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Aggiungi un posto a tavola?

 

 

Bomba demografica

Aggiungi un posto a tavola?

 

di Luciano Luciani

 

 

Nel Neolitico, poco più poco meno diecimila anni fa, la popolazione umana non superava i 5 milioni di individui; agli inizi del secolo scorso i discendenti di Adamo ed Eva erano saliti a 1 miliardo e 600 milioni, per più che raddoppiare - 4 miliardi - nel 1960, diventare 6 miliardi alla fine del millennio e dilatarsi a 7 nell'autunno del 2011. Secondo le Nazioni Unite l'incremento della popolazione mondiale continuerà sino al 2050 e arriverà a toccare i 9 miliardi. Poi, sembra, inizierà una lenta decrescità e alla fine del secolo il numero complessivo degli umani irregolarmente distribuiti sui 510 milioni di kmq del pianeta verde-azzurro si stabilizzerà all'incirca sulle cifre attuali.

Tutti consapevoli, ormai, di vivere in un "mondo limitato", pure, come specie, continuiamo ad aggiungere, ancora e ancora, altre bocche da sfamare. Vale, dunque, la pena chiedersi se il nostro pianeta stia superando - ha già superato? - la sua "capacità di carico" rispetto alla specie umana. E dove si colloca un eventuale punto di rottura? E gli esperti (demografi, ambientalisti, futurologi qualsiasi cosa voglia dire) quali risposte pensano di dare alla questione, nè piccola né banale, del sovrappopolamento del pianeta?

Una parte di loro afferma che per una vita sostenibile per tutti, qui sul terzo pianeta del sistema solare, non si dovrebbero superare i 2 miliardi di persone; per altri la Terra, Madre Generosa, potrebbe sopportare fino a 20 miliardi di individui - per qualche esagerato anche 30 - purché si garantiscano equità ed efficienza e si correggano in maniera radicale le distorsioni economiche, politiche, organizzative che connotano negativamente i comportamenti dell'uomo del XXI secolo.

Sì, 7 e più miliardi di persone pesano e parecchio in senso ecologico, ma la bomba demografica, che insieme a quella atomica faceva tanta paura negli anni Cinquanta e Sessanta, non ci appare più oggi come allora un problema strategico. Insomma, non sono più i tempi in cui gli Ehrlich, marito e moglie, Paul e Anne H., nel loro saggio The population bomb (1968) paventavano l'esplosione demografica come l'Apocalisse che ci avrebbe regalato un triste destino di fame e carestie, guerre e migrazioni, proponendo come unica soluzione una rigorosa pianificazione delle nascite. Quella paura è stata sostituita, invece, da un'altra: quella rappresentata dal consumo sregolato delle risorse del pianeta, dalla dissenata distruzione dell'habitat naturale e dalla diffusa ingiustizia sociale. Perché la questione non è che il pianeta Terra non produca abbastanza, ma che i poveri del mondo (circa un essere umano su sette) non siano in grado di attingere alle risorse disponibili. L'esercito degli affamati cresce, infatti, di 25 milioni di persone ogni anno, mentre i costi delle derrate alimentari schizzano verso l'alto previa distruzione dei raccolti per sostenere i prezzi... Insomma, non è, non è ancora, un problema di penuria, ma di ingiustizia e inefficienza. Frugalità e buona organizzazione, parsimonia e giustizia sociale, quindi, debbono diventare, fin da subito perché siamo già in grave ritardo, le parole d'ordine della nostra e soprattutto delle generazioni a venire.

Si tratta di parole semplici, riassumibili in un'unica indicazione: lo stile di vita occidentale, fatto di consumi e sprechi illimitati, non è più praticabile!

"Se tutti i sette miliardi di abitanti della Terra vivessero come viviamo noi in occidente, la nostra capacità di vivere e nutrirci decentemente verrebbe meno rapidamente" ha scritto Leo Hickman, informato e acuto giornalista scientifico inglese: "La cruda verità è che se nei prossimi decenni dovremo reggere l'arrivo di altri due miliardi di persone sul pianeta - ed è realisticamente molto difficile dire agli altri popoli quanti figli devono avere - ciascuno di noi dovrà consumare molte meno risorse di oggi e limitare al massimo gli sprechi. Nel ventunesimo secolo invece di vantarci del molto che abbiamo, cominceremo a vantarci del poco che consumiamo".