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I prof lavorano 40 ore alla settimana?

I prof lavorano 40 ore alla settimana?

da TUTTOSCUOLA - 03/12/2012


La lettera inviata sabato al Corriere della Sera da due insegnanti della scuola secondaria di I grado “Quintino Di Vona” di Milano, in rappresentanza anche di un gruppo di loro colleghi, merita una particolare attenzione, anche perché si inserisce nel tema caldo, tuttora aperto, delle ore di insegnamento dei professori italiani.

La proposta, anche se ormai decaduta, di portare da 18 a 24 ore settimanali l’orario settimanale dei prof sembra avere risvegliato una categoria silenziosa che ha deciso di difendersi da sola, anche senza l’appoggio sindacale, per ristabilire quella che ritiene, a torto o a ragione, la verità sul loro lavoro.

Accompagnata da una garbata lettera delle due prof, viene pubblicata una tabella  che analiticamente quantifica in ore annue tutti gli impegni di lavoro degli insegnanti che si aggiungono alle ore di insegnamento dalla cattedra (Trattati come liberi professionisti, pagati come operai, lamentano giustamente)

Così risulta - secondo la tabella - che l’extracattedra vale quasi il doppio dell’orario cattedra: 1.147 ore all’anno contro 612 per un totale complessivo di 1.759.

Distribuendo quelle 1.759 ore di lavoro sul periodo settembre-giugno (44 settimane), gli impegni orari di lavoro di quelle insegnanti, precisa la tabella, sono pari a 40 ore settimanali (esattamente 39,98), come quelle di un metalmeccanico (che però, ricordiamolo, lavora in media undici mesi all’anno). 40 ore che equivalgono a 8 ore al giorno, visto che per contratto i docenti hanno un giorno libero a settimana.

Prendiamo atto del lungo elenco di impegni che, siamo sicuri, sarà oggetto di discussione e forse di polemiche, ma evidenziamo in particolare due voci che da sole pesano complessivamente molto di più delle 612 ore annue di cattedra: preparazione delle lezioni e delle verifiche (402 ore annue) e correzioni dei compiti e delle verifiche (altre 375 ore) per un totale di 777 ore annue. Spalmate sulle 34 settimane di lezione annue, quelle 777 ore valgono 23 ore settimanali che vanno ad aggiungersi alle 18 spese in cattedra. Senza contare il resto.

Ai molti lettori di Corriere.it che non hanno gradito il meticoloso calcolo dell’impegno dei docenti risponde, in modo pacato e competente, il Capo Dipartimento del Miur Lucrezia Stellacci: E’ vero, c’è chi non impiega 1759 all’anno. Ma conosco tanti che dedicano dodici (ore) al giorno agli studenti: sono quelli che vivono il loro lavoro come una missione. Il vero problema - continua - è che non c’è valutazione, non c’è carriera, non c’è controllo. Tutto è affidato alla propria coscienza e alla capacità dei dirigenti di coinvolgere tutti. (Corriere della Sera del 2/12/2012).

 

Non abbiamo motivo di non credere alle due professoresse, ma non sappiamo se quella quantità di lavoro possa valere per tutti o almeno per la maggioranza. Aspettiamo indicazioni dai lettori: fateci sapere se i calcoli fatti dalle docenti milanesi corrispondono alla vostra realtà.

 

Tra i professori stessa retribuzione e differenti carichi lavoro

Prendendo per buona la tabella delle insegnanti di Milano che hanno dettagliatamente quantificato sul Corriere della Sera i loro impegno orari nell’anno, per una media settimanale - nel periodo in cui le scuole sono aperte - di 40 ore complessive di lavoro svolto parte a scuola e parte a casa, sorgono alcune riflessioni.

Prima di tutto c’è il confronto interno alla stessa scuola per gli effettivi impegni di lavoro dei docenti, tra quelli che hanno compiti da correggere a casa, come ad esempio i docenti di lettere, di matematica e di lingua straniera e gli altri. E dietro i compiti da correggere, ci sono le verifiche, da preparare e anch’esse da correggere.

In termini di carichi di lavoro effettivi è notevole la sperequazione all’interno della stessa scuola e dell’intera categoria, con una differenza stimabile in almeno un terzo. Eppure, poiché è l’orario di lezione, le 18 ore, che identifica la funzione, non c’è contrattualmente differenza nemmeno nella retribuzione che è uguale per tutti, per il docente di lettere e per quello di educazione fisica.

Ma anche a parità di disciplina insegnata, l’impegno e il tempo dedicato può variare da persona a persona. C’è da scommettere che ci siano colleghi delle due insegnanti milanesi che fanno anche più ore tra scuola e casa, e altri che ne fanno molte meno.

Questo accade anche in molte altre professioni. Prendiamo le aziende: sin dall’inizio ci sono nuovi assunti che si fermano fino alla sera tardi, e altri ai quali “cade la penna” allo scadere dell’orario di lavoro contrattuale. Nel tempo però di solito le carriere si differenziano: chi si applica di più, contribuendo di più alla causa (ovviamente non solo in termini di quantità di lavoro ma di qualità e spessore, anche se spesso le cose vanno di pari passo), farà più strada, arrivando a posizioni (e stipendi) molto diverse.

Nella scuola no. Si parte uguali, si arriva uguali, indipendentemente dalla quantità e dalla qualità del servizio reso. Eppure, non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali, diceva Don Milani (Lettera ad una professoressa).

La domanda da porsi è: quali sono le condizioni di percorso di carriera, con i relativi meccanismi di avanzamento, e di contesto lavorativo in generale che possono favorire un clima in cui il lavoratore si senta stimolato a dare il meglio anche perché vede riconosciuto (in tanti modi, non solo in senso economico) il proprio impegno?

È nell’interesse sia del lavoratore, sia del datore di lavoro (e nel caso della scuola, che è un servizio pubblico, della collettività) che si verifichino quelle condizioni, che oggi non sussistono.