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Si fa presto a dire numeri

Si fa presto a dire numeri

 

vademecum per non matematici

 

Fabio Fantini

 

  Il possesso di rudimentali abilità numeriche è ampiamente documentato fra gli animali. Mammiferi e uccelli di molte specie, sottoposti a rigorose prove sperimentali, si sono rivelati capaci di subitizzare e di effettuare semplici addizioni e sottrazioni. Subitizzare, dal latino subitus (improvviso, immediato), è un neologismo della psicologia, introdotto da E. L. Kaufmann nel 1949 é [1] per indicare la capacità di distinguere in modo rapido la numerosità di un gruppo di oggetti.

  Negli umani la capacità di subitizzare è già presente nei bambini di quattro mesi e mezzo, per poi rimanere sostanzialmente invariata nel prosieguo della vita. Questa capacità di cogliere a colpo d’occhio, senza contarli, il numero di pezzi che formano un gruppo è familiare a chiunque. Altrettanto familiare è anche il limite del nostro potere di subitizzazione, oltre il quale gli errori sono frequenti e comincia a prevalere lo sfumato concetto di «molti». Si può valutare la capacità di subitizzazione osservando gruppi di persone da un’auto in movimento. In genere non si è capaci di andare oltre i cinque elementi, anche se individui addestrati possono vantare un limite più alto, fino a otto o nove.

  Può forse stupire il fatto che le capacità di subitizzazione degli animali, perlomeno nelle specie in cui è stato possibile effettuare esperimenti per valutarla, non hanno nulla da invidiare a quella degli umani. Quando si tratta di cogliere al volo la numerosità di un piccolo insieme, noi valiamo quanto un corvo, una scimmia o un’ape [2]. Un po’ delusi? Non ce ne è motivo, questi risultati indicano semplicemente che la subitizzazione ha radici filogenetiche molto antiche.   La capacità di individuare la numerosità di piccoli insiemi ha probabilmente un ancestrale valore adattativo [3] ed è inserita nell’architettura neuronale ereditaria in un arco molto ampio di linee evolutive. Per quanto riguarda la nostra specie, un’area specializzata per apprezzare le quantità numeriche è stata individuata nella corteccia parietale inferiore[4].

  Muovendo un passo verso abilità più complesse della subitizzazione, i dati ottenuti, sia pure con la limitazione dovuta all’impossibilità per alcune specie di elaborare protocolli sperimentali adeguati, indicano che solo i Primati possiedono semplici abilità aritmetiche. Queste abilità diventano più cospicue in specifici individui, in particolare scimpanzé, allevati in cattività e sottoposti a intenso addestramento, ma non superano quelle di un bambino di pochi anni.

 

  La subitizzazione e l’aritmetica dei piccoli numeri sono una parte piuttosto contenuta della matematica. Se la subitizzazione sia alla base della capacità di contare, cioè di numerare ricorsivamente e in ordine progressivo gli oggetti, è argomento sul quale i pareri degli studiosi sono discordi. In ogni caso, le abilità numeriche della nostra specie costituiscono una caratteristica eccezionale, ben al di là di una semplice estensione quantitativa di quelle degli altri animali.    Sono proprio queste straordinarie capacità di numerazione ad averci consentito di individuare e descrivere le regolarità che caratterizzano lo svolgimento dei fenomeni naturali. A sua volta, la capacità di prevedere il funzionamento del mondo fisico in una misura inarrivabile da qualsiasi altra specie ha retroagito sui processi evolutivi, e ha favorito nelle popolazioni umane la diffusione dei geni responsabili del «senso del numero», cioè della capacità di analizzare la realtà in termini numerici[5].

  Il funzionamento del cervello non può non essere conforme al funzionamento del mondo fisico nel quale agiamo, pena l’insuccesso selettivo. La formazione di concetti attraverso l’elaborazione astratta e rigorosa finisce con il produrre risultati coerenti con la struttura del mondo fisico, al di là di come questa struttura sia rappresentata e soggettivamente interpretata. La matematica è un prodotto mentale collettivo, accumulato dall’opera di generazioni e generazioni di pensatori. L’efficacia della matematica per lo studio degli oggetti reali indica che i suoi concetti possiedono le stesse proprietà degli oggetti reali: universalità, precisione, coerenza, stabilità, generalizzabilità, possibilità di essere manipolati per originare nuove scoperte.

  Passare dalle abilità numeriche di base innate a una comprensione ricca e articolata della matematica richiede appropriate risorse cognitive. L’edificio cognitivo della matematica ricorre a meccanismi concettuali del pensiero quotidiano, inseriti in moduli comportamentali ordinari. I concetti sorgono dall’attivazione di specifici circuiti neurali, in questo caso si tratta di circuiti evolutisi per altri obiettivi e reclutati al pensiero matematico. Ne sono esempi il concetto del contenere e quello dell’orientamento, così importanti nell’insiemistica e nella geometria ma utilizzati comunemente in contesti non matematici.

  Sono emersi molti indizi che i sistemi neurali di controllo motorio siano profondamente coinvolti nel pensiero matematico. La stessa struttura neurale impiegata nel controllo di schemi motori complessi può anche essere usata per ragionare sugli eventi e sulle azioni. Lo stesso sistema di controllo può eseguire un movimento corporeo quando viene trasmesso un segnale ai muscoli, oppure eseguire un’inferenza razionale quando la trasmissione nervosa ai muscoli è inibita[6].

  La correlazione tra sviluppo delle capacità motorie e potenziamento del sistema nervoso è bene evidente nel phylum Molluschi. I Lamellibranchi, classe comprendente organismi sessili o scarsamente mobili, sono dotati di un sistema nervoso rudimentale e poco differenziato. I Cefalopodi, altra classe dei Molluschi, sono invece predatori che inseguono le prede e sono dotati di sistemi nervosi complessi, capaci di prestazioni comportamentali che collocano questi animali al vertice degli invertebrati. Un secondo esempio è fornito da organismi a noi filogeneticamente più prossimi, cioè le ascidie. Animaletti marini di limitata fama[7], le ascidie appartengono al nostro stesso phylum dei Cordati. La fase larvale delle ascidie è un organismo planctonico liberamente natante, che si nutre di piccole prede, caratterizzato da un sistema nervoso ben sviluppato. Nel passaggio allo stato adulto, l’organismo passa dalla forma natante alla forma sessile, che si ancora al substrato e nella quale il sistema nervoso regredisce a un anello faringeo, sufficiente per le limitate attività della nuova fase vitale dell’organismo.

 

 Quello di numero è un concetto astratto. I concetti astratti sono tipicamente compresi in termini di concetti più concreti grazie all’uso di metafore. Le metafore concettuali sono impiegate di continuo nel pensiero e nel linguaggio quotidiani[8]. La funzione principale delle metafore è quella di permetterci di ragionare su domini astratti utilizzando la struttura inferenziale di domini più concreti o comunque più familiari. L’operazione concettuale della metafora consiste nell’attivazione simultanea di due aree cerebrali distinte, con una fusione operativa che rafforza lo sviluppo dei contatti neurali tra i due domini[9] e provoca una correlazione di esperienze. Per esempio, quando si definisce una notizia gradita «miele per le mie orecchie», si attivano contemporaneamente due aree cerebrali distinte, quella dell’udito e quella del gusto.

  La raffigurazione mentale dei numeri è connessa alle percezioni sensoriali primordiali, in particolare a quella di spazio. La metafora spaziale più familiare e più ricca di implicazioni è quella che vede le operazioni aritmetiche come moto lungo un percorso. Fissati l’origine del percorso e il verso di percorrenza, più lontano ci si spinge maggiore è il numero corrispondente. Gli atti di movimento lungo il percorso corrispondono a operazioni sui numeri, ciascuno dei quali rappresenta una posizione lungo il percorso. L’immagine metaforica che ne risulta è la familiare rappresentazione chiamata retta dei numeri.

  I numeri naturali, cioè gli interi positivi, possono essere visti come corrispondenti a un equivalente numero di passi lungo il percorso. La retta non ha limite, e la stessa cosa vale per i numeri naturali: così come si può procedere ancora di un passo, poi di un altro ancora e così via, anche per i numeri naturali, dato un numero qualsiasi, se ne può ottenere uno maggiore aggiungendo uno, continuando a volontà. Come la retta, anche la successione dei numeri naturali prosegue indefinitamente attraverso il passaggio ricorsivo da un numero al suo successore. L’insieme dei numeri naturali è infinito.

  Benché infiniti, i numeri naturali non «riempiono» la retta. Fra un numero naturale e il successivo rimane «spazio». Esistono altri numeri, diversi dai numeri naturali anche se ugualmente collocati sulla retta. Se prendiamo in considerazione anche questi altri numeri, ci accorgiamo che i numeri naturali rappresentano un sottoinsieme di un insieme più vasto. Ma come, i numeri naturali sono infiniti e rappresentano un sottoinsieme di un insieme più vasto, cioè contenente un numero di elementi maggiore di infinito? Calma, ci arriveremo (anche se solo sfiorando l’argomento), ma per prima cosa torniamo alla retta dei numeri.

 

  I numeri naturali si collocano lungo la metaforica retta che ci facilita la loro rappresentazione: a ogni numero naturale corrisponde uno e un solo punto sulla retta. Non è vero, però, il contrario, perché a molti punti della retta non corrisponde un numero naturale. Questa affermazione, che non suonerà sorprendente a chiunque abbia un livello di scolarizzazione superiore alla terza elementare, ci porta a riconoscere l’esistenza di numeri non appartenenti all’insieme dei numeri naturali. Forse l’ultima frase andrebbe riformulata con un’intonazione più realistica: i numeri naturali, il cui numero è infinito, sono comunque un sottoinsieme di tutti i numeri.

  Straordinariamente (forse irragionevolmente[10]?) efficaci per misurare e descrivere la realtà fisica, i numeri sono spesso trattati in modo sbrigativo, senza soffermarsi a riflettere sulle loro caratteristiche e le loro proprietà. Abituati a pensare i numeri come un insieme indistinto, un turbinio di cifre accompagnate dagli opportuni operatori matematici, trascuriamo spesso che in matematica i numeri sono assegnati a classi (o tipi) diverse, ciascuna caratterizzata da specifiche proprietà. Per essere più precisi, poiché la relazione che lega queste classi è quella dell’inclusione, la successione delle classi corrisponde alla individuazione di insiemi sempre più ampi, per i quali valgono proprietà che estendono quelle degli insiemi inclusi. Grazie a queste proprietà, i numeri possono essere suddivisi in categorie dotate di precisi criteri di appartenenza.

 

Diagramma ad albero delle principali classi di numeri. La confluenza dei rami indica l’inclusione in una classe più generale, le cui caratteristiche sono ampie abbastanza da comprendere le classi che confluiscono. Possono essere definite anche altre classi di numeri, come numeri fattoriali o numeri armonici; le classi rappresentate hanno la caratteristica di essere partizioni della classe più ampia in cui sono comprese. Una rappresentazione alternativa a quella dell’albero dei numeri è un diagramma in cui sono evidenziate le relazioni di inclusione e di disgiunzione tra le classi dei numeri.    
Figura 1a  Figura 1 b    

Per fornirne un’immagine immediata delle relazioni che legano le principali classi di numeri, cioè per rappresentare in modo semplificato lo zoo dei numeri, faccio ricorso a una figura in cui mi sono imbattuto nella lettura di un piacevole libro di matematica divulgativa[11]. Un albero dei numeri, come quello rappresentato in figura, non è privo di suggestioni per un biologo, cui sono familiari gli schemi ad albero usati per descrivere le relazioni filogenetiche. Benché disegnato in modo meno elegante dei pittoreschi alberi filogenetici di Häckel, anche questo albero ha alla base un largo tronco che si suddivide in ramificazioni sempre più sottili. Le relazioni che legano le diverse classi di numeri non derivano, però, da ascendenze comuni, ma indicano relazioni di inclusione in insiemi via via più vasti man mano che si procede verso la base dell’albero. La rappresentazione di figura 1b può essere immaginata come una proiezione ortogonale dell’albero di figura 1a.

  Il diagramma di figura 1b, a sua volta, può essere descritto con la notazione insiemistica:

N ⊂ Z ⊂ Q ⊂ R ⊂ C

dove i simboli N, Z, Q, R, C indicano rispettivamente gli insiemi dei numeri naturali, dei numeri interi, dei numeri razionali, dei numeri reali e dei numeri complessi. Stabilito questo riferimento orientativo, possiamo cominciare la nostra sommaria visita dello zoo dei numeri.

 

  Non sarà sfuggito che ho chiamato «retta» l’ente geometrico di cui ho fatto uso nella metafora del percorso usata per rappresentare i numeri, ma in effetti quella che ho descritto è una semiretta, la cui origine è fissata in corrispondenza della metaforica origine del moto. Il modello può essere esteso per comprendere il dominio dei numeri anche nel verso opposto rispetto a quello finora considerato. La convenzione prescrive che la successione dei numeri naturali sia crescente da sinistra verso destra, pertanto si tratta di scoprire che cosa accade allorché torniamo indietro sui nostri passi, anche più indietro del punto di partenza, cioè sottraiamo una unità dopo l’altra al numero al quale eravamo arrivati. Giunti al punto corrispondente all’origine del primo passo, dobbiamo fare un primo, consistente sforzo immaginativo. Non tanto per capire che, se togliamo una unità da uno non ci rimane niente, ma per concettualizzare questo stato di assenza, di quantità e di movimento, come un numero esso stesso, lo zero.

  Mentre rappresentazioni simboliche dei numeri risalgono almeno a 35 000 anni fa[12], la conquista della concezione dello zero come numero, e non come semplice assenza, è stata un evento recente nella storia della matematica, che noi europei dobbiamo ai matematici indiani del VII secolo tramite la civiltà araba. Rendersi conto che zero è un numero richiese secoli di sviluppo del pensiero matematico. La ricompensa fu proporzionale allo sforzo: l’introduzione del numero zero risultò essenziale per sviluppare la numerazione posizionale, la base di tutto il nostro sistema di calcolo.

  Assicurataci la conquista dello zero, dobbiamo fare un ulteriore salto concettuale per introdurre il primo numero intero minore di zero. Poiché la distanza tra un numero intero e il successivo, o il precedente, è sempre la stessa, la distanza tra uno e zero deve essere la stessa che separa zero dal primo numero minore di zero. Zero occupa una posizione intermedia tra uno e questo numero, che non avremo difficoltà a indicare come «meno uno», cioè una unità meno di zero, ovvero un passo a sinistra dello zero. Preso il via, non ci fermerà più nessuno: il trucco consiste nel continuare a sottrarre una unità dopo l’altra: meno due, meno tre e via fin che vogliamo. Il risultato è che ora la nostra metaforica retta non sarà più dimezzata, spazierà da –∞ a +∞ e comprenderà un insieme, ugualmente infinito, che è chiamato insieme dei numeri interi relativi.

  La secolare riluttanza ad accettare i numeri negativi, che ancora fino al Rinascimeento e all’epoca dei Lumi erano considerati con sospetto[13], ci appare oggi immotivata. Può forse aiutarci a comprenderla una storiella umoristica che i matematici raccontano per mettere alla prova i loro interlocutori, gratificando della loro considerazione solo coloro che sanno riderne sinceramente. Dunque, la storiella è la seguente[14]. Tre amici, un fisico, un biologo e un matematico, sono seduti al tavolo di un bar e osservano una casetta poco distante, della quale sanno con certezza che è vuota. Due persone si dirigono verso la casa e vi entrano. Poco dopo, dalla casa escono tre persone. «Perbacco!» esclama il fisico «Ci deve essere qualche errore nei nostri strumenti di misura…» Il biologo si gratta la testa pensoso e sentenzia: «Ah, deve essersi trattato di un caso di riproduzione molto rapida, un evento eccezionale.» Il matematico fa un sorrisetto e dice: «Tranquilli, appena nella casetta entrerà un’altra persona, tornerà vuota.»

  I simboli –∞ e +∞ non indicano numeri, piuttosto concetti. Non ha senso dire di un numero n che esso è uguale a +∞, mentre ha senso affermare che un numero n tende a +∞ per indicare che n assume valori crescenti, maggiori di ogni limite prefissato, per quanto grande sia questo limite. La concettualizzazione dei numeri lungo la retta aiuta a visualizzare il concetto di ∞: per quanto ci allontaniamo, verso destra o verso sinistra, dal punto in cui abbiamo situato lo 0, per ogni punto che fissiamo, distante quanto si voglia dallo 0, è sempre possibile trovare un successore o un antecedente ancora più distante.

  La rappresentazione dei numeri lungo una retta conduce in modo conseguente alla metafora che consente di concettualizzare l’infinito, visto come la reiterazione illimitata di un processo discreto. Anche se il risultato di un processo senza fine, letteralmente, non esiste, il meccanismo della metafora ci permette di visualizzarne il risultato: processi che continuano indefinitamente sono rappresentati come aventi un fine e un risultato ultimo, appunto l’infinito.

 

  Qualche riga più sopra ci eravamo lasciati con la sorprendente affermazione che i numeri naturali, infiniti, sono un sottoinsieme di un insieme più vasto di numeri. Affermare che esista un insieme contenente un numero di elementi maggiore di quello di un altro insieme che ne contiene un numero infinito può in effetti suscitare qualche perplessità. Due insiemi sono considerati equivalenti, se contengono lo stesso numero di elementi. Per decidere se due insiemi sono equivalenti, si mettono in corrispondenza biunivoca i loro elementi, cioè si fa corrispondere a ciascun elemento del primo insieme uno e un solo elemento del secondo insieme. Nel caso in cui la corrispondenza possa continuare fino all’esaurimento di tutti gli elementi del primo insieme, mentre ce ne sono alcuni ancora non messi in corrispondenza nel secondo, allora il secondo insieme è maggiore del primo. In caso contrario, potremmo affermare che è il primo insieme a essere maggiore del secondo. Se, infine, l’operazione di messa in corrispondenza cessa per il contemporaneo esaurimento degli elementi in entrambi gli insiemi, allora potremo dire che i due insiemi sono equivalenti.

 

È possibile mettere in corrispondenza biunivoca l’insieme dei numeri naturali e l’insieme dei numeri naturali pari. I due insiemi sono equivalenti.    
Figura 2    

  Capisco bene che qualcuno obietterà che, se volessimo sapere se ci sono più abitanti in Cina o in India, esistono metodi più pratici che chiedere a ciascun cinese di stringere la mano a uno e un solo indiano (e viceversa), fino a che almeno una delle due popolazioni risulti completamente impegnata. Basterebbe contare i cinesi e gli indiani per poi vedere quale popolazione risulti più numerosa. Il fatto è che occorre un metodo generale, applicabile anche a insiemi contenenti numeri infiniti di elementi, che difficilmente possono essere sottoposti a un conteggio. Prendiamo in considerazione l’insieme dei numeri naturali e chiediamoci se questo insieme sia più o meno numeroso di quello costituito dai soli numeri naturali pari. Evitiamo di fornire risposte affrettate e procediamo con metodo: prendiamo il primo elemento del primo insieme e mettiamolo in corrispondenza con il primo elemento del secondo insieme. Procediamo sempre allo stesso modo, elemento dopo elemento: quale insieme si esaurirà per primo? La risposta è facile, ci siete già arrivati: nessuno dei due insiemi, che pertanto sono equivalenti. L’insieme dei numeri naturali pari è un sottoinsieme dell’insieme dei numeri naturali (infatti, non contiene i numeri dispari) e allo stesso tempo gli è equivalente (figura 2). È l’infinito, bellezza, si potrebbe celiare, in realtà la sorpresa può essere tale solo se si parte dal concetto, sbagliato, che infinito sia un numero, enorme ma pur sempre un numero. Come abbiamo appena visto, affermare che esiste un numero infinito di numeri naturali (e anche di numeri naturali pari) significa che, prendendone uno dopo l’altro in successione, non esauriremo mai la nostra scorta.

  La numerosità di un insieme, cioè il numero degli elementi contenuti, è chiamata cardinalità dell’insieme. Può essere assegnata la cardinalità anche a un insieme contenente un numero infinito di elementi, attraverso numeri transfiniti. Il numero degli elementi dell’insieme dei numeri naturali è indicato con il simbolo ℵ0 (alef con zero), pertanto si può dire che la cardinalità dell’insieme dei numeri naturali è ℵ0. Stessa cardinalità hanno anche gli insiemi che possono essere messi in relazione biunivoca con l’insieme dei numeri naturali, per esempio l’insieme dei numeri naturali pari, l’insieme dei numeri relativi e anche l’insieme dei numeri razionali (di cui ci interesseremo a breve). ℵ0 è il più piccolo numero transfinito: ne esistono, ma ormai la cosa non vi sorprenderà più, di maggiori, anzi una serie infinita di numeri transfiniti maggiori di ℵ0, indicati sempre con il simbolo ℵ, ma con indice via via crescente. Per esempio, ℵ1 è la cardinalità dell’insieme dei numeri reali, la cui infinità è maggiore di quella dei numeri naturali, relativi e razionali.

  Se tutto ciò sembra sorprendente, e magari anche paradossale, ricordate sempre che si tratta solo del primo passo nell’infinito e che i successivi passi possono essere ancora più sbalorditivi. Non è questo, però, il nostro campo di interesse, anche se a breve ci imbatteremo nell’insieme dei numeri reali, più numeroso di quello dei numeri naturali.

 

  Il passaggio da un numero intero al suo successore lungo la retta è un processo discreto, che avviene per scatti, come quando si passa da una pietra affiorante a un’altra nel guado di un corso d’acqua. Se raddoppiassimo la lunghezza del passo, procederemmo di due numeri in due, se la triplicassimo di tre numeri in tre e così via. Se, però, accorciassimo la lunghezza del passo, dove cadrebbe il nostro metaforico piede? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo ampliare la platea dei numeri oltre le classi dei numeri naturali e dei numeri relativi.

  Prendiamo come esempio il «passo» tra il numero intero 0 e il numero intero 1. Possiamo individuarne porzioni sempre più piccole, se ne consideriamo metà, un terzo, un quarto e via di seguito. Questa operazione consente di individuare sulla retta dei numeri distanze sempre più piccole. Se scriviamo sotto forma di frazione, la successione 1/2, 1/3, 1/4 ... 1/n non ha termine e conduce a segmenti sempre più piccoli. Potremmo allora pensare di scegliere un numero n grande a piacere, e di conseguenza un numero 1/n piccolo a piacere, e di riempire con questa piccolissima distanza l’intervallo che separa, nella nostra retta, il numero intero 0 dal numero intero 1. I nuovi numeri così introdotti, interposti tra un numero intero e il successivo (o il precedente), appartengono a una nuova classe di numeri, espressi dal rapporto (ratio in latino) tra numeri interi e chiamati pertanto numeri razionali. I numeri interi possono essere visti come casi particolari di numeri razionali, nei quali il rapporto tra numeratore e denominatore della frazione è un numero intero: per esempio, 4/2, 11/11, 9/3.

  Ogni numero razionale può essere espresso, oltre che come frazione, anche in forma decimale. Le espansioni decimali dei numeri razionali possono essere limitate, come nel caso 7/4 = 1,75, oppure illimitate, come nel caso 1/3 = 0,333333…, dove i puntini indicano che le cifre continuano all’infinito.

  La metafora spaziale dei numeri ci obbliga a pensare la retta dei numeri come continua. Se «ci spostiamo» da un numero all’altro, non possiamo fare a meno di attraversare, con il nostro movimento, tutte le posizioni intermedie. Non ci possono essere, pertanto, «buchi» nella retta dei numeri. Il fatto di potere ottenere frazioni piccole a piacere può farci illudere che i numeri razionali «riempiano» la retta, ma non è così.

Esistono, infatti, numeri che non sono esprimibili attraverso un rapporto tra interi, e ce ne sono parecchi. Questi numeri sono chiamati numeri irrazionali.

 

  La scoperta dei numeri irrazionali, che risale ad almeno 2.500 anni fa, scosse dalle fondamenta la rappresentazione del mondo più elaborata e complessa fino ad allora sviluppata, almeno nell’area delle civiltà mediterranee. Si trattava di una rappresentazione che fino a quel momento era sembrata geniale, solida, fruttuosa e inattaccabile. La sua messa in crisi fu qualcosa di paragonabile al vicolo cieco in cui si era cacciata la fisica classica alla fine dell’Ottocento con la catastrofe ultravioletta.

  La scuola pitagorica, fondata da Pitagora nella Magna Grecia nel VI secolo a. e. v., aveva elaborato una dottrina fondata sull’interpretazione della natura in base ai numeri interi e ai loro rapporti. Questo modello, il cui approfondimento era riservato agli adepti di quello che era un vero e proprio culto mistico, sembrava capace di spiegare ogni aspetto della natura, a cominciare dai rapporti tra i suoni musicali. La scoperta di grandezze incommensurabili, cioè non esprimibili in termini di rapporti tra numeri interi, causò la catastrofe epistemica della scuola. Ironia vuole che la scoperta dell’esistenza di numeri irrazionali derivi proprio dall’applicazione del teorema che dal fondatore della scuola prende il nome. Basta ricorrere al teorema di Pitagora per calcolare la lunghezza dell’ipotenusa del triangolo rettangolo con cateti uguali e di lunghezza unitaria: si ottiene il valore √2, una grandezza irrazionale.

  Secondo la leggenda, gli adepti della scuola pitagorica avrebbero scelto di mantenere il più assoluto riserbo sulla devastante scoperta. Uno di loro, però, Ippaso da Metaponto, avrebbe contravvenuto al vincolo di segretezza e fatto crollare la fama della scuola stessa, irritando a tal punto i suoi colleghi che questi, dopo averlo subdolamente invitato a una gita in barca, lo affogarono. Dobbiamo convenire che a Max Planck andò molto meglio: il premio Nobel sembra decisamente preferibile alla morte per affogamento.

 

Spirale di Teodoro    
Figura 3    

Chiusa questa breve parentesi di indagine criminale, torniamo ai numeri irrazionali e al loro rappresentante più celebre, √2. La dimostrazione della irrazionalità di √2 è semplice, dal punto di vista del calcolo è alla portata di un alunno di seconda media[15]. A renderla intellettualmente impegnativa, tanto da consigliarne la trattazione in una fase successiva del percorso scolastico, è il fatto che si ricorre a una dimostrazione per assurdo, un brillante strumento logico inventato dai greci che comporta un certo livello di astrazione.

  Non dobbiamo pensare ai numeri irrazionali come a entità misteriose e vagamente preoccupanti, in realtà essi sono ben tangibili e facilmente rappresentabili. Un esempio è offerto dalla spirale di Teodoro (figura 3), un diagramma che consente di rappresentare geometricamente la radice quadrata di qualsiasi numero (con un po’ di pazienza, ovviamente) elaborato da Teodoro di Cirene nel IV secolo a. e. v. Lo schema ha inizio con il triangolo rettangolo i cui cateti hanno entrambi lunghezza unitaria e prosegue con la costruzione di successivi triangoli rettangoli, nei quali un cateto corrisponde all’ipotenusa del triangolo precedente e l’altro cateto ha sempre lunghezza unitaria.

  Come le frazioni, anche i numeri irrazionali possono essere espressi in forma decimale. √2, per esempio, è esprimibile in forma decimale come 1,414213562373… I puntini sospensivi indicano che la successione decimale continua all’infinito. La stessa rappresentazione può essere usata anche per numeri razionali: 23/7 = 3,285714285714… C’è però un’importante differenza: mentre la successione decimale di un numero irrazionale è illimitata e non ripetitiva, le espansioni decimali dei numeri razionali sono ripetitive, caratterizzate dalla ripetizione dello stesso blocco finito di cifre, come si può notare nel caso di 23/7. In alcuni casi, nella successione decimale il blocco ripetuto è preceduto da un piccolo blocco di cifre diverse.

  Anche i numeri irrazionali hanno una posizione nella retta dei numeri, che si può pensare, in prima approssimazione, come compresa fra un numero razionale immediatamente maggiore e un numero razionale immediatamente minore. Per esempio, la posizione di √2 è certamente compresa tra 1103/780 = 1,41410256410256… e 1379/975 = 1,41435897435897…

 

  I numeri irrazionali sfuggono all’espressione attraverso una frazione, ma rimane sempre possibile identificarli con precisione mediante un’equazione algebrica. Per esempio, l’equazione x2 = 2 ha come soluzioni x = ±√2. Esistono, però, anche numeri irrazionali che, oltre a non essere esprimibili come rapporto tra interi, non corrispondono neanche alla soluzione di un’equazione algebrica. Questi numeri, chiamati numeri trascendenti, hanno un’espansione decimale illimitata e non ripetitiva. I più noti numeri trascendenti sono π, e, f, che indicano rispettivamente il rapporto tra la lunghezza della circonferenza e il diametro di un cerchio, il limite della successione (1+1/n)n per n che tende all’infinito, il rapporto fra due segmenti, il maggiore dei quali è medio proporzionale tra il segmento minore e la somma dei due segmenti.

Se estendiamo il nostro repertorio di numeri per comprendere anche i numeri irrazionali e quelli trascendenti, otteniamo l’insieme dei numeri reali. Con l’insieme dei numeri reali la retta dei numeri è ormai «riempita»: esiste una corrispondenza biunivoca fra numeri reali e punti della retta. La cardinalità dell’insieme dei numeri reali è maggiore di quella dell’insieme dei numeri razionali.

 

 Il piacevole senso di completezza ricavato dalla definizione del campo dei numeri reali non è destinato a perdurare. Ci sono, infatti, anche altri numeri. Numeri non reali, pertanto da situare al di fuori della retta che abbiamo considerato finora. Questi numeri sono chiamati numeri immaginari.

  Ci si potrebbe legittimamente chiedere da dove escono questi numeri immaginari e che bisogno ne abbiamo mai. Torniamo indietro nel tempo di alcuni secoli. Nel Cinquecento molti matematici europei, alle prese con le soluzioni di equazioni di grado superiore al primo, si erano già imbattuti in numeri che si potrebbero definire, con sottile eufemismo, stravaganti. Ne avevano ricavato indovinelli matematici apparentemente banali, ma che si rivelavano impossibili da risolvere. Un esempio di questi indovinelli è il seguente: Trovare due numeri la cui somma sia 10 e il cui prodotto sia 30.

  Fingiamo di non avere notato l’evidente trabocchetto inserito nel quesito[16] e proviamo a risolverlo facendo ricorso a un’equazione. Se chiamiamo x uno di questi numeri, l’altro è (10 – x) e pertanto il loro prodotto, x · (10 – x), deve essere uguale a 30. Si può scrivere l’equazione di secondo grado – x2 + 10x – 30 = 0, alla quale applicare la nota formula risolutiva per ricavarne le radici: x1 = (10 + √(100 – 120)) / 2 = (10 + √(–20)) / 2 = 5 + √–5; x2 = (10 –√(100 – 120)) / 2 = (10 – √(–20)) / 2 = 5 – √–5.

  In entrambe le soluzioni compare la radice quadrata di un numero negativo, un numero che non può appartenere al dominio dei numeri reali, perché il prodotto di un numero reale per se stesso non può mai essere negativo. In questi casi, la procedura ortodossa, nei corsi di matematica delle scuole medie superiori, prevede che i risultati siano dichiarati inaccettabili. Se esistono altre soluzioni, si ripiega su quelle, scartando le soluzioni «impossibili», altrimenti il problema è dismesso come «privo di senso».

  Non tutti i matematici furono disposti ad accettare una soluzione così radicale, sbrigativa e dogmatica. Dopo esitazioni e incertezze durate un paio di secoli, i matematici si convinsero della legittimità di considerare le radici quadrate, e più in generale le radici con indice pari, di numeri negativi come numeri a tutti gli effetti, anche se non appartenenti al dominio dei reali. Superata la tentazione di chiamarli numeri irreali, si finì con il chiamarli numeri immaginari. Il merito di questa denominazione spetta ad Eulero, cui dobbiamo anche il simbolo i per l’espressione √–1. L’enigmatico numero √–5 comparso nell’equazione risolutiva del quesito–trabocchetto riportato poco sopra può allora essere scritto come √5 i e le soluzioni diventano: x1 = 5 + √5 i; x2 = 5 – √5 i.

  Se pensate che si tratti di un aggiustamento formale, elaborato giusto per dare soddisfazione all’ansia perfezionistica di qualche matematico, avete fatto i conti senza l’oste. Perché la somma 5 + √5 i + 5 – √5 i vale esattamente 10, mentre il prodotto (5 + √5 i)· (5 – √5 i) vale esattamente 30. Certo[17], non si tratta di numeri reali (mica si può avere tutto dalla vita), ma la soluzione è servita!

 

  I numeri immaginari non sono numeri reali, per loro non c’è «posto» sulla retta dei numeri reali. Per rappresentare i numeri immaginari nella consueta metafora spaziale, dobbiamo ricorrere a una seconda retta, distinta da quella dei numeri reali. Si ricorre a una retta perpendicolare alla retta dei numeri reali, con intersezione nel punto 0. La costruzione che ne deriva è familiare, perché si tratta di un sistema di coordinate cartesiane che divide il piano in quattro regioni. È in questo piano che possono essere rappresentati numeri come 5 + √5 i, chiamati numeri complessi perché formati da una parte reale e una parte immaginaria.

 

Rappresentazione nel piano complesso dei numeri 5+√5i, corrispondente al punto P1 di coordinate 5, √5i, e 5 –√5i, corrispondente al punto P2, di coordinate 5, –√5i. Entrambi i punti giacciono al di fuori della retta dei numeri reali.    
Figura 4    

   I numeri complessi si scrivono nella forma x + yi, dove x e y rappresentano numeri reali e i =√–1. Se si procede nel convenzionale senso orario a partire dal quadrante in alto a destra, i punti che giacciono in queste regioni corrispondono rispettivamente a numeri complessi con parte reale e parte immaginaria entrambe positive, con parte reale positiva e parte immaginaria negativa, parte reale e parte immaginaria entrambe negative. parte reale negativa e parte immaginaria positiva. Se il parametro x assume valore 0, il numero complesso si riduce a un numero immaginario, che giace sulla retta dei numeri immaginari. Se il parametro y assume valore 0, il numero complesso si riduce a un numero reale, che giace sulla retta dei numeri reali. L’unico punto in comune alle due rette, quella dei numeri reali e quella dei numeri immaginari, è lo 0, che si ottiene quando x e y valgono entrambi 0 (figura 4).

  Il piano complesso consente una interpretazione geometrica dei numeri complessi e delle operazioni che li riguardano, per effettuare le quali è conveniente ricorrere alle somme vettoriali e alle coordinate polari[18]. Per la loro possibilità di essere espressi tramite un valore numerico, cioè un modulo, e una direzione, i numeri complessi si sono dimostrati uno strumento molto utile per descrivere fenomeni fisici, ad esempio in fluidodinamica e in elettrodinamica. Chi ha buona memoria ricorderà che l’unità immaginaria i compare anche nell’equazione di Schrödinger, alla base della fisica quantistica.

 

Note

 

1 Kaufman E, Lord M, Reese T, Volkmann J, The discrimination of visual number, The American Journal of Psychology, 1949, 62, 498–525.

2 Hurford J R, The origins of meaning: language in the light of evolution, Oxford, Oxford University Press, 2007.

3 Nell’ambiente di vita, risorse e minacce si presentano spesso in modo discreto: la capacità di elaborare rapidamente una stima quantitativa capace di indirizzare l’individuo verso il vantaggio maggiore o il pericolo minore può contribuire ad aumentare le probabilità di sopravvivenza.

4  Dehaene S, La bosse des maths, Parigi, Odile Jacob, 1997 (trad. it Il pallino della matematica, Millano, Mondadori, 2000)

5 In italiano manca un termine specifico per indicare la capacità di affrontare il lato quantitativo del mondo e ho fatto ricorso a una locuzione. In molte lingue europee esiste una parola specifica per indicare il concetto: numeracy in inglese, numeratie in francese, numerismo in spagnolo, numeracia in portoghese, racunanje in serbo–croato, Rechnen in tedesco, gecijferdheid in olandese. In letteratura, per quanto riguarda l’italiano, si trova però il termine «snumeratezza», appunto per indicare la scarsa familiarità con i numeri e con le misure quantitative.

6 Narayanan S, Embodiment in language under standing: sensory–motor representations for metaphoric reasoning about event descriptions, tesi di dottorato, Department of Computer Science, University of California, Berkley, 1997.

7 In alcune località costiere italiane le ascidie sono ben note, anche se in genere con altri nomi come «tartufi di mare», e apprezzate come leccornie. Forse sarebbe meglio girare al passato il verbo della frase precedente, perché dal 2004 le ascidie rientrano nel novero delle specie protette e la loro pesca è vietata.

8 Lakoff G, Johnson M, Metaphors we live by, Chicago, University of Chicago Press, 1980 (trad. it. Metafore e vita quotidiana, Milano, Bompiani, 1988)

9 Lakoff G, Núnez R E, Where mathematics comes from. How the embodied mind brings mathematics into being, New York, Basic Books, 2000 (trad. it. Da dove viene la matematica. Come la mente embodied dà origine alla matematica, Torino, Bollati Boringhieri, 2005)

10 Eugene Wigner espresse in maniera articolata il problema della cosiddetta irragionevolezza della matematica, capace di fornire in anticipo strumenti, non solo numerici, in grado di descrivere il funzionamento dei sistemi naturali, in un suo scritto del 1959:  https://maths-it.org.uk/Wigner.html. Communications on Pure and Applied Mathematics, 13: 1–14.

11  Cresci L, I numeri celebri, Torino, Bollalti Boringhieri, 2000.

12 La più antica traccia nota di un conteggio ben oltre i limiti della subitizzazione da parte di un umano è un osso di babbuino con incise ventinove tacche, risalente a circa 35 000 anni fa. L’osso, rinvenuto nelle montagne Lebombo, nello Swaziland, potrebbe essere stato un rudimentale bastone da calcolo. Per calcolare che cosa, non sappiamo, ma il numero 29 suggerisce qualcosa a chiunque abbia qualche conoscenza dei cicli lunari o della fisiologia dell’apparato riproduttore femminile.

13 Ancora nella seconda metà del Settecento D’Alembert scriveva nella Encyclopedie che «[le quantità negative] si trovano precedute dal segno meno solo perché c’è qualche errore non rilevato nella definizione del problema o nell’operazione».

14 La mia fonte per la storiella è Cresci L, op. cit.

15 Se √2 fosse un numero razionale, allora potrebbe essere espresso sotto forma di frazione a/b, dove a e b sono due numeri interi primi tra loro, cioè che non hanno fattori comuni. Potremmo allora scrivere √2= a/b => 2 = a2/b2 => 2b2 = a2. Poiché nel prodotto 2b2 compare il fattore 2, il numero 2b2 deve essere un numero pari e pertanto è un numero pari anche a2. Poiché i quadrati dei numeri dispari sono anche essi numeri dispari, consegue che anche a è un numero pari, esprimibile pertanto come 2·m, dove m è un numero intero. Avremo allora 2b2 = 4m2 => b2 = 2 m2, relazione che implica che anche b è un numero pari. Questa inevitabile conclusione contraddice l’assunto di partenza, cioè che la frazione a/b, posta uguale a √2, fosse il rapporto tra due numeri primi tra loro. L’assunto di partenza porta a una contraddizione, pertanto deve essere falso.

16 Per chi, camminando con il naso in direzione ortogonale alla superficie, non avesse avuto sentore del trabocchetto, ricordo che l’equazione y=– x2 + 10x, che esprime il prodotto di due numeri la cui somma sia 10 ed è rappresentata nel piano cartesiano da una parabola con concavità verso il basso, ha un massimo, corrispondente al vertice della parabola, per x=5 (valore che annulla la derivata prima dell’equazione), al quale corrisponde il valore di ordinata y=25. Vale a dire, il prodotto di due numeri reali la cui somma sia 10 non può essere maggiore di 25.

17 Per quanto riguarda la somma, è evidente che due quantità identiche di segno opposto si annullano, così come è evidente che 5+5=10. Per quanto riguarda il prodotto, si tratta di un prodotto notevole (somma di due monomi moltiplicata per la loro differenza), con una importante differenza rispetto ai numeri reali: il prodotto i·i =i2 equivale a elevare al quadrato una radice quadrata, quella di –1, pertanto il risultato è –1. Il prodotto della somma di due monomi per la loro differenza diventa così uguale alla somma dei quadrati dei due monomi, anziché alla loro differenza come accade con i numeri reali. Avremo pertanto: (5+ √5 i)·(5– √5 i) = 25–5 √5 i +5 √5 i – √5 i · √5 i = 25 –√52 i2= 25–(–1)·5 = 25+5=30.

18 Con le coordinate polari ogni punto del piano è identificato da una distanza, compresa tra il punto considerato e un punto fisso detto polo (l’origine delle coordinate), e da un angolo, misurato in senso antiorario a partire dalla semiretta delle ascisse positive.