiede nulla di materiale, possiede brevetti immateriali e ha molti soldi; Berlusconi cosa possiede? É ricco di soldi, ma non di beni. Qual è oggi il parametro del benessere ? Il PIL, la massa monetaria circolante, che è soltanto per 1/60 coperta da scambio di beni reali, tutto il resto è virtuale, è on-line, è finanza.

 

Ci stanno facendo vivere in un mondo finto, e per vivere in questo mondo ognuno si mette la sua divisa finta e grazie a questo “mascheramento” viene accettato. La nostra perdita della coscienza di noi stessi ci fa fare cose che sono contro il nostro adattamento reale, ben diverso dall’adattamento virtuale che è impersonificato dal denaro stesso, una entità non viva e tanto virtuale da circolare ormai in gran parte on-line Concludo con una riflessione sulla scienza che mi sembra utile in questo contesto per mantenere lo spirito critico che è forse l’unico che ci possa salvare: la scienza non dà verità universali, anche perché se desse verità universali non servirebbe cercarle come invece la scienza stessa fa.

La scienza ricerca verità parziali, e quando parlo di scienza, in realtà intendo scienze: scienze matematiche, scienze umane, scienze sociali, ecc. A questo proposito penso che sarebbe molto riduttivo combattere il razzismo solo ed unicamente affermando che geneticamente le razze non esistono, perché molto spesso il razzismo trova altre giustificazioni e motivazioni nella cultura, nelle tradizioni, nell’economia, ecc. Per questo motivo il razzismo va combattuto anche con le scienze sociali e umane.

Una parola desidero spenderla sul tema dell’intolleranza che sta egemonizzando il dibattito politico e sociale italiano.Come dicevo oggi, molti nostri concittadini credono che i Rom siano romeni, perché sono convinti che Rom sia un diminutivo di romeno e se un romeno compie un crimine, subito un gruppo di italiani va a distruggere un campo rom.

La stessa generalizzazione avviene con i Musulmani, che non sono un’etnia come molti credono, ma tante etnie con una fede unica e con costumi, arti, lingue e culture diverse. Eppure tanta gente è arrabbiata genericamente nei confronti dei “Musulmani”, che non significa assolutamente nulla! Cosa significa non far costruire le moschee? Perché quando a Milano i Musulmani pregano in Piazza Duomo, subito nascono polemiche e prese di posizione molto intolleranti? Perché in Piazza Duomo è possibile fare una processione o una manifestazione contro l’aborto, ma non una preghiera islamica? Questi sono fatti che indicano un decadimento intellettivo da parte degli italiani.

Concludo con una frase che sintetizza tutto il mio intervento: sono convinto che il razzismo sia omicida ma contemporaneamente suicida, perché uccidere gli altri significa anche uccidere noi stessi.

 

 

Manifesto degli scienziati antirazzisti (10/11 Luglio '08, Tenuta di San Rossore, Pisa) + Le razze umane non esistono

 

 

I Le razze umane non esistono. L’esistenza delle razze umane è un’astrazione derivante da una cattiva interpretazione di piccole differenze fisiche fra persone, percepite dai nostri sensi, erroneamente associate a differenze “psicologiche” e interpretate sulla base di pregiudizi secolari. Queste astratte suddivisioni, basate sull’idea che gli umani formino gruppi biologicamente ed ereditariamente ben distinti, sono pure invenzioni da sempre utilizzate per classificare arbitrariamente uomini e donne in “migliori” e “peggiori” e quindi discriminare questi ultimi (sempre i più deboli), dopo averli additati come la chiave di tutti i mali nei momenti di crisi.

 

II. L’umanità, non é fatta di grandi e piccole razze. È invece, prima di tutto, una rete di persone collegate. È vero che gli esseri umani si aggregano in gruppi d’individui, comunità locali, etnie, nazioni, civiltà; ma questo non avviene in quanto hanno gli stessi geni ma perché condividono storie di vita, ideali e religioni, costumi e comportamenti, arti e stili di vita, ovvero culture.  Le aggregazioni non sono mai rese stabili da DNA identici; al contrario, sono soggette a profondi mutamenti storici: si formano, si trasformano, si mescolano, si frammentano e dissolvono con una rapidità incompatibile con i tempi richiesti da processi di selezione genetica.

 

III. Nella specie umana il concetto di razza non ha significato biologico. L’analisi dei DNA umani ha dimostrato che la variabilità genetica nelle nostra specie, oltre che minore di quella dei nostri “cugini” scimpanzé, gorilla e orangutan, è rappresentata soprattutto da differenze fra persone della stessa popolazione, mentre le differenze fra popolazioni e fra continenti diversi sono piccole. I geni di due individui della stessa popolazione sono in media solo leggermente più simili fra loro di quelli di persone che vivono in continenti diversi. Proprio a causa di queste differenze ridotte fra popolazioni, neanche gli scienziati razzisti sono mai riusciti a definire di quante razze sia costituita la nostra specie, e hanno prodotto stime oscillanti fra le due e le duecento razze.

 

IV.È ormai più che assodato il carattere falso, costruito e pernicioso del mito nazista della identificazione con la “razza ariana”, coincidente con l’immagine di un popolo bellicoso, vincitore, “puro” e “nobile”, con buona parte dell’Europa, dell’India e dell’Asia centrale come patria, e una lingua in teoria alla base delle lingue indo-europee. Sotto il profilo storico risulta estremamente difficile identificare gli Arii o Ariani come un popolo, e la nozione di famiglia linguistica indo-europea deriva da una classificazione convenzionale. I dati archeologici moderni indicano, al contrario, che l’Europa è stata popolata nel Paleolitico da una popolazione di origine africana da cui tutti discendiamo, a cui nel Neolitico si sono sovrapposti altri immigranti provenienti dal Vicino Oriente. L’origine degli Italiani attuali risale agli stessi immigrati africani e mediorientali che costituiscono tuttora il tessuto perennemente vivo dell’Europa. Nonostante la drammatica originalità del razzismo fascista, si deve all’alleato nazista l’identificazione anche degli italiani con gli “ariani”.

 

V.È una leggenda che i sessanta milioni di italiani di oggi discendano da famiglie che abitano l’Italia da almeno un millennio. Gli stessi Romani hanno costruito il loro impero inglobando persone di diverse provenienze e dando loro lo status di cives romani. I fenomeni di meticciamento culturale e sociale, che hanno caratterizzato l’intera storia della penisola, e a cui hanno partecipato non solo le popolazioni locali, ma anche greci, fenici, ebrei, africani, ispanici, oltre ai cosiddetti ”barbari”, hanno prodotto l’ibrido che chiamiamo cultura italiana. Per secoli gli italiani, anche se dispersi nel mondo e divisi in Italia in piccoli Stati, hanno continuato a identificarsi e ad essere identificati con questa cultura complessa e variegata, umanistica e scientifica.

 

VI. Non esiste una razza italiana ma esiste un popolo italiano. L’Italia come Nazione si é unificata solo nel 1860 e ancora adesso diversi milioni di italiani, in passato emigrati e spesso concentrati in città e quartieri stranieri, si dicono e sono tali. Una delle nostre maggiori ricchezze, é quella di avere mescolato tanti popoli e avere scambiato con loro culture proprio “incrociandoci” fisicamente e culturalmente. Attribuire ad una inesistente “purezza del sangue” la “nobiltà” della “Nazione” significa ridurre alla omogeneità di una supposta componente biologica e agli abitanti dell’attuale territorio italiano, un patrimonio millenario ed esteso di culture.

 

VII.Il razzismo é contemporaneamente omicida e suicida. Gli Imperi sono diventati tali grazie alla convivenza di popoli e culture diverse, ma sono improvvisamente collassati quando si sono frammentati. Così é avvenuto e avviene nelle Nazioni con le guerre civili e quando, per arginare crisi le minoranze sono state prese come capri espiatori. Il razzismo é suicida perché non colpisce solo gli appartenenti a popoli diversi ma gli stessi che lo praticano. La tendenza all’odio indiscriminato che lo alimenta, si estende per contagio ideale ad ogni alterità esterna o estranea rispetto ad una definizione sempre più ristretta della “normalità”. Colpisce quelli che stanno “fuori dalle righe”, i “folli”, i “poveri di spirito”, i gay e le lesbiche, i poeti, gli artisti, gli scrittori alternativi, tutti coloro che non sono omologabili a tipologie umane standard e che in realtà permettono all’umanità di cambiare continuamente e quindi di vivere. Qualsiasi sistema vivente resta tale, infatti, solo se é capace di cambiarsi e noi esseri umani cambiamo sempre meno con i geni e sempre più con le invenzioni dei nostri “benevolmente disordinati” cervelli.

 

VIII.Il razzismo discrimina, nega i collegamenti, intravede minacce nei pensieri e nei comportamenti diversi. Per i difensori della razza italiana l’Africa appare come una paurosa minaccia e il Mediterraneo è il mare che nello stesso tempo separa e unisce. Per questo i razzisti sostengono che non esiste una “comune razza mediterranea”.  Per spingere più indietro l’Africa gli scienziati razzisti erigono una barriera contro “semiti” e “camiti”, con cui più facilmente si può entrare in contatto. La scienza ha chiarito che non esiste una chiara distinzione genetica fra i Mediterranei d’Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall’altra. Sono state assolutamente dimostrate, dal punto di vista paleontologico e da quello genetico, le teorie che sostengono l’origine africana dei popoli della terra e li comprendono tutti in un’unica razza.

 

IX.Gli ebrei italiani sono contemporaneamente ebrei ed italiani. Gli ebrei, come tutti i popoli migranti ( nessuno é migrante per libera scelta ma molti lo sono per necessità) sono sparsi per il Mondo ed hanno fatto parte di diverse culture pur mantenendo contemporaneamente una loro identità di popolo e di religione. Così é successo ad esempio con gli Armeni, con gli stessi italiani emigranti e così sta succedendo con i migranti di ora: africani, filippini, cinesi, arabi dei diversi Paesi, popoli appartenenti all’Est europeo o al Sud America ecc. Tutti questi popoli hanno avuto la dolorosa necessità di dover migrare ma anche la fortuna, nei casi migliori, di arricchirsi unendo la loro cultura a quella degli ospitanti, arricchendo anche loro, senza annullare, quando é stato possibile, né l’una né l’altra. 

 

X.

L’ideologia razzista é basata sul timore della “alterazione” della propria razza eppure essere “bastardi” fa bene. È quindi del tutto cieca rispetto al fatto che molte società riconoscono che sposarsi fuori, perfino con i propri nemici, è bene, perché sanno che le alleanze sono molto più preziose delle barriere. Del resto negli umani i caratteri fisici alterano più per effetto delle condizioni di vita che per selezione e i caratteri psicologici degli individui e dei popoli non stanno scritti nei loro geni.  Il “meticciamento” culturale é la base fondante della speranza di progresso che deriva dalla costituzione della Unione Europea. Un’Italia razzista che si frammentasse in “etnie” separate come la ex-Jugoslavia sarebbe devastata e devastante ora e per il futuro. Le conseguenze del razzismo sono infatti epocali: significano perdita di cultura e di plasticità, omicidio e suicidio, frammentazione e implosione non controllabili perché originate dalla ripulsa indiscriminata per chiunque consideriamo “altro da noi”.

 

Enrico Alleva, Docente di Etologia, Istituto Superiore di Sanità, Roma 

Guido Barbujani, Docente di Genetica di popolazioni, Università Ferrara 

Marcello Buiatti, Docente di Genetica, Università di Firenze 

Laura dalla Ragione, Psichiatra e psicoterapeuta, Perugia 

Elena Gagliasso, Docente di Filosofia e Scienze del vivente, Università La Sapienza, Roma 

Rita Levi Montalcini, Neurobiologa, Premio Nobel per la Medicina 

Massimo Livi Bacci, Docente di demografia, Università di Firenze 

Alberto Piazza, Docente di Genetica Umana, Università di Torino 

Agostino Pirella, Psichiatra, co-fondatore di Psichiatria democratica, Torino 

Francesco Remotti, Docente di Antropologia culturale, Università di Torino 

Filippo Tempia, Docente di Fisiologia, Università di Torino 

Flavia Zucco, Dirigente di Ricerca, Presidente Associazione Donne e Scienza, Istituto di Medicina molecolare, CNR, Roma.