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Ascoltare

 

Alberto Manzi al lavoro con un gruppo di alunni (foto RAI)

Modi e strumenti del fare scienze alla scuola primaria

 

Ascoltare

 

Per “Andare a prenderli là dove sono, e trovare una strada per accompagnarli dove li vogliamo condurre” (Wittgenstein)

 

Maria Castelli

 

 

 

Nella ricerca

 

Da tempo, la ricerca didattica ha validato la valorizzazione delle esperienze e delle conoscenze degli alunni, a partire dalle quali l’insegnante promuove acquisizioni nuove e significative. Le “Indicazioni nazionali per il curricolo”, nella parte introduttiva vincolante per i docenti, definiscono l’ambiente di apprendimento della scuola primaria, sottolineando alcuni principi metodologici che contraddistinguono un’efficace azione formativa. “Nel processo di ap­prendimento l'alunno porta una grande ricchezza di esperienze e conoscenze acquisite fuori dalla scuola e attraverso i diversi media oggi disponibili a tutti, mette in gioco aspettative ed emozioni, si presenta con una dotazione di informazioni, abilità, modalità di apprendere che l'azione didattica dovrà opportunamente ri­chiamare, esplorare, problematizzare. In questo modo l'allievo riesce a dare senso a quello che va imparan­do.” (1)

 

Maria Arcà entra nel merito, con riferimento alla Biologia: “Se l'insegnante di fatto guida l'apprendimento dei bambini, è altrettanto vero che i bambini guidano l’insegnamento, portando a loro volta l’adulto a vedere i problemi di conoscenza o di "contenuto" che vengono sottintesi da ogni seria attività di spiegazione. Ed è necessario ascoltarli "bene" perché, discutendo tra loro, i bambini dichiarano più o meno implicitamente il loro bisogno di migliori o diverse spiegazioni; denunciano, con vari espedienti, i collegamenti, le coerenze, le evidenze che sono stati trascurati o non chiariti; convalidano certi passaggi; mettono in evidenza certi salti logici nella successione delle spiegazioni […].

Ma se si vuole che il parlare insieme sia utile, si deve fare in modo che i bambini siano onesti nei confronti della loro stessa comprensione e conoscenza dei fatti. Che essere onesti è possibile sembra la cosa più profonda e seria di cui, fin dai primi momenti di scuola, è necessario convincerli: attraverso una corrispondente onestà degli adulti che si manifesta nei momenti di insegnamento come nel rapporto di convivenza reciproca.

Far parlare i bambini, e parlare con loro, serve anche a costruire un rapporto didattico di solidarietà e fiducia, serve per condividere uno stesso impegno nei confronti degli obiettivi da raggiungere e non si tratta solo di un espediente, per valutare il livello di apprendimento o per smascherare le concezioni o conoscenze sbagliate.” (p.26) (2)

 

La ricerca in campo neurocognitivo, in modo interessante e convincente, riconosce validità al modo di operare appena descritto.  Stanislas Dehaene, scrive che “Imparare significa riuscire a inserire nuove conoscenze all’interno di una rete esistente” (p.59).

“Fin da piccolo, il bambino segue l’adulto con lo sguardo. Presta un’attenzione estrema all’area degli occhi delle persone con cui interagisce. Non appena gli si dice qualcosa, il suo primo istinto non è quello di esplorare la scena, ma di incrociare lo sguardo della persona che gli sta parlando. È solo dopo che ha agganciato lo sguardo che il bambino si gira nella direzione verso cui sta guardando l’adulto. Questa capacità di condivisione sociale, nota come attenzione condivisa, determina ciò che il bambino impara.” (pag. 208)

“Genitori, insegnanti, tenete sempre a mente questo fatto importante: il vostro atteggiamento e il vostro sguardo cambiano tutto per il bambino. Catturare l’attenzione del bambino per mezzo del contatto visivo e verbale significa assicurare che il bambino condivida la vostra attenzione e moltiplicare le possibilità che conservi le informazioni che cercate di trasmettergli.” (pag. 210)

“Qualsiasi relazione pedagogica reale implica una forte connessione mentale tra l’insegnante e lo studente. Il buon maestro costruisce un modello mentale del suo allievo, delle sue competenze e dei suoi errori e fa del suo meglio per fargli fare progressi […]. Qualsiasi relazione educativa sana deve essere fondata sull’attenzione, l’ascolto, il rispetto e la fiducia, in entrambe le direzioni.” (pag. 213) (3)

 

 

In classe

 

La riflessione sull’esperienza quotidiana con le classi convince del fatto di non poter fare diversamente, se si desidera che gli alunni capiscano. Bisogna “ascoltare”, in senso esteso, come abito mentale teso ad intercettare ogni restituzione: comportamenti, risposte, riflessioni, testi, disegni, modelli, ma l’elenco è incompleto.  S’intende cioè un ascolto attivo, quello che si fa attraverso l’udito e con lo sguardo attento, che lascia percepire al bambino – perché ognuno deve sentirsi protagonista singolarmente – che l’insegnante ha bisogno di capire qual è il suo pensiero, all’inizio, poi durante e ancora al termine di un percorso di apprendimento. Il clima di fiducia che l’insegnante riesce a creare veicola i messaggi più importanti e decisivi, perché i bambini hanno “antenne” sensibili e sentono ciò che ci si aspetta da loro, percepiscono se l’insegnante li vorrebbe attivi e “accesi” oppure, anche con tanto garbo affettuoso, manda il messaggio che a scuola si sta ad ascoltare e poi a rispondere ciò che vorrebbe sentire.     

   

All’inizio si tratta di raccogliere le informazioni necessarie ad elaborare una prima traccia, una prima rete di concetti e di attività, attraverso il confronto fra dove stanno gli alunni con le loro idee e una mappa concettuale della disciplina, per la parte in oggetto, che il docente ha elaborato per stabilire dove e come può guidare la classe. Sono molti infatti i percorsi di apprendimento che si possono intraprendere attorno ad un tema importante e sono molteplici i modi. L’insegnante può partire con un progetto ”a maglie larghe”, non precostituito, preconfezionato, non una sorta di “capo in taglia unica” che andrebbe bene per tutti, ma una proposta da realizzare passo passo insieme alla classe, procedendo con una dinamica “circolare”: dall’insegnante, agli alunni, all’insegnante, che saprà calibrare il percorso di apprendimento sulla base degli “input” che emergono “in itinere”.    

Infatti, in itinere, così come all’inizio, occorre tener d’occhio l’apprendimento, una sorta di valutazione continua, attenta a cogliere le ambiguità nascoste nell’uso del linguaggio e nella comprensione dei significati, per decidere dove soffermarsi più a lungo e quando procedere. L’ascolto fa parte della ricerca personale e come tale è anche fonte di gratificazione e di formazione per l’insegnante.

Alla fine di un percorso, che rappresenta sempre una tappa momentanea del cammino lungo un quinquennio, si possono radunare tutti gli elementi di osservazione diretta di ciascun alunno e del gruppo classe, per un quadro più generale di valutazione della situazione, utile innanzitutto all’insegnante.

 

I modi e i tempi dell’ascolto saranno di volta in volta i più adatti: il semplice brainstorming, la discussione, le domande stimolo, le provocazioni con attività mirate, le conversazioni, il richiamo ad attività precedenti, la narrazione, le immagini, l’abbozzo di un primo modello disegnato o costruito concretamente, per elencare i più noti.

Questo modo di procedere è irrinunciabile, se non si vuole semplicemente giustapporre informazioni slegate alle conoscenze già possedute da ciascun bambino; l’attenzione a ciò che pensano e recepiscono di volta in volta gli alunni permette all’insegnante di costruire contesti che provochino dissonanze e che mettano in crisi la rete di conoscenze consolidate, di sollecitare domande, di favorire un atteggiamento attivo e costruttivo che crei le condizioni perché ciascuno sia motivato a rielaborare e ricostruire significati e relazioni fra gli stessi. È necessario saper cogliere nelle idee espresse dai bambini il loro modo di costruire la conoscenza e confrontare queste acquisizioni con i concetti e le conoscenze scientifiche, per portare gli alunni ad elaborare una nuova rete di conoscenze. Occorre che l'insegnante sia disponibile a costruirsi, magari strada facendo, una conoscenza disciplinare, didattica e metodologica che le permetta di accompagnare le sue classi in questo cammino, che è sempre nuovo, sempre da rifare in modo un po' diverso, ogni volta coinvolgente e fortemente motivante.

 

Dai diari di bordo, ho scelto momenti di ascolto che documentano come siano stati utili alla conduzione del lavoro, incominciando da un percorso svolto in classe terza, che ha per protagonista un animale già noto a tutti i bambini: il lombrico.  

 

Allevare lombrichi in terrario    (classe terza)

Incomincio chiedendo ai bambini che cosa conoscono del lombrico.                                        

S.C. – Vanno/stanno nella terra.

G.C. – Possono rovinare la terra, mangiano le foglie, strisciano e vanno sugli alberi.

Li hai visti sugli alberi? G.C. conferma…. sul tronco!

Si. – Danno concime per l’erba. Fanno la cacca e quella aiuta a crescere le piante.

E. – Mangiano anche le foglie di insalata, ne ho trovati uno o due nell’insalata.

Chi. – Strisciano e si possono allungare e se li prendi in mano ti devi lavare le mani perché sono sporche di germi.

G. – Se li tagli in due, continuano a vivere le due metà.

C. – Possono camminare indietro e anche in avanti, li ho visti.

Chi. – No, vanno dalla parte della testa. C. dice così perché non vede da che parte è la testa. All’asilo ce n’erano tanti in giardino nella terra, L. li prendeva sempre in mano e li schiacciava.

S. – Quando sono sotto terra con la bocca prendono la terra e la sputano da dietro. Credo che dentro la terra ci sia qualcosa che gli piace, la mangiano!

Al. – Ho visto un lombrico sul cemento, la zia me l’ha fatto mettere nella terra sennò muore.

G. M. – Il lombrico non ha né zampe né ventose. È diverso dal bruco.

Si. – Il bruco cammina, il lombrico striscia.

E. – I lombrichi sono marrone.

S. – I lombrichi sono un tipo di animale senza ossa, come si dice?

Sono Vermi, aggiungo io, ma S. insiste, ricorda un altro nome più difficile…Invertebrati volevi forse dire?

S. conferma - Sì sono quelli senza le ossa.

G. – Ecco perché il lombrico quando striscia alza così tanto la schiena…non ha la spina dorsale!

S. C. – Il lombrico lo vedo che entra e esce dalla terra…

Chi. – giocano …

G. M. – si nascondono…corrono

A. – magari escono per respirare …

G. C. – forse cercano da mangiare…

Si. e C. – magari si cercano un compagno maschio o femmina oppure altri lombrichi… magari soffrono di claustrofobia, oppure vengono fuori per controllare se c’è qualche nemico…

Chi. – magari escono perché nella terra c’è qualche veleno

Al. – forse si costruiscono qualcosa.

Vedo che vi interessa questo via vai dalla terra dei lombrichi… come si chiamano tutte queste spiegazioni diverse che avete provato a dare senza sapere se sono vere, che sarebbero da provare, da verificare?

A. – Sono le ipotesi!

Di molti viventi, animali o vegetali, i bambini dimostrano una conoscenza talvolta anche non superficiale, ma indiretta, ricavata dalla televisione, dai libri, da internet, non dal contatto che deriva dalla frequentazione e dall’esperienza. Il lombrico, come qualche altro animale del prato, fa eccezione: in genere ciò che ciascuno sa è mediato anche dall’incontro diretto in natura che allo stesso tempo incuriosisce e suscita ribrezzo. 

Il racconto fa chiaramente capire che cosa interessa indagare, suggerendo una traccia di lavoro che mi guiderà nella realizzazione dei terrari e delle prime attività di osservazione. Ne posso trarre buone indicazioni:

- il “dove vivono” porta dritto alla relazione con il terreno e alla relazione con il cibo che vi si trova

- subito balza all’occhio la questione della testa e della coda

- tutti hanno sentito che se un lombrico si spezza continua a restare in vita

- si distinguono camminare e strisciare e questo può essere un buon avvio

- la mancanza di scheletro osseo incuriosisce.

 

Il terrario in aula  

Si incomincia allora con il progetto del terrario, ragionando intorno al comportamento del lombrico, alle condizioni da realizzare per tenerlo in vita e dunque riflettendo sulle relazioni che l’animale stabilisce con l’ambiente di vita e sulla forma del corpo adatta a quelle specifiche condizioni e alle modalità di svolgimento delle funzioni vitali. Si realizza il terrario, si cercano i lombrichi e si osserva di giorno in giorno.  Presto ci si accorge che in natura il comportamento non è lo stesso che nel terrario (in giardino avevamo notato le turricole, “gli spaghetti” defecati in superficie dai lombrichi, nel terrario non ne abbiamo mai trovate), ci si interroga, si formulano ipotesi e si progetta un esperimento per verificare. Si riflette poi intorno ai diversi livelli trofici e al ruolo del lombrico e degli altri decompositori, giungendo all’intuizione dei cicli biogeochimici e ai presupposti per incominciare a parlare delle piante come produttori.

In sostanza, si parte dal vissuto dei bambini per condurli “un po’ più in là di dove sono”, cogliendo  anche i problemi che saranno ripresi in seguito. (4)

 

 

Stetoscopio  

 

 

Il nostro corpo: com’è fatto e come funziona (classe seconda) Un altro modo per incominciare è stato la presentazione di uno strumento noto quasi a tutti, lo stetoscopio, in questa occasione però nelle mani dei bambini, a disposizione per l’uso. Spontaneamente, i pensieri e la conversazione si sono indirizzati al battito del cuore e alla possibilità di costruire un modello del corpo umano, per dare concretezza alle loro idee e conoscenze, ai dubbi e alle domande, indicazioni necessarie ad impostare un lavoro “su misura”. 

 

G. – È lo ste… lo stetoscopio!                                            

R.- È un nome difficile                                                                                                         

- Dalla dottoressa! - Dice qualcuno e L.P. si avvicina per mostrare e spiegare come il medico lo  usa.                 

- Ce l’ho per il bambolotto e lo uso, poi sento il cuore del mio papà / della mamma - dicono alcune bambine.   

M. – La mamma ha ascoltato il mio cuore e dice che - batte velocissimo e io ho ascoltato il loro. 

- Il nonno, la zia, il papà…. ce l’hanno perché sono dottori / infermiere….                                                          

S. G. – Però con il bambolotto è per finta, non è vivo, al mio cane invece sento il cuore!                   

C. – C’è anche un altro modo per sentire il cuore: mettere la mano sul petto.                                          

A coppie, incominciano a provare tutti. C’è emozione, tanta. Chi è in ascolto aspetta concentrato e sorride quando percepisce il battito leggero del compagno. Non tutti riescono a sentire. Qualcuno suggerisce al bambino “da ascoltare” di fare qualche salto e poi di riprovare.

- Batte forte!                                                                                        

- Sento sc...                                                                                           

- È anche veloce!                                                                                  

- Sento come una battaglia ….     

C’è imprecisione nell’uso del lessico: l’uso di “piano” per significare “leggero/ lieve”, “forte” per significare “veloce”. Riprenderò in palestra i contrasti ai quali queste parole si riferiscono. Anche il lavoro di musica permetterà di impararne l’uso corretto. 

sagoma del corpo sistemazione degli orrgani nella sagoma    

Sembra proprio che le bambine di quest’età abbiano maggiore famigliarità, consuetudine d’attenzione e forse anche conoscenza del proprio corpo e delle sue funzioni. Ma bisognerebbe indagare […].

Ho preparato a terra il coperchio di una grande scatola vuota, ci sediamo intorno e dico che ci può servire per realizzare un modello del nostro corpo. Chiedo ad uno dei più piccoli di stendersi dentro la scatola, traccio il contorno e siamo pronti per incominciare a discutere come costruire un modellino. Riassumo gli interventi della precedente lezione e chiedo che cosa sanno già di come siamo fatti e di come funziona il nostro corpo. Ma l’attenzione è subito rivolta al fare, rafforzando la mia convinzione sull’importanza del contesto per aiutare i bambini a mettere a fuoco le loro riflessioni.

G. – Il cuore dobbiamo metterlo in mezzo! 

Ga. – In mezzo al petto. 

Quanto grande? - Chiedo.

St. – Grande come una palla da baseball …                      

R. – È grande come il nostro pugno, me l’ha detto la mamma!                                                                      

Che cosa portiamo per fare il cuore? - Chiedo.                                                                                    

Una pallina da tennis! Propone qualcuno.                                                                                               

È vuoto o pieno il cuore? Domando, ma nessuno risponde, invece…                                                  

St. – Il cuore ci fa vivere, perché se non batte siamo morti.

Cl. – Il cuore dà i comandi…                                                                                                                

G. – Di che cosa, quali comandi?                                                                                                          

St. – Pompa il sangue, lo spinge nelle vene e le vene lo portano ai polmoni, alle braccia, in tutto il corpo.                    

A. e L. Z. – Sì, l’ho letto!                                                                                                                      

Al. – Sì è così, me l’ha spiegato il papà.                                                                                                     

A. – Per le vene portiamo dei tubicini …

Ga. – Non è il cuore che ci fa muovere, ma il cervello!

G. C. – Come fa il cervello a farci muovere?                                                                                       

A. – Le ossa ci tengono in piedi e diamo noi i comandi.

G. C. – Ma come fanno?

I. – Il cervello non solo ci fa muovere ma anche pensare….                                                                             

M. – I muscoli ci servono per camminare, correre, saltare…

G. C. – I muscoli sono tutti sparsi nel corpo.                                                                                  

Quando ritorni da danza, la sera li senti, ti fanno male? - Chiedo.                                                           

G. C. – Sì, sento male qui e qui! Risponde G. indicando polpaccio e coscia.                                     

L. Z. – Vediamo le vene blu, guarda sulle mani…ma il sangue è rosso…come mai?                              

S. – Su uno schema ho visto vene blu e vene rosse…                                                                            

Il contesto d’avvio sembra facilitare l’intuizione dell’organismo come “rete” di apparati connessi e operanti nello stesso momento, ciascuno con specifiche funzioni.                                                 

Prendiamo accordi in merito a chi porta che cosa:

A. si impegna a portare una pallina da tennis rivestita di rosso, G. e R. porteranno fili rossi e blu da elettricista o del tipo per fare lo “scooby doo”, per il cervello qualcuno porterà una matassa di lana rosa, io penserò alla palla che rappresenterà la testa di Andrea, perché al modellino si è voluto dare un nome, e neppure scelto a caso: è un nome sia maschile che femminile.

L’ascolto del battito del cuore ora lento ora più veloce porta subito l’attenzione alla respirazione, agli organi dell’apparato cardiocircolatorio, alla loro posizione, correlazione e morfologia riscoperta attraverso alcune dissezioni e la costruzione di modellini. L’esperienza comune a tutti dell’indolenzimento muscolare dopo l’attività fisica contribuirà a costruire l’idea di un corpo nel quale le diverse funzioni sono correlate. Ci si chiede anche se l’aria che si inspira sia diversa da quella che si espira e si prova a constatarne la differenza. Si misura quanta aria ciascuno di noi espira e si constata quanto l’allenamento aiuti una buona respirazione.

Il percorso sul corpo è rimasto “un cantiere aperto” lungo il quinquennio, con il nostro ingombrante modello che passava di laboratorio in laboratorio, suscitando la curiosità e le domande di altre classi. (5)

 

 Acqua di fiume: il saliscendi delle alghe con le bollicine   (classe prima) 

alghe e bollicine gasteropode    

Si ragiona da una decina di giorni intorno ad un campione di acqua di risorgiva, mentre si osserva ad occhio nudo, con una telecamera e allo stereomicroscopio. I bambini si sono interrogati sul posto più adatto dove tenerla, su come si nutrono gli animaletti che vedono, sul livello dell’acqua che si abbassa. Non sfugge la presenza di bollicine ancorate agli animaletti e alle alghe e sorgono domande su dove vengano trasportate dagli animaletti, sulla composizione e sulla funzione…                          

”Che cosa ne fanno? Le respirano?”.

Discussione: le alghe vanno su e giù

Sulle bollicine ho sentito varie considerazioni:                                                                                                      

- sono gli animaletti che fanno le bollicine quando respirano o quando aprono la bocca

- le bollicine sono fatte di aria                                                                                                                             

- gli animaletti nell’acqua trovano l’ossigeno da respirare come noi che lo troviamo nell’aria

- al mattino le bollicine sono poche, c’è poco sole

- più tardi c’è più sole e le bollicine sono tante.

È troppo bella questa intuizione di P., mi insospettisco un po’ e chiedo: “Che cosa ti fa pensare che le bollicine c’entrino con il sole?”

“Perché l’acqua evapora al sole” è la risposta di P., che rivela l’intuizione di una relazione ancora però in fase di elaborazione.

Fin dalle prime osservazioni i bambini avevano notato il saliscendi di fili verdi ancorati alle bollicine:” Le alghe prendono l’ascensore!” e avevano notato le alghe raccolte in superficie con tante bollicine impigliate o adagiate sul fondo nell’acqua limpida. A me non pareva vero di poter mostrare gli effetti della fotosintesi in un contesto così motivante e non potevo lasciarmi sfuggire l’occasione. Era quindi mia intenzione indurre il bisogno di osservare e registrare per cogliere l’andamento del fenomeno osservato.                                                                                                                       

Come possiamo fare per capire il saliscendi delle alghe? Abbiamo un problema.                                              

Il giorno seguente, non sono ancora entrata in classe e già mi portano i pennarelli per registrare. 

“Guardiamo le alghe! Saranno giù”. Non c’è bisogno di sollecitare una previsione che arriva spontanea. Alle 11 le alghe sono ancora in basso, contrariamente ai giorni scorsi. “Sarà perché oggi non c’è il sole?” suggerisce P.

Non colgo la sollecitazione, mi sembra di forzare mettendo subito alla prova la sua bella ipotesi: è il solo per ora così attento a scrutare le variabili in gioco. Preferisco aspettare ancora.  

Il saliscendi delle alghe è cosa del tutto sconosciuta ai bambini che a questo proposito possono solo fare congetture. È questo un esempio a conferma del fatto che ci si può avventurare in territori sconosciuti addirittura nella classe prima, e si può anche non spiegare, ma aspettare che ci siano le condizioni per comprendere un fenomeno complesso come quello della fotosintesi.

Quest’esperienza, che ha emotivamente coinvolto il gruppo classe, manterrà una curiosità forte fino in quinta, quando è stato possibile ritornare nel merito e incominciare a capire. (6)

 

 

Protagonisti attivi


Ho raccontato soltanto alcune delle innumerevoli, quotidiane e sorprendenti sollecitazioni che i bambini mi hanno dato ad ogni passo, preziose per impostare, indirizzare, scandire, calibrare, regolare, correggere e valutare l’azione didattica. E per valutare gli alunni stessi.

Tanto interesse per il lombrico e tante conoscenze, così da tracciarmi l’intero percorso di lavoro, erano del tutto inattesi.

Sul corpo umano, mi aspettavo l’idea di sistema come punto di arrivo e l’ho trovata invece come intuizione iniziale, quasi un “regalo cognitivo” forse espressione dell’approccio globale dei bambini alla conoscenza. Va da sé che questo ha rovesciato l’impostazione della mia proposta.

Le bollicine impigliate fra le alghe hanno catturato l’attenzione e l’immaginazione di tutti e intrigato me, che non avrei saputo davvero da che parte prendere un argomento non certo adatto a bambini di sei anni. La naturalezza con la quale hanno invece impostato l’esperienza bollicine-posizione delle alghe nel vaso ha aperto la strada verso una prima comprensione.

Anche le intuizioni inutilmente attese come ovvie per me, ma dai bambini mai colte sono una risorsa importante. I denti da latte cadono e quelli definitivi spuntano in ciascuno di loro; i semi dello stesso “tipo” germinano nello stesso modo; le diverse piante “tutte uguali” della siepe in cortile mettono gemme, foglie e fiori nello stesso modo; le uova si schiudono una dopo l’altra, uguali persino nella frattura del guscio. Ma nessuno ha mai intuito la ripetizione delle stesse tappe in ciascun individuo, né nelle considerazioni spontanee, né cogliendo stimoli appena accennati al riguardo.

Una progettazione del lavoro ad hoc per la classe è il primo risultato dell’ascolto, ma non è l’unico e, forse, neppure il più importante. I bambini s’accorgono immediatamente degli appunti che l’insegnante annota durante i loro interventi e, di lezione in lezione, la curiosità verso questa abitudine li guida a coglierne il senso: l’attenzione a ciò che essi pensano e al modo di comunicarlo, la volontà di guidarli a capire e, soprattutto, l’importanza del loro farsi protagonisti attivi dell’apprendimento.

 


 Bibliografia

 

 

(1)   Indicazioni nazionali per il curricolo, in Annali della pubblica Istruzione, pag.34, Numero speciale, Firenze, Le Monnier, 2012

(2)   M. Arcà, P. Mazzoli, N. Sucapane, Osservare i viventi, Pisa, ed. ETS, 2021

(3)   Dehaene, S. Imparare. Il talento del cervello, la sfida delle macchine”, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2019

(4)   Castelli M., Allevare lombrichi in terrario, Naturalmentescienza, 2016 https://www.naturalmentescienza.it/sections/?s=405

(5) Castelli M., Il nostro corpo: com’è fatto e come funziona, Naturalmentescienza, 2016 https://www.naturalmentescienza.it/sections/?s=509

(6)   Castelli M., Todaro C., Acqua di fiume, Naturalmentescienza, 2017 https://www.naturalmentescienza.it/sections/?s=620