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Cosa vorrei se fossi una pianta? Sole e Mozart

 

Castelluccio d'Orcia  

Cosa vorrei se fossi una pianta? Sole e Mozart

 

Piero Bianucci 

Per gentile concessione del giornale "la Stampa" di Torino


Il filosofo spagnolo Paco Calvo rilancia l’”intelligenza” degli alberi nella scia di botanici eterodossi come Mancuso, Baluska e Trewavas. Opinioni polarizzate tra entusiasti che fischiettano ai gerani e scettici scandalizzati per la para-scienza che pretende una patente accademica. Per chi vuole informarsi seriamente, si apre a Torino il Festival dell’agricoltura.

  

A Torino nasce il Festival Internazionale dell’agricoltura. Domani, alla cerimonia inaugurale nell’aula magna della Cavallerizza reale, interverranno la biologa Ilaria Capua (“Salute circolare”) e lo scrittore Antonio Pascale (“Il grano e la pietra”). La spinta propulsiva è di Agroinnova, centro di competenza dell’Università di Torino. Il Festival arriva in un momento cruciale: cambiamento climatico, siccità, tecnologia genetica Crispr, carestie nei paesi poveri, guerra. E anche una diffusa mentalità “magica” che della scienza diffida.

Da quando Stefano Mancuso, professore all’Università di Firenze, è comparso in tv nel programma di Fabio Fazio e ha dato una patente scientifica al maestro Peppe Vessicchio (quattro Festival di Sanremo) sostenendo la comprovata utilità della musica di Mozart nel far crescere i pomodori, l’opinione pubblica è divisa tra scettici e entusiasti. Due partiti, come di solito succede in Italia, una polarizzazione che ricorda quella di altre questioni (Tav, nucleare, vaccini, inceneritori, gassificatori...).

 

Intelligenza vegetale
Che il cattedratico Mancuso parli di “intelligenza” delle piante e abbia ottenuto cospicui finanziamenti al suo Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale, è un argomento molto convincente per gli entusiasti che parlano e fischiettano ai loro vasi di gerani (Pelargonium). Gli scettici, invece, si limitano a ricordare che le piante non hanno sistema nervoso e quindi nulla hanno a che vedere con la neurobiologia. Gli scettici più severi, inoltre, trovano quanto meno strano che con il denaro pubblico si retribuisca un docente di teorie così eterodosse.

Che cosa si prova a essere una pianta? Questa è una domanda intelligente. Ricalca il titolo del citatissimo saggio del filosofo Thomas Nagel “Che effetto fa essere un pipistrello?” (1974). Mancuso non ha inventato niente, come Frantisek Baluska, Tony Trewavas e altri, ha interpretato in modo estremo fenomeni “normali”. La risposta dei vegetali alla luce, per esempio, è nota da sempre e gli studi sulla sensibilità delle piante risalgono a secoli fa: se fossimo una pianta, cercheremmo di esporci al sole. Darwin era affascinato dal contorcersi dei viticci del cetriolo alla ricerca di appigli: in un’epoca in cui non esisteva la cinematografia al rallentatore, inventò un esperimento ingegnoso per tracciare il movimento dei viticci, amplificarlo e studiarne il meccanismo biologico. Soltanto di recente al centro del viticcio del cetriolo si sono scoperte le cellule fibrose specializzate nel produrre l’avvitamento.

 

Ascoltare con le foglie
La sensibilità acustica dei vegetali ha i suoi fedeli nelle antiche culture dei nativi indiani, inuit, maori e della foresta amazzonica, e ancora di più tra i sofisticati intellettuali new age. Ora però questa para-scienza pretende una legittimazione accademica. Il filosofo Emanuele Coccia, docente all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, nel 2016 ha scritto un libro che descrive le piante come forme di vita pienamente razionali nelle quale la ragione coincide con la totalità del corpo. Mancuso e Vessicchio ammettono che le piante non hanno orecchie né organi acustici, ma ritengono che percepiscano vibrazioni attraverso i rami, il tronco, le radici. Particolarmente “ascoltate” sarebbero le frequenze intorno a 200 Hz, una nota bassa della voce umana. E ora Paco Calvo, professore di Filosofia della scienza e fondatore del Minimal Intelligence Lab dell’Università di Murcia (Spagna), pubblica “Planta sapiens”, prontamente tradotto per il Saggiatore da Allegra Panini (350 pagine, 23 euro) e sponsorizzato da Mancuso in quarta di copertina con la frase in perfetto stile new age “Eterni opposti, piante e animali rappresentano lo yin e lo yang della vita”.

 

Rivoluzione concettuale
Paco Calvo parla di una generale “cecità alle piante” che affliggerebbe l’uomo in quanto animale. L’immobilità delle piante sarebbe all’origine di questa cecità proprio perché la mobilità è la caratteristica degli animali. Da sempre l’umanità avrebbe sottovalutato il mondo vegetale considerandolo sostanzialmente passivo e solo negli ultimi tempi la scienza si sarebbe accorta dell’errore dando il via all’attuale rivoluzione concettuale. Come per millenni in cosmologia l’uomo ha creduto di essere al centro dell’universo, così ha dato per scontata una gerarchia della natura con alla base la materia bruta, al primo gradino la vita vegetale, al secondo la vita animale e in cima la specie umana. É un po’ come se fino a ieri fossimo stati bio-tolemaici e solo adesso incominciassimo a diventare bio-copernicani (queste categorie sono mie e me ne assumo la responsabilità).

Non sempre sono lente
Ciò premesso, Paco Calvo passa in rassegna una lunga serie di proprietà del mondo vegetale interpretandole secondo l’assunto che le piante sono “diverse” solo in apparenza, mentre nella sostanza nulla hanno da invidiare al mondo animale. Sia pure lentamente, si muovono, vedono, percepiscono l’ambiente, decidono se e come modificarlo, ascoltano, si parlano con linguaggi tattili e chimici, costituiscono delle comunità, si alleano o si contrastano, pensano e, in definitiva, sono intelligenti. Neanche la lentezza è imputabile a tutte le piante: la mimosa pudica ritrae le foglie appena toccata e le piante carnivore come la Dionaea muscipola fanno scattare le loro trappole per insetti in frazioni di secondo. D’accordo, le piante non avranno sistema nervoso, ma Paco Calvo racconta come stupì il pubblico accorso a una sua conferenza addormentando una mimosa pudica con un anestetico per uso chirurgico.

 

Inganno linguistico
I “comportamenti” delle piante descritti da Paco Calvo sono suggestivi. Ma la stessa parola comportamento suggerisce la possibilità di un equivoco sofisticato, che non è banale antropomorfismo applicato al mondo vegetale come fece Walt Disney con il mondo animale. L’equivoco si annida proprio nel linguaggio e nell’interpretazione che ci vincola. Non siamo ciechi alle piante in quanto animali umani. Piuttosto le vediamo fin troppo bene con occhiali che non possiamo sfilarci. Parliamo di piante, anche scientificamente, senza poter fare a meno di metafore perché tutto il linguaggio è antropocentrico. Probabilmente non osserviamo comportamenti ma fenomeni di movimento e di sensibilità alla luce, all’acqua, alla temperatura. Così vediamo intelligenza dove ci sono reazioni automatiche dettate dalla chimica e dalla fisica. La pianta non decide di andare verso la luce o di perdere le foglie, lo fa come un termostato scatta a una temperatura prestabilita. Sotto ci sono ormoni e molecole, non volontà e scelte.

 

Verso la fito-etica
Peraltro Daniel Chamovitz ha identificato 5 geni vegetali che abbiamo ereditato nel nostro DNA di animali umani, e hanno a che vedere, non a caso, con i ritmi circadiani e l’alternanza luce/buio. Le molecole utili incontrate casualmente dall’evoluzione lungo il suo cammino vengono conservate con cura, tutti i viventi sono il risultato di un meraviglioso bricolage. Se Paco Calvo e altri botanici eterodossi come lui ci stimolano a riconsiderare le piante, se ci parlano di fitoetica, benissimo. Purché il risultato non sia una pseudoscienza che torna utile ai ciarlatani.

Si può comprendere anche l’atteggiamento new age, se lo intendiamo come una universale appartenenza alla vita e al suo mistero. C’è molta letteratura in questo filone editoriale. A proposito di fitoetica, Francesco Boer autore di “Troverai più nei boschi” (il Saggiatore, 246 pagine, 19 euro), scrive che ”certi alberi, quando vengono feriti, versano lacrime. Dal tronco inciso si riversa la linfa, come se l’essenza vitale dell’albero sanguinasse dallo squarcio. Anche in questo doloroso frangente, si mostra la singola personalità di ogni albero”. La scheda biografica dice che Francesco Boer, nato a Gorizia 43 anni fa, “è alchimista e scrittore”. Alchimista nel 2023? Eppure, se il suo pensiero magico e antropomorfa producesse più rispetto per la bellezza e l’utilità delle piante e sanzioni per chi non le rispetta, sarebbe una buona cosa, un passo verso la civiltà.

 

Arance e upupa
Non ha bisogno di retorica new age Giuseppe Barbera, che è prima di tutto un elegante e straordinario scrittore capace di portare nelle sue pagine una profonda cultura letteraria, poetica, storica e artistica, prima ancora che botanica. Il suo “Agrumi. Una storia del mondo” (ilSaggiatore, 318 pagine, 25 euro) è una lettura incantevole, piena di informazioni insospettabili al profano. Al quale consiglierei di leggere, sempre di Giuseppe Barbera, anche “Il giardino del Mediterraneo. Storie e paesaggi da Omero all’Antropocene” (IlSaggiatore, 282 pagine,22 euro). Fortunati gli studenti che lo ebbero professore di colture arboree all’Università di Palermo. E infine, per non fare torto al mondo animale, non perderei “Bestiario invisibile” del biologo Marco Granata (ilSaggiatore, 320 pagine, 22 euro), una guida agli animali delle nostre città. Ci troverete blatte e formiche, ma anche scoiattoli, pipistrelli, cicogne e l’upupa caro a Eugenio Montale:

 

“Upupa, ilare uccello calunniato
dai poeti, che roti la tua cresta
sopra l’aereo stollo del pollaio
e come un finto gallo giri al vento;
nunzio primaverile, upupa, come
per te il tempo s’arresta,
non muovere più il Febbraio,
come tutto di fuori si protende
al muover del tuo capo,
aligero folletto, e tu lo ignori.”


(da “Ossi di seppia”, 1925, Torino, pubblicato nelle edizioni di Piero Gobetti)