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Ogni 15 minuti muore un elefante

 

 

alla riscossa

Le brutte notizie

 

Africa: ogni 15 minuti muore un elefante

 

di Luciano Luciani

 

La vicenda clamorosa dell'abbattimento di Cecil, il leone dalla criniera nera, un simbolo per lo Stato africano dello Zimbabwe, ha contribuito a illuminare con maggiore chiarezza le inquietanti dimensioni del fenomeno del bracconaggio. Non più circoscritto, quindi, a problema ambientalista, ma vera e propria emergenza internazionale. Almeno secondo l'autorevole giudizio del segretario dell'Onu, Ban Ki moon, che, in occasione della presentazione al Consiglio di Sicurezza di un rapporto su questa triste pratica (29.5.2013), non ha esitato ad affermare che “il bracconaggio e i suoi potenziali collegamenti con altre attività criminali, incluso il terrorismo, costituiscono una grave minaccia alla pace e alla sicurezza”.

Qualche numero?

In Africa ogni 15 minuti i bracconieri uccidono un elefante, la cui popolazione nelle regioni centro-occidentali del continente è diminuita vertiginosamente: da 150 mila individui a soli 2 mila. Un unico trafficante d'avorio, Emile N'Bouke, nella sua quarantennale “carriera” sembra che risulti responsabile dell'abbattimento di oltre 10 mila elefanti. Né miglior sorte spetta ai rinoceronti ridotti a poco più di 5 mila esemplari dai 65 mila dl 1970. Scomparsi dal 40% dei territori tradizionalmente abitati, i leopardi: il leopardo di Zanzibar che viveva esclusivamente in Tanzania nell'arcipelago di Zanzibar è considerato estinto dagli anni  novanta. I leoni, che un secolo fa toccavano i 200 mila esemplari, ammontano oggi ad appena 32 mila esemplari dopo essere stati eliminati dallo 80% delle aree di dimora. Dietro queste cifre sconfortanti ci sono i formidabili interessi del commercio internazionale dei prodotti animali, un business da 19 miliardi di dollari l'anno, il quarto traffico più redditizio al mondo dopo la droga, le merci contraffatte e gli esseri umani. Al mercato nero un kg. d'avorio viene pagato oggi 2.200 dollari, mentre il corno di rinoceronte, alla cui polvere sono arbitrariamente attribuite virtù afrodisiache e terapeutiche, arriva a valerne 66 mila.

Impari il conflitto tra bracconieri e gli addetti al controllo e alla tutela dei parchi protetti e delle riserve: ben attrezzati e armati i primi, inferiori di numero, mal pagati e peggio equipaggiati i secondi, talora complici dei bracconieri, spesso fatti oggetto di vere e proprie operazioni di stampo militare con un triste corollario di vittime, morti e feriti.

In tali comportamenti dolosi agisce soprattutto la domanda di prodotti animali proveniente per la maggior parte dalla Cina e dai Paesi del sud-est asiatico, le cui borghesie di recente formazione si stanno rivelando grandi consumatrici di avorio per gioielli, soprammobili, oggetti di lusso e pelli pregiate.

Frequenti le contiguità tra i tristi protagonisti del bracconaggio e i gruppi terroristici legati allo Islam radicale che da questa attività ricava ingenti risorse: uno slogan che circola in Kenia, uno dei Paesi più segnati dal bracconaggio e dal traffico illegale, sottolinea che “la Jihad africana comincia col massacro di animali innocenti e finisce nella strage di persone senza colpa”. Gravi, invece, le responsabilità dei governi africani che non fanno abbastanza per contrastare questo triste fenomeno. Dietro di loro c'è un'opinione pubblica continentale  più sensibile alle lusinghe di uno sviluppo indiscriminato che alle ragioni degli ecosistemi, disattenta e sostanzialmente convinta che la fauna selvatica non sia altro che una risorsa come le altre: un bene da sfruttare irresponsabilmente nel più breve tempo possibile senza preoccuparsi del suo impoverimento e della sua distruzione.