raccolte cd
timberland euro, timberland uomo 6 inch stivali, timberland uomo barca stivali, timberland uomo earthkeepers, timberland uomo euro hiker stivali, timberland uomo nellie chukka, timberland uomo rotolo top stivali, timberland uomo scarpe da spiaggia, timberland donna 6 inch stivali
Minacce in alto mare 1 Il petrolio

 *Conservare l'ambiente marino per il bene del nostro pianeta * 

Fig.1. Fonti dell’inquinamento marino

Minacce in alto mare 1 Il petrolio

 

Eleonora Polo[1]

 

Nell'articolo precedente abbiamo visto quanto l’esistenza di noi terrestri sia legata a quella degli oceani, sebbene il modo con cui li trattiamo mostri chiaramente che non abbiamo ancora afferrato questo concetto. L'atteggiamento dominante è ancora quello predatorio, insieme allo sfruttamento e all'incuria nei confronti di un'entità che ci nutre, ci fa respirare, ci cura e ci permette di spostare merci e persone.

 

La pattumiera del pianeta

 

Così l’oceanografo ed esploratore Jacques-Yves Cousteau era solito descrivere il nostro rapporto con gli oceani. Ma che cosa va a finire in questa pattumiera? Un po’ di tutto, perché i volti della contaminazione delle acque sono molti, i più visibili sono quelli di tipo chimico, ma ce ne sono altri meno evidenti – altrettanto o addirittura più pericolosi – perché immateriali, come l’inquinamento acustico o elettromagnetico.

Lo sversamento voluto o accidentale di sostanze chimiche è una delle minacce più antiche, perché da sempre l’umanità ha pensato che le vie d’acqua potessero accogliere all’infinito tutti i nostri rifiuti. Inoltre, più si evolvono le tecnologie, più è probabile che quello che finisce in acqua sia sempre più lontano dai sistemi naturali, quindi poco digeribile, e possa rimanere in giro per secoli senza mai degradarsi completamente. Dovremmo anche smettere di usare il verbo buttare via, perché sulla Terra «non esiste una cosa chiamata via, quando buttiamo via qualcosa, va a finire da un’altra parte»[2]. Dopotutto, i nostri rifiuti non sono sparati nello spazio o sulla Luna.

 

L’idra dalle molte teste

 

Nella mitologia greca si racconta la lotta di Eracle contro l’idra di Lerna, un mostruoso serpente dalle molte teste che può uccidere una persona con il solo respiro o per contatto con il suo sangue. Si può dire lo stesso dell’inquinamento. Per molto tempo si è pensato che le attività marittime (navigazione, marina militare, pesca, piattaforme petrolifere, turismo costiero…) fossero le maggiori responsabili dell'inquinamento di mari e oceani, ma incidono solo per il 20% (Fig.1), tutto il resto proviene dalla terraferma via terra, aria e acqua.

  

La prima testa: il petrolio

 

Gli sversamenti di petrolio e oli combustibili sono il tipo di inquinamento marino più spettacolare e che riceve maggiore copertura mediatica. Il greggio è un'emulsione complessa di idrocarburi[3] e altre sostanze. Non esiste un petrolio uguale all'altro, perché la composizione dipende dalle sostanze da cui si è formato nell'arco di centinaia di milioni di anni.

Gli idrocarburi che lo costituiscono possono essere suddivisi tre famiglie:

1) leggeri: idrocarburi alifatici contenenti fino a 10 atomi di carbonio, poco solubili in acqua, o dotati di un solo anello aromatico (benzene, toluene e xilene), che hanno una maggiore solubilità. Hanno punti di ebollizione inferiori a 150°C ed evaporano in circa 24 ore se esposti all’aria;

2) medi: idrocarburi alifatici contenenti da 11 a 22 atomi di carbonio o con più anelli aromatici (naftalene, fenantrene, antracene, ecc.). Sono ancora meno solubili in acqua dei precedenti e hanno punti di ebollizione compresi fra 150 e 400°C, quindi evaporano molto lentamente a temperatura ambiente o solo se sono riscaldati;

3) pesanti: idrocarburi con più di 23 atomi di carbonio, cere, asfalti e bitumi. Sono pochissimo solubili, evaporano difficilmente e permangono a lungo nei sedimenti sotto forma di grumi di catrame o pavimenti di asfalto. Sono i composti più persistenti e difficili da degradare.

Conoscere la composizione di un petrolio sversato è un dato essenziale per poter intervenire in modo appropriato e non produrre ulteriori danni.

 

Le cause degli sversamenti

 

Possono essere ricondotte soprattutto a errori umani (30-50%), guasti tecnici e malfunzionamenti (20-40%), disastri naturali, incidenti o atti ostili deliberati. Va anche sottolineato che circa il 40-50% di tutto il petrolio rilasciato negli oceani deriva da infiltrazioni naturali dalle rocce del fondo marino. Benché si tratti della singola fonte di fuoriuscite di petrolio più consistente (600.000 tonnellate annue), non è tuttavia considerata problematica, perché gli ecosistemi si sono adattati a questi rilasci regolari e localmente i batteri si sono evoluti per metabolizzare le molecole degli idrocarburi.

 

Petroliere e navi

Circa il 90% del trasporto mondiale di petrolio avviene tramite petroliere e le quantità trasportate sono in aumento costante. Le principali cause di sversamenti da navi cisterna sono collisioni (29%), incagliamenti (22%), cattiva gestione (14%) e affondamento (12%). Gli incidenti di questo tipo sono considerati una minaccia ecologica grave a causa della grande quantità di combustibile sversato per singolo evento e perché le principali rotte del traffico marittimo sono vicine ai grandi ecosistemi marini.

Fig.2. Andamento degli sversamenti di petrolio per decadi  

La banca dati creata dall’organizzazione no profit ITOPF[4] registra una riduzione graduale della frequenza ed entità degli incidenti gravi (superiori a 7.000 tonnellate) a partire dagli anni Ottanta (Fig.2), grazie all’introduzione di innovazioni tecnologiche e di misure preventive, come l’obbligo del doppio scafo nei serbatoi.

Oltre agli incidenti veri e propri, un vero flagello sono i lavaggi dei serbatoi delle imbarcazioni con acqua di mare che poi è scaricata senza subire trattamenti. Le quantità coinvolte sono piccole, ma frequenti e costanti, e finiscono per provocare un danno maggiore dei grossi sversamenti di petrolio, perché, sommate, raggiungono la cifra impressionante di due milioni di tonnellate annue, come se ogni tre giorni naufragasse una petroliera. Però lo sversamento è diluito e non protesta nessuno.

 

 

 

Fig.3. Inquinamento causato dall’incidente alla Deepwater Horizon.  

Piattaforme offshore

Circa un terzo del gas e del petrolio provengono da impianti offshore e, anche se le fuoriuscite accidentali dalle piattaforme sono solo il 3% del totale, ogni volta provocano danni ambientali importanti e contaminazioni estese, perché sigillare un condotto sottomarino rotto può richiedere mesi. Un caso esemplare è l'incidente occorso il 20 aprile 2010 nel Golfo del Messico alla piattaforma della British Petroleum Deepwater Horizon[5] (Fig.3).

 

Durante un violento temporale si è scatenato un incendio che ha richiesto giorni per essere domato e alla fine la piattaforma è comunque affondata. La conduttura di petrolio che si è spezzata è stata chiusa soltanto dopo cinque mesi, dopo aver rilasciato 500.000-627.000 tonnellate di petrolio. Il danno all’ambiente marino è stato gravissimo e ha avuto pesanti ripercussioni sull’economia locale basata sul turismo e la pesca. Per di più l’incidente si è verificato proprio nel luogo e nel momento della riproduzione dei tonni a pinne gialle (Thunnus albacares) e a pinne blu (Thunnus thynnus). La British Petroleum ho dovuto pagare i danni – il risarcimento più cospicuo negli Stati Uniti fino a oggi – non soltanto per la morte di undici operai e per i danni ambientali, ma anche per aver risparmiato senza scrupoli sulle misure di sicurezza, aver utilizzato cemento scadente per il pozzo, aver garantito la non tossicità dei disperdenti impiegati per pulire la superficie del mare – che erano invece tossici e cancerogeni – e per non aver protetto in modo adeguato gli operatori incaricati della pulizia.

Anche se le tecnologie per la perforazione in acque profonde sono migliorate negli ultimi 30-40 anni, ora si prospettano nuovi rischi operativi perché la ricerca di nuovi giacimenti si sta spostando verso siti più difficili da gestire.

 

Oleodotti

Dovrebbero contribuire per l'1% all'inquinamento da petrolio negli oceani, ma è un dato sottostimato perché questi eventi non ricevono l’attenzione mediatica che meriterebbero, a meno che non si verifichino in prossimità di zone abitate. Questi incidenti sono spesso causati dalla pesca a strascico, da disastri naturali, corrosione dei tubi, difetti di costruzione, sabotaggio o tentativi di furto di combustibile. Negli ultimi quattro decenni si è purtroppo registrato un aumento significativo delle fuoriuscite di petrolio soprattutto dagli oleodotti del delta del Niger.

 

Altre fonti

Il petrolio può raggiungere gli oceani da fonti terrestri anche attraverso le vie d’acqua del pianeta per una quota circa dell'11%. Tuttavia, a parte qualche eccezione, le fuoriuscite esclusivamente terrestri producono soprattutto effetti locali e non si diffondono così rapidamente e a grandi distanze come nell'acqua.

 

Chi ci protegge?

 

A livello internazionale è operativa dal 2 ottobre 1983 la convenzione MARPOL 73/78[6] che nasce sulla scia di due grossi sversamenti di petrolio causati, rispettivamente, dallo scontro di due fregate nel porto di Vancouver nel 1973 e dalla rottura in due tronconi della petroliera Amoco Cadiz che si incagliò sulle coste della Bretagna nel 1978. Non è un caso che i primi due allegati, relativi a sversamenti di petrolio e sostanze liquide nocive, siano vincolanti per tutti gli stati aderenti, mentre gli altri, purtroppo, sono facoltativi. Al 31 dicembre 2011, hanno aderito 170 Paesi, che rappresentano il 98% del tonnellaggio mondiale. Tuttavia, anche dopo l’entrata in vigore, la direttiva non è sempre stata rispettata dai firmatari (Fig.4), in particolare in acque internazionali dove nessuno ha giurisdizione o potere sanzionatorio in caso di attività dolose e, anche nel caso di sversamenti accidentali, si assiste spesso a rimpalli di responsabilità.

 

Fig.4. In verde i Paesi firmatari della convenzione MARPOL 73/78  

 Cosa succede quando il petrolio finisce in mare?

 

La composizione del greggio nei suoi depositi naturali può rimanere stabile a lungo, ma cambia per esposizione all’azione dell’acqua, dell’ossigeno, della radiazione solare, dei microrganismi e di altri fattori che innescano processi chimico-fisici di degradazione (Fig.5). I cambiamenti sono rapidi nelle fasi iniziali dell’esposizione, poi rallentano fino a raggiungere uno stato di equilibrio con le condizioni ambientali. È importante tenere conto di questo fattore quando si devono prendere decisioni operative in caso di sversamento.

 

 

Fig.5. Processi di degradazione del petrolio sversato (adattato da https://clearseas.org/en/responding-to-oil-spills)  

 I composti volatili evaporano nel giro di poche ore e le componenti solubili in acqua si disperdono abbastanza velocemente. L’evaporazione è favorita dal calore, dal vento e dalla turbolenza marina.

La chiazza di petrolio poi si allarga in modo disomogeneo in base alla viscosità e al volume di greggio sversato e, per effetto degli agenti atmosferici, tende progressivamente a suddividersi in chiazze o strisce più ridotte e a creare sospensioni nella colonna d'acqua. Questo processo naturale di dispersione può essere accelerato con agenti disperdenti che aumentano il rapporto superficie/volume delle gocce di petrolio.

La situazione è più complessa se il petrolio è molto viscoso o si addensa unendosi a particelle di sabbia o solidi sospesi per formare aggregati che affondano e si depositano sul fondale. Questa sedimentazione può anche verificarsi quando il petrolio si incendia – o viene incendiato per smaltirlo – e si formano residui molto densi.

In un secondo momento iniziano processi di degradazione fotochimica e biochimica. La radiazione solare può indurre diverse reazioni chimiche (ossidazione, decomposizione, polimerizzazione) che portano alla formazione di miscele complesse di prodotti chimici e residui persistenti sotto forma di aggregati di catrame rivestiti da una crosta di materiale ossidato. Molti componenti del petrolio sono resistenti all’attacco dei microrganismi e non sono biodegradati a meno di non contenere azoto o fosforo necessari al loro sviluppo. Questo processo può essere favorito disperdendo nelle acque inquinate sostanze contenenti questi due elementi chimici.

In genere i processi di dispersione, evaporazione, formazione dell’emulsione e dissoluzione si verificano subito dopo lo sversamento, mentre quelli di fotoreazione, sedimentazione e biodegradazione procedono in un secondo momento influenzando fortemente il destino ambientale del greggio sversato.

 

I danni

 

Le conseguenze economiche degli sversamenti di petrolio sulle attività costiere (pesca, turismo, attività portuali e di estrazione di risorse marine) possono essere molto gravi. L’impatto dipende dal grado di esposizione al moto ondoso e dalla tipologia di litorale. Nelle coste rocciose i tempi di ripristino sono più brevi, poiché il petrolio è rimosso dalle onde e non fa in tempo ad aderire a questo tipo di superfici, a meno che non si trovino in una zona riparata e poco esposta alle correnti e al moto ondoso. Si tratta di zone ricche di vita, soprattutto di invertebrati, e sono più difficili da raggiungere e trattare nel caso fossero necessarie operazioni di bonifica.

Le coste sabbiose sono più riparate e quindi più esposte agli effetti dello sversamento di petrolio, che tende facilmente ad accumularsi e può persistere a lungo nei sedimenti dilatando i tempi di ripristino grazie alla porosità elevata delle miscele di sabbia, ghiaia e pietrisco che le costituiscono.

Nelle regioni tropicali, gli ambienti più vulnerabili sono le paludi costiere e le aree umide con foreste di mangrovie, perché queste piante muoiono se il petrolio soffoca le radici o contamina i sedimenti. Un recupero completo, anche dopo la rimozione dei contaminanti e l’avvio di un programma di riforestazione, può richiedere decenni.

Uno sversamento di petrolio produce effetti negativi sulla salute umana e delle specie animali nel breve e nel lungo termine sia direttamente che come conseguenza dei processi di rimozione o pulizia. Non è tuttavia possibile stabilire una relazione diretta tra la quantità di petrolio sversato nell'ambiente acquatico e il suo impatto sulla biodiversità, perché un incidente di piccola entità nel momento o nella stagione sbagliati o in un ambiente sensibile può causare più danni di uno più grande che si verifichi in un periodo dell'anno meno critico.

Gli effetti dipendono dal tipo di specie coinvolta e vanno dall’intossicazione acuta e cronica, che coinvolge soprattutto gli apparati respiratori, digerenti e riproduttivi, fino a danni specifici per le varie specie. In particolare, il petrolio danneggia il piumaggio degli uccelli marini, il pelo e la pelle ruvida dei mammiferi, inibendone le proprietà isolanti e le capacità di volo o di galleggiamento. Le specie marine rischiano così di morire per ipotermia, annegamento o perché diventano facili prede di altre specie. Inoltre, il petrolio può camuffare gli odori, ostacolando il riconoscimento fra madri e piccoli, con conseguente abbandono e morte della prole.

 

Pulizia e recupero

Uno sversamento di idrocarburi in mare è un evento di criticità ambientale rilevante in cui si deve agire in tempi brevi e in un quadro di emergenza. Le priorità sono proteggere le vite umane, stabilizzare la situazione per evitare che peggiori e minimizzare l'impatto sull'ambiente.

La decisione se e come pulire una costa inquinata e la definizione degli obiettivi dipende dalla possibilità di ridurre il danno ambientale causato dalla presenza del prodotto, dall’uso del tratto costiero per le attività economiche e dall’impatto che le operazioni di pulizia potrebbero determinare sugli ambienti marino-costieri.

Le strategie di intervento possono essere ricondotte a quattro tipologie: contenimento e recupero del petrolio con sistemi di confinamento, azioni di rimozione manuale o meccanica, applicazione di prodotti ad azione assorbente o disperdente.

La scelta della metodologia più adatta al singolo caso – o la combinazione di più di una – è cruciale per la buona riuscita dell’intervento, cercando di recuperare quanto più prodotto sversato e di minimizzare i danni ambientali, economici e sociali dell’inquinamento. Va comunque sottolineato che non sarà mai possibile recuperare interamente il petrolio sversato, ma ce ne sarà sempre una aliquota che evapora, si disperde, affonda o raggiunge le coste.

Non si ha neppure la certezza a priori dell’efficacia di un intervento, perché in quel caso specifico potrebbe addirittura peggiorare la situazione. Infatti, una pulizia eseguita in maniera non corretta o troppo aggressiva può causare danni ambientali perfino peggiori di quelli provocati dallo sversamento stesso di petrolio. A volte la soluzione migliore è, paradossalmente, non fare nulla e lasciare che i processi naturali ripristinino da soli l’equilibrio ambientale, in particolare quando l’inquinamento è di media/bassa entità.

 

Bibliografia

  1. E. Polo, L’isola che non c’è. La plastica negli oceani fra mito e realtà, Edizioni Dedalo, Bari 2020
  2. ISPRA, Sversamenti di prodotti petroliferi: sicurezza e controllo, Rapporto 149/2011. ISBN 978-88-448-0520-3, https://www.isprambiente.gov.it/contentfiles/00010300/10390-rapporto-149-sversamenti-di-petrolio.pdf
  3. ISPRA, Sversamento di idrocarburi in mare, Quaderno di Ricerca marina n.1, 2014, ISBN: 978-88-448-0579, https://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/quaderni/ricercamarina/Quadernon.1Sversamentodiidrocarburiinmare.pdf
  4. D. Mackay, C.D. McAuliffe, Fate of hydrocarbons discharged at sea, Oil and Chemical Pollution, 1989, Vol. 5, pp 1-20


[1] Ricercatrice CNR (ISOF) e docente di Didattica della Chimica e di Chimica Metallorganica presso l’Università di Ferrara

[2]Annie Leonard, attivista ambientalista, autrice del film La storia delle cose

[3] Composti organici costituiti solo da carbonio e idrogeno

[4] International Tanker Owners Pollution Federation Limited, https://www.itopf.org/knowledge-resources/data-statistics/statistics/

[5] https://www.youtube.com/watch?v=VfZlaa3Vhaw; https://www.youtube.com/watch?v=Q1mLhwrNN8E

[6] International Convention for the Prevention of Pollution from Ships