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L’arte dell’ascoltare di Primo Levi

 

Primo Levi

L’arte dell’ascoltare di Primo Levi

 

Lucia Stelli

 

So per esperienza quanto sia difficile per un docente prestare ascolto ai suoi alunni e anche volendo non è detto che ci si riesca, è necessario imparare a farlo. Penso che il motivo principale sia da ricercare nella visione tradizionale del rapporto docente-alunno che attribuisce al primo il compito di spiegare e al secondo quello di ascoltare. Anche quando la lezione è pensata a misura degli allievi inevitabilmente ricalca la visione dell’insegnante che si è fatto il suo disegno di ciò che essi dovrebbero o potrebbero sapere.

 

Indubbiamente chi sceglie di intraprendere il mestiere dell’insegnare è consapevole del suo ruolo formativo, ma spesso pensa che per costruire sapere siano sufficienti la conoscenza e l’amore per la materia di studio. Non è così. Fatto sta che nella scuola secondaria sono davvero pochi gli insegnanti che impostano il loro lavoro a partire da ciò che sanno e pensano i propri alunni. Non lo fanno anche perché non fa parte della loro formazione dedicare tempo all’ascolto. La storia della scuola primaria brilla di grandi esempi di ascolto, da Maria Montessori a Celestin Freinet, da John Dewey a Mario Lodi per citare solo alcuni Maestri, tuttavia in generale gli insegnanti riservano l’ascolto al monitoraggio dell’apprendimento della letto-scrittura, per il quale è condizione indispensabile.

Eppure le Indicazioni ministeriali descrivono un Ambiente di apprendimento teso a valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli alunni!
Purtroppo le Indicazioni da sole non bastano, servono esempi su come metterle in pratica ed è per questo che diventa irrinunciabile una formazione mirata. In attesa di un piano ministeriale non più procrastinabile, è utile conoscere esperienze come quelle descritte da Maria Castelli (*), ma servono anche esempi, che sebbene appartenenti a un contesto extrascolastico, possono essere visti nell’ottica del rapporto docente-alunno. È il caso dell’insegnamento all’ascolto che ci offre Primo Levi nel suo romanzo La chiave a stella. Innumerevoli sono i messaggi formativi che possiamo trarre dalle opere dello scrittore, ma solo in questo romanzo l’ascolto svolge un ruolo chiave.

 

 

 

La narrazione si snoda attraverso una lunga conversazione tra lo scrittore-chimico Levi e Faussone, un tecnico piemontese, montatore e collaudatore di strutture metalliche. In undici dei 14 capitoli del libro, Faussone racconta le sue imprese lavorative vissute in giro per il mondo, solo negli ultimi tre capitoli, dopo un lungo paziente ascolto, il narratore-chimico prende la scena e lo fa per comunicare un suo problema di lavoro che si presenta come un vero e proprio giallo da risolvere. È davvero un bel contesto per presentare agli alunni una chimica volta ad indagare e manipolare la materia, ma anche per far comprendere all’insegnante l’importanza dell’ascolto.  

Inizialmente sono stata catturata dalla spiegazione che Levi fa del mestiere del chimico perché è rivolta a una persona digiuna di chimica, cosa che la rende preziosa anche per alunni di tredici anni, ma poi ho anche apprezzato l’intenzione dello scrittore di farsi pienamente comprendere dal suo interlocutore.

Ho subito riconosciuto nelle sue parole una presentazione potente del lavoro del chimico per le immagini che evoca: “[...] siamo come dei ciechi con le dita sensibili. Dico come dei ciechi, perché appunto, le cose che noi manipoliamo sono troppo piccole per essere viste, anche coi microscopi più potenti; e allora abbiamo inventato diversi trucchetti intelligenti per riconoscerle senza vederle [...] Tante volte, poi, abbiamo l’impressione di essere non solo dei ciechi, ma degli elefanti ciechi davanti al banchetto di un orologiaio, perché le nostre dita sono troppo grossolane di fronte a quei cosetti che dobbiamo attaccare o staccare”. Ho poi intravisto nei riferimenti al mestiere di Faussone, la volontà di farsi capire.

“[...] Il mio mestiere vero, quello che ho studiato a scuola e che mi ha dato da vivere fino ad oggi, è il mestiere del chimico. Non so se lei ne ha un’idea chiara, ma assomiglia un poco al suo: solo che noi montiamo e smontiamo delle costruzioni molto piccole."

[...] Come più volte aveva fatto Faussone per spiegarmi i suoi tralicci, ho preso anch’io un tovagliolo di carta, e ho scarabocchiato un disegno press’a poco così: 

 

 

"[...] Come vede, siete più fortunati voialtri, che le vostre strutture ve le vedete crescere sotto le mani e sotto gli occhi, verificandole a mano a mano che vengono su; e se sbagliate ci va poco a correggere.”

Come non pensare al Valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli alunni, per ancorarvi nuovi contenuti  delle Indicazioni ministeriali?

Tutto il romanzo è pervaso dalla relazione di ascolto reciproco, ma è in uno dei primi capitoli che l’ascolto è messo a fuoco e assunto ad arte. Levi, come a prolungare un momento di tensione del racconto di Faussone, scrive: “Stavo per domandare a Faussone come avesse potuto commettere una dimenticanza così grave, ma mi sono trattenuto per non guastare il suo racconto. Infatti, come c’è un’arte di raccontare, solidamente codificata attraverso mille prove ed errori, così c’è pure un’arte dell’ascoltare, altrettanto antica e nobile, a cui tuttavia, che io sappia, non è mai stata data norma. Eppure, ogni narratore sa per esperienza che ad ogni narrazione l’ascoltatore apporta un contributo decisivo; un pubblico distratto od ostile snerva qualsiasi conferenza o lezione, un pubblico amico la conforta; ma anche l’ascoltatore singolo porta una quota di responsabilità per quell’opera d’arte che è ogni narrazione: se ne accorge bene chi racconta al telefono, e si raggela, perché gli mancano le reazioni visibili dell’ascoltatore, che in questo caso è ridotto a manifestare il suo eventuale interesse con qualche monosillabo o grugnito saltuario.

È anche questa la ragione principale per cui gli scrittori, ossia coloro che raccontano a un pubblico incorporeo sono pochi.”

A sottolineare il continuo reciproco ascolto si trovano durante tutto il romanzo interruzioni delle narrazioni che rimarcano l’importanza di un ascolto partecipe.

Frasi come: “L’ho pregato di essere più chiaro e coinciso";

[...] Scusi, ma dalla maniera che mi guarda non sono sicuro che abbia capito bene;

[...] Però lo sa che lei è un bel tipo a farmi contare queste storie, che fuori via di lei non le avevo mai contate a nessuno?;

[...] Deve raccontare le cose in una maniera che si capiscano, se no non è più gioco”, testimoniano l’esistenza di un dialogo e soprattutto un rapporto di reciproca fiducia.

 

La lezione che se ne ricava è prima di tutto quella di recuperare all’ascolto un ruolo di apertura al dialogo su entrambi i fronti. Per Levi l’arte di ascoltare significa mostrare interesse per quello che dice l’interlocutore, chiedere quando non si capisce qualcosa, non esprimere giudizi, dunque entrare nel mondo dell’altro con grande rispetto per comprenderlo.

E come arte deve essere imparata! E’ questa una bella lezione che ogni insegnante potrebbe far propria.

 

(*) In "Materiali per la scuola: Proposte per la Scuola

 

Levi P, La chiave a stella, Torino, Giulio Einaudi editore, 1978