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Un comunista «eccentrico» che sapeva guardare lontano

 

Mario Tronti

Un comunista «eccentrico» che sapeva guardare lontano

 

 Alfonso Maurizio Iacono, per gentie concesssione de il Manifesto

 

Il profilo

Insisteva sulla necessità di concepire la democrazia come una struttura di potere, negli stessi termini in cui il ’68 aveva posto il tema, cercando nuove forme di partecipazione.

Mario Tronti aveva uno stile inconfondibile.

Ho sempre trovato a?ascinante il suo modo di scrivere, lapidario, secco, senza troppe circonvoluzioni, quasi uno specchio di quel suo decisionismo teorico che lo portava ad ammirare (lo ascoltai a Siena nella sua Università moltissimi anni fa) spregiudicatamente Carl Schmitt considerandolo il Lenin della borghesia. Comunista, è sempre stato per così dire eccentrico. Operaista, ha rimpianto di essere stato troppo vincolato al suo libro Operai e capitale e in particolare al capitolo su Marx a Detroit. Un libro e un capitolo che fecero epoca. Sapeva certamente cosa fosse diventata Detroit dopo il crollo dell’industria automobilistica.

 

Il tema operasista 

Della centralità della fabbrica che era stato sollevato da Raniero Panzieri e esplicitato nei Quaderni rossi, a cui Tronti partecipava, fu negli anni ’60 una grande scossa teorica nel marxismo, che in?uenzò potentemente lo sviluppo del movimento sindacale successivo e in particolare quello metalmeccanico. Alla fine degli anni ’70, per la precisione nel ’77, Tronti pubblicò un piccolo libro, L’autonomia del politico, dove teorizzava che a partire dagli anni ’60 la politica si era espansa nelle società capitalistica sia attraverso le lotte operaie sia con l’esplosione del ’68, che, a sua volta, interpretava non come un’esplosione improvvisa, bensì come il risultato delle lotte operaie degli anni precedenti. Inoltre constatava acutamente che in quegli anni la politica stava passando dalle mani degli Stati a quelle dei partiti.

 

È ciò che specifica in un altro libro, di poco successivo, Il tempo della politica, dove egli vede, nel periodo ’77-’78 uno spostamento del quadro istituzionale ora determinato dai partiti in qualche modo uniti nel combattere l’allora stato di emergenza. Il riferimento era soprattutto al suo partito, il Pci, che in quel tempo praticava la politica dell’unità nazionale, una politica che stava aprendo una lacerazione nel blocco sociale che lo componeva. Tronti si era reso conto, e richiamo oggi queste sue rifessioni che avevo già evidenziato sulle pagine di questo giornale nel 1980, perché, nonostante le grandi di?erenze storiche, vi vedo delle analogie, che una politica basata quasi esclusivamente sulla difesa della democrazia così com’è e dunque su un antifascismo puramente difensivo e basato sulla conservazione dello stato esistente, rischiava di portare al fallimento della sinistra.

 

Tronti insisteva sulla necessità di concepire la democrazia come una struttura di potere, in fondo negli stessi termini in cui l’aveva posto il ’68, e di cercare nuove forme di partecipazione democratica capaci di incidere sul potere capitalistico. In questo senso, guardando le cose ora da una certa distanza, vi erano indirettamente dei punti di contatto con la riflessione sui consigli di fabbrica e sulla democrazia consiliare che portava avanti Lucio Magri. Certo con la grande di?erenza che quest’ultimo non accettava l’autonomia del politico, eppure la ricerca di nuove forme di democrazia partecipata poneva un’esigenza che il neoliberismo ha disperso e frantumato riuscendo a organizzare un sistema democratico dove i partiti per la loro attuale forma organizzativa (rapporto leader-plebe; leggerezza e dissolvenza delle forme intermedie della politica; perdita di futuro – chi ha più tempo e interesse a progettare qualcosa di lungo periodo? – ) si sono conformati esattamente a ciò che disse Margaret Thatcher: «There is no Alternative».

 

In una bella intervista sul Manifesto Mario Tronti, questo enigma come lo chiamava Toni Negri, si mostrò molto ironico nei confronti dell’Atlantismo di sinistra, sottolineando una cosa che merita di essere ricordata: la sinistra deve aprire il confitto sociale piuttosto che fare il contrario. Aveva ragione.

 

Forse la sua concezione 

Della politica e della sua autonomia era a volte retoricamente eccessiva. Tuttavia oggi, mentre trionfa l’antipolitica e la totale, dffusa servile soggezione a quello che una volta veniva chiamato – e che è – potere capitalistico, le sue ri?essioni teoriche, il fatto in particolare di avere posto l’accento senza infingimenti sul rapporto tra democrazia e potere e, dall’altro, di avere evocato l’orgoglio da ritrovare da parte di una sinistra oggi priva di sostanza, per quanto egli sia stato politicamente enigmatico, merita la più profonda ammirazione. Mario Tronti ha saputo guardare realisticamente lontano.

Da lui, che si sia stati d’accordo oppure no, tutti abbiamo imparato.