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Radiotelescopio di Arecibo: la fine di uno strumento che ha svelato metà dell'Universo
Di National Astronomy and Ionosphere Center, Cornell U., NSF - APOD: November 29, 1998 - Arecibo: The Largest Telescope, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=34810016    

Radiotelescopio di Arecibo: la fine di uno strumento che ha svelato

 

metà dell'Universo

 

Massimo Ramella (*)

 

È innegabile: il collasso e l’abbandono del gigantesco radiotelescopio di Arecibo avvenuto il primo di dicembre di quest’anno mi colpisce. Sia perché quello di Arecibo è stato uno strumento molto importante per la nostra conoscenza dell’Universo, sia perché il tempo della sua attività di osservazione si sovrappone quasi perfettamente alla mia di astrofisico.

In realtà non mi sono mai avventurato oltre le lunghezze d’onda infrarosse dello spettro della radiazione, nell’ampio dominio delle onde radio. Le mie osservazioni hanno raccolto soprattutto luce visibile, con qualche eccezione per la radiazione X e UV. Così non ho avuto modo di lavorare su dati del radiotelescopio di Arecibo, né tantomeno di usarlo in prima persona.  Il mio contatto più ravvicinato con il radiotelescopio avvenne, per interposta persona, nella seconda metà degli anni ’80 dell’altro secolo. A quel tempo lavoravo nel gruppo di Margaret Geller e John Huchra dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics di Cambridge, in Massachusetts. L’attività più importante era la costruzione di una mappa tridimensionale della distribuzione delle galassie nell’Universo intorno a noi. Avevamo piuttosto spesso ospiti che venivano a trovarci, talvolta solo per un saluto, altre volte per collaborare o per raccontarci delle loro ricerche. Tra questi amici c’erano Riccardo Giovanelli e Martha Haynes, entrambi astronomi, che erano impegnati in un progetto molto simile al nostro, ma che si basava sull’utilizzo del radiotelescopio di Arecibo, invece che dei nostri telescopi ottici. In effetti Riccardo, un radioastronomo doc, in quegli anni era stato anche direttore di Arecibo (1987 – 1988): è grazie a lui che feci la conoscenza del più grande telescopio del mondo.

Oltre alle mappe tridimensionali della distribuzione di galassie – e alla loro struttura ed evoluzione – il radiotelescopio in Porto Rico ha contribuito, tra l’altro, alla nostra conoscenza dei pianeti Mercurio e Venere e a quella di esoterici oggetti chiamati “pulsar”, ancora oggi sulla cresta dell’onda. Ha anche fornito la prima evidenza dell’esistenza di esopianeti, pianeti che orbitano attorno a una stella che non è il nostro Sole. All’impressionante albo d’oro del radiotelescopio si aggiunge il premio Nobel per la fisica, vinto nel 1993 da Hulse and Taylor per una importante verifica delle previsioni della Relatività Generale di Einstein basata su osservazioni condotte al radiotelescopio di Arecibo.

Ma cosa vede e come funziona un radiotelescopio? Per rispondere a queste due domande dobbiamo partire dalla radiazione, quella che nel campo visibile viene intercettata dai nostri occhi e che chiamiamo luce. Ogni raggio di luce ha una sua caratteristica che è la lunghezza d’onda: lunghezze d’onda più corte corrispondono all’estremità blu-violetta dello spettro, lunghezza d’onda più lunghe all’estremità rossa. Lunghezze d’onda intermedie sono responsabili di tutti i colori dell’arcobaleno che riusciamo a distinguere. Ma le lunghezze d’onda non si limitano ai colori dell’arcobaleno. Lunghezze d’onda più corte del blu sono quelle ultraviolette (UV), che il nostro occhio non vede, seguite dai raggi X con lunghezze ancora più corte e da altri campi di radiazione verso lunghezze d’onda sempre più corte.

Prima di procedere nella direzione opposta delle lunghezze d’onda sempre più ampie, è importante sapere che a ogni lunghezza d’onda corrisponde un’energia: più corta è la lunghezza d’onda, maggiore è l’energia. Questa caratteristica è evidente anche al di fuori dei laboratori di fisica. Infatti, la luce visibile del Sole viene riflessa dal nostro corpo e dagli altri oggetti, ed è così che percepiamo chi e cosa ci sta intorno. Gli ultravioletti, invece, possono penetrare la pelle per alcune decine di micron – più o meno lo spessore di un capello – dove possono anche danneggiare le molecole che la compongono. I raggi X, ancora più energetici, possono addirittura attraversare tutto il corpo umano.

Dal lato delle lunghezze d’onda lunghe, oltre al rosso troviamo l’infrarosso –responsabile della sensazione di calore che il nostro corpo avverte– e le microonde. Entrambe le radiazioni hanno ampio spazio nella nostra vita quotidiana: telecomandi, stufe, scanner per la temperatura corporea: tutti utilizzano l’infrarosso. Che si propaga invisibile, come potete facilmente sperimentare ogni volta che accendete la TV con un telecomando. Forni a microonde, smartphone, bluetooth e altri apparecchi usano le microonde, caratterizzate da lunghezze d’onda da 1 millimetro a 1 metro, con le quali già si passa alla radiazione del campo radio. I grandi utilizzatori del dominio radio sono i sistemi di comunicazione, dai quali spesso i radioastronomi si devono difendere per le interferenze che questi sistemi provocano alle osservazioni astronomiche. Per l’importanza riconosciuta alle ricerche astrofisiche, la banda radio ha delle “finestre” di lunghezza d’onda protette dove i sistemi di comunicazione non possono trasmettere.  Il limite per le osservazioni radio dei telescopi arriva attorno agli 11 metri. Da queste lunghezze d’onda in poi l’atmosfera diventa opaca per i segnali provenienti dallo spazio. Arecibo lavorava con radiazione di lunghezza d’onda compresa tra 3 centimetri e 6 metri.

Il funzionamento di un radiotelescopio, in linea di principio, non è diverso da un qualsiasi altro sistema fatto per catturare luce (o radiazione): telescopi, obiettivi di macchine fotografiche, antenne satellitari per la ricezione di trasmissioni hanno tutti una superficie che raccoglie radiazione e che, grazie alla sua forma, la concentra in un punto dove c’è un ricevitore che poi passa il segnale a una catena di altri strumenti che servono ad analizzare la radiazione per svelarne l’informazione contenuta. Più grande è la superficie, maggiore è la quantità di radiazione che essa raccoglie. La corsa a strumenti astronomici sempre più grandi si spiega con il fatto che le sorgenti che si osservano sono davvero debolissime e per poterle studiare serve disporre di quanta più radiazione possibile.

 

 Scienzamente La Cina inaugura un radiotelescopio di 500 metri di diametro | Scienzamente    

I radiotelescopi possono essere molto più grandi di tutti gli altri telescopi, fino ai 305 metri di Arecibo e ai 500 metri del suo successore cinese FAST, che ha raggiunto la piena operatività proprio quest’anno (2020). Il motivo è pratico e tecnologico: la capacità di riflettere la radiazione dipende dalla regolarità della superficie riflettente, che è di alta qualità se le sue irregolarità sono inferiori, o molto inferiori, alla lunghezza d’onda da riflettere. Alle lunghezze d’onda radio metriche, per riflettere la radiazione verso il ricevitore bastano pannelli di metallo forato accostati che sono sicuramente più facili da produrre e meno fragili degli specchi perfettamente levigati che servono per i telescopi ottici.

L’antenna di Arecibo aveva un diametro di 305 metri, era di forma sferica ed era composta da 40000 pannelli alluminio forato di circa 1 metro per 2 metri.  Il ricevitore posto nel fuoco dell’antenna si trovava a 137 metri di altezza e pesava ben 800 tonnellate. In realtà, caso raro – e credo unico — tra   i radiotelescopi, quello di Arecibo era anche in grado di trasmettere oltre che di ricevere. Questa sua capacità lo rendeva di fatto un gigantesco radar, uno strumento utilissimo per le ricerche su pianeti e altri corpi minori del nostro sistema solare, come gli asteroidi.

 

 

 

Superficie di Venere al radiotelescopio

Tutta questa tecnologia, e spesa, serve per studiare processi fisici che nei gas e nelle stelle sono responsabili dell’emissione radio. Inoltre, l’osservazione nel campo radio ha la caratteristica di non essere attenuata da polveri e i gas e quindi fornisce informazioni complementari ad altre osservazioni che non “vedono” oltre l’opaca cortina dei gas. Proprio grazie a questa caratteristica, per esempio, è stato possibile costruire una mappa del suolo di Venere scoprendo tracce di antiche attività tettoniche e vulcaniche, come valli, catene di montagne e colate di lava solidificata. Risultati impossibili da ottenere con normali telescopi ottici a causa della densissima, e quindi opaca, atmosfera del pianeta. Un esempio di processo fisico che produce un segnale radio, non osservabile in altre frequenze, è l’emissione a 21 cm da parte dell’idrogeno, l’elemento più abbondante nell’Universo. Una chiave fondamentale per la comprensione della struttura della nostra Galassia e delle galassie in genere. Il radiotelescopio di Arecibo detiene tuttora il record per la galassia più distante scoperta grazie a questa radiazione, che ha impiegato oltre 11 miliardi di anni per raggiungerci da questa lontanissima sorgente.

C’è infine un altro progetto per il quale Arecibo è famoso: SETI, che sta per ricerca di intelligenza extraterrestre. Sfruttando la capacità del radiotelescopio di trasmettere, nel 1974 venne emesso il segnale più forte mai lanciato dall’umanità nello spazio in direzione di un ammasso stellare composto da circa trecentomila stelle a 25000 anni luce da noi. Probabilmente un atto simbolico, ma chissà…magari fra cinquantamila anni verremo sorpresi. A parte questa singola trasmissione, la ricerca di segnali alieni venne condotta in modo passivo per trent’anni, senza però ricevere alcun messaggio riconoscibile.

Il radiotelescopio di Arecibo è stato uno strumento importantissimo, ma, come tutte le cose, anch’esso è invecchiato. Con gli anni l’interesse si è spostato verso altri esperimenti, lasciando il vecchio gigante con relativamente pochi finanziamenti. L’insieme di questi fatti ha portato al suo collasso, ma la radioastronomia continua ad essere uno strumento fondamentale per lo studio dell’Universo. All’orizzonte ci sono strumenti che faranno impallidire anche il buon vecchio radiotelescopio di Arecibo. Non solo FAST, ma soprattutto lo Square Kilometer Array (SKA), un progetto che vede coinvolta l’Italia a tutti i livelli, incluso quello economico, che metterà a disposizione della ricerca un’area collettrice molte volte più grande di quella del radiotelescopiodi Arecibo unita a una risoluzione fantastica.

Nel frattempo gli astronomi italiani, oltre a competere per ottenere tempo di osservazione dei grandi radiotelescopi internazionali, usano la grande antenna da 64 metri di diametro del Sardinia Radio Telescope (SRT) inaugurata nel 2013. Assieme alle antenne di Medicina e di Noto, SRT costituisce un’opportunità scientifica e un motore culturale per tutta la comunità della ricerca astrofisica.

 

 

 

 

 

 

Le rovine del telescopio di Arecibe

 

 

(*) Massimo Ramella, laureato in fisica con Margherita Hack, è astronomo associato INAF - Istituto Nazionale di Astrofisica presso l'osservatorio di Trieste. Dal 2005 si occupa di didattica e divulgazione dell'astronomia. Ha scritto a quattro mani con Margherita Hack "Stelle, pianeti e galassie. Viaggio nella storia dell'astronomia dall'antichità ad oggi".