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Giganti degli oceani e degli abissi

 

 

 

Meganeura monyi BRONGNIART 1893

 Giganti degli oceanni e degli abissi

 

Piero Sagnibene

 

Nell’osservare un modello ricostruito del fossile della Meganeura monyi BRONGNIART 1893, una enorme libellula vissuta nel Carbonifero, 300 milioni di anni fa, che aveva una apertura alare di 75 cm ed una lunghezza di 50 cm (forse il più grande insetto mai apparso sulla Terra) ripensavo a quella singolare domanda che D’Arcy Thompson pose per spiegare alcuni aspetti della sua teoria: “ Perché non vi sono insetti grandi come elefanti?”. Solo alcune specie delle attuali Libellule superano di poco il decimo di queste misure , ma, più in generale, viene da chiedersi perché e e come gli insetti del periodo Carbonifero  fossero diventati così grandi e poi, nel corso della loro evoluzione, hanno così ridotto le loro proporzioni. Vi sono opinioni discordanti, ma una parte delle ragioni certe riguarda l’apparato respiratorio degli Odonati. L’impermeabilità all’acqua della cuticola degli insetti è per loro una condizione essenziale, ma ha per conseguenza il serio inconveniente che è impermeabile anche all’ossigeno. Una vita libera ed attiva richiede una provvista di ossigeno in grado di mantenere un alto grado di metabolismo, tale da permettere la combustione di grandi quantità di zuccheri e di grassi per fornire l’energia necessaria ad un movimento realmente attivo.

Gli insetti possiedono un sistema respiratorio speciale formato da invaginazioni della cuticola, trachee tubolari collegate le une alle altre e che sboccano all’esterno tramite stigmi. Le trachee si collegano e si ramificano, riducendo progressivamente il loro calibro, rastremandosi sino a diventare vasi capillari (tracheole) che giungono sino a calibri di 1/10 di micron, penetrando nelle cellule con le loro dimensioni ultramicroscopiche e portando l’aria ossigenata direttamente nelle cellule. Questo sistema però, pone un limite massimo alla taglia corporea; il tasso attuale dell’ossigeno atmosferico è di circa il 21% ma gli insetti del Carbonifero potettero oltrepassare l’attuale limite di taglia grazie ad una concentrazione di ossigeno atmosferico che allora era il 31-32%, circa il 50% in più di oggi.

Oggi gli insetti hanno piccole dimensioni che vanno da 0,2 mm del piccolo imenottero Alaptus magnanimus ANANDALE 1909 fino agli insetti-foglia Phasmatodea Jacobson & Bianchi 1902 , che raggiungono i 30 cm. Le piccole dimensioni richiedono minor alimento per raggiungere la maturità, consentono di servirsi di piccoli nascondigli per sottrarsi ai predatori, ed aprono loro un modo inaccessibile ad animali più grandi: scavare nello spessore di una foglia, crescere nell’ambito di un unico piccolo seme, svilupparsi nell’uovo di un altro insetto sono cose possibili solo ad un animale molto piccolo, ma vi sono limiti di dimensioni al di sotto dei quali un insetto non potrebbe vivere. La respirazione tracheale, la cui efficienza dipende soprattutto dalla diffusione dei gas, non potrebbe funzionare in un insetto della taglia di un elefante.

 

 

I più grandi animali attualmente viventi sul pianeta abitano gli abissi oceanici, come i grandi calamari, o gli oceani, come balene, orche, capodogli, mante, ecc. Nel mare, la spinta idrostatica, pari al peso dell’acqua spostata dal volume dei loro corpi, riduce lo sforzo di galleggiamento e consente loro di muoversi e di nuotare con agilità nell’ambiente liquido, nonostante il loro peso e le loro taglie davvero enormi.

Non abbiamo ancora una teoria concorde e sufficiente che possa spiegare ed unificare i fenomeni del gigantismo animale; le cause sono diverse e spesso le spiegazioni che troviamo per alcuni non sono in accordo con quelle che troviamo per altri. Gli enormi sviluppi di taglia sono certamente riconducibili anche a cause ecologiche, ma non sappiamo se vi è una vera direzionalità nell’evoluzione delle dimensioni, non sappiamo se vi sia effettivamente qualche processo evolutivo attivo che promuove le taglie più grandi, né quale sia e come operi.

Molto più vicina a noi, nel tempo, la megafauna del Pleistocene (tra 2,58 milioni di anni fa e 11 700 anni fa ) comprendeva mammut, bradipi, rinoceronti e tanti altri mammiferi di dimensioni mastodontiche. Di quella colossale, e perduta, fauna oggi restano ben pochi rappresentanti; colonizzando il pianeta, tra 20.000 e 10.000 anni fa, l’uomo portò all’estinzione centinaia di migliaia di specie di grandi animali, spesso superiori a 2 tonnellate. Ritroviamo fossili che ci mostrano le dimensioni impressionanti dei grandi Dinosauri del Mesozoico (251- 65 milioni di anni fa), come Argentinosaurus huinculensis che superava i 30-35 metri di lunghezza e le 75 tonnellate di peso, o come il Bruhathkayosaurus, di cui sono stati trovati pochissimi resti fossili, che potrebbe essere arrivato ad una lunghezza di oltre 60 metri, per un peso di 125-170 tonnellate, caratteristiche ancora da confermare. I Dinosauri furono padroni del pianeta per 150 milioni di anni e perirono, secondo Luis Alvares, in una crisi planetaria provocata da un asteroide. Tuttavia prove recenti indicano che le loro dimensioni medie erano in flusso costante durante il Mesozoico, quindi non sappiamo se avrebbero potuto svilupparsi ulteriormente.

Il gigantismo si presenta in specie filogeneticamente molto diverse. Sembra essere indotto dalla interazione degli animali con i loro ambienti e con la loro ecologia, tant’è che molti di questi enormi animali hanno prodotto dispositivi anatomo-fisiologici che integrano lo sforzo di galleggiamento. I grandi calamari, ad esempio, sebbene le loro grandi dimensioni permettano loro di ricevere una spinta idrostatica di notevole entità, mantengono il galleggiamento neutrale nell’acqua anche grazie ad una soluzione di cloruro di ammonio (NH4Cl), più leggero dell’acqua, che scorre in tutto il loro corpo.

Il fenomeno di una costante crescita dimensionale coinvolge soprattutto gruppi animali le cui dimensioni corporee sono, in un dato periodo, relativamente più grandi di quelle di altri gruppi e sembra correlato alla tendenza ad una più spiccata diversificazione in specie, che, a sua volta, ne favorisce il successo evolutivo.

 

 Edward Drinker Cope (1840-1897)  

Il paleontologo Edward Drinker Cope (1840-1897)  analizzò oltre 17.000 fra specie e generi di animali marini vissuti negli ultimi 500 milioni di anni. Dai suoi studi è risultato che, nel mezzo miliardo di anni considerato, la dimensione media degli animali marini è aumentata di 150 volte, ed è anche emerso un chiaro modello di distribuzione di questo aumento, ma non tutti i gruppi di specie e generi affini tendevano a dimensioni maggiori; quelli che erano più grandi tendevano a diventare più diversificati nel tempo. In altri gruppi animali i fenomeni sono contrastanti; dinosauri e coralli, per esempio, sembrano seguire la “regola di Cope”; uccelli e insetti invece no. In certi casi vi é il dubbio se la tendenza osservata nei mammiferi terrestri, ad esempio, sia un fenomeno evolutivo reale oppure una “deriva neutrale”, ma il gigantismo non è esclusivo di determinate specie o gruppi di specie. Inoltre intervengono cause ecologiche che esercitano considerevoli pressioni selettive; ad esempio, si pensa che le grandi dimensioni del gigantismo abissale siano dovute a diversi adattamenti, che esso possa essere una risposta alle enormi pressioni dei fondi o, anche, un adattamento alle scarse risorse di cibo degli abissi marini, ecc. mentre, per le specie pelagiche e migratrici, potrebbe essere un modo per conservare energia, dato che un grosso volume tende a disperdere calore più lentamente.

In natura, gli animali più grandi possono avere numerosi vantaggi rispetto a quelli più piccoli, sia in termini di successo riproduttivo che di sopravvivenza dall'attacco dei predatori. Essere enormi significa spesso non dover temere nemici (uomo a parte), può aiutare a resistere più facilmente ai periodi di magra e può e far sviluppare maggiori capacità cognitive, basta pensare agli animali considerati tra i più intelligenti come elefanti, orche, mante e balene.

Manta birostris Walbaum 1792  

L’apertura alare raggiunge i 7, talvolta i 9 metri, il peso circa 2 tonnellate. La pacifica manta gigante, Manta birostris Walbaum 1792 ha un lento tasso di crescita (la maturazione sessuale è raggiunta dopo degli 8-15 anni di vita), associato a un bassissimo tasso riproduttivo (un piccolo ogni 3-7 anni), e ciò rende queste specie estremamente vulnerabili.

Si nutre di zooplancton che cattura nuotando e convogliando l'acqua verso la bocca, aiutata dalle due pinne cefaliche ampiamente mobili. Il loro comportamento è stato spesso paragonato a quello dei mammiferi acquatici più evoluti (delfini e balene). Osservando, ad esempio, il modo in cui interagiscono durante un evento di foraggiamento collettivo, ci si rende immediatamente conto del loro straordinario sviluppo sociale.

 

Christian Bergmann asserì che, nell’ambito della stessa specie, la massa corporea è proporzionale alla latitudine; questo assunto forse trova applicazione per mammiferi ed uccelli e per qualche specie ectoterma. Bergmann pensò che gli animali di massa maggiore fossero avvantaggiati, nel disperdere il calore, dal rapporto superficie/volume minore rispetto ad animali di piccole dimensioni , ma ciò non è vero in assoluto: vi sono casi di grandi animali che vivono in ambienti desertici e che utilizzano strutture e comportamenti per ottimizzare gli scompensi termici. Inoltre non è affatto chiaro se questo principio si deve considerare tra individui della stessa specie o tra specie diverse.

La “regola di Bergmann”, ad esempio, non funziona nel caso della migrazione delle balene, che durante l’estate si trattengono nelle gelide acque polari, che hanno grande abbondanza di cibo; in autunno si muovono verso la fascia equatoriale, in acque calde, dove avvengono i parti e gli accoppiamenti e dove rimangono finché, nella primavera successiva, non intraprendono il viaggio di ritorno.

  

La “regola di Bergmann”,non funziona nel caso della migrazione delle balene    Regalecus glesne

  

Regalecus glesne ASCANIUS 1772 (Lampridiformi) è un pesce abissale di enormi dimensioni, pesa diversi quintali ed è il pesce osseo più lungo al mondo. A circa 1500 metri di profondità fu avvistato da un batiscafo e la sua lunghezza fu stimata di oltre 17 metri. La sua biologia è quasi sconosciuta e talvolta è stato notato presso la superficie. I giovani hanno denti che poi scompaiono negli adulti. La tendenza all'aumento di dimensioni potrebbe anche essere un adattamento per far fronte alle scarse risorse di cibo degli abissi marini, per la forte pressione di queste profondità, che “appiattisce” la sagoma del regaleco o per ragioni ancora sconosciute.

Il più grande invertebrato vivente è il calamaro colossale dei mari del Sud. Gli avvistamenti, in mare, spiaggiati o i resti negli stomaci dei capodogli, di questi cefalopodi giganteschi sono all’origine delle plurisecolari leggende sui mostri marini.

“- Che bestia spaventosa!” – esclamò. Andai a guardare anch'io e non potei reprimere un moto di repulsione. Davanti ai miei occhi si agitava un mostro orribile, degno di figurare nelle leggende del mare. Era un polpo di dimensioni colossali che si spostava di sghembo  verso il Nautilus a velocità prodigiosa.” (Jules Verne -20 000 leghe sotto i mari)

   

calamaro colossale dei mari del Sud.   Areale batipelagico del calamaro colossale

Il mostro immaginato da Verne in realtà fu trovato da G.K.Robson nel 1925, grazie ad alcuni frammenti di grandi esemplari trovati negli stomaci dei capodogli e grazie ad alcune catture con palangaro (una lunga lenza di grosso diametro con inseriti ad intervalli regolari spezzoni di lenza più sottile portanti ognuno un amo). Robson trovò frammenti del  calamaro colossale Mesonychoteuthis hamiltoni ROBSON 1925, una specie batipelagica, la più grande specie di calamaro e il più grande tra gli invertebrati conosciuti. Il suo peso può superare i 750 kg. L’enormità di questa specie risalta ancor più quando pensiamo che le dimensioni dei calamari vanno dai 2,5-6 cm dell’Alloteuthis media L.1758 (il calamaro spillo) fino alle enormi dimensioni del calamaro di Humboldt, cioè il Dosidicus gigas D'ORBIGNY 1835 dal peso di circa 50 Kg, del calamaro gigante, l’Achiteuthis STEENSTRUP 1857, di 275 kg  e 18 metri di lunghezza per i maschi, e, appunto, quelle del calamaro colossale. Alcuni cefalopodi estinti, come il cefalopode vampiromorfo del Cretaceo Tusoteuthis  ed il nautiloide dell’Ordoviciano Cameroceras CONRAD 1842 potevano raggiungere dimensioni perfino più grandi.

 

 

Orcinus orca L.  1758  

ll peso di un maschio di orca può arrivare fino a 6 tonnellate, mentre il peso di una femmina si aggira intorno alle 4 tonnellate. La lunghezza è generalmente di 6-8 metri per il maschio e 5-7 metri per la femmina; il più grande esemplare maschio misurato raggiungeva la lunghezza di 10 metri e il peso di 10 tonnellate. L'orca è il mammifero marino  che può nuotare più velocemente, fino a 55km/h. La sua velocità è data soprattutto dalla potente spinta della sua coda muscolosa. La forza del morso è molto scarsa in rapporto alle dimensioni, questo perché usa i denti come lame per tagliare il grasso e la carne piuttosto che per esercitare pressione. Le mascelle generano una forza di 7000 Newton (700 kg forza) per 47 kg/cm 2.

L'orca vive in gruppi composti dalla femmina, dai suoi piccoli, dalle femmine più anziane sterili e da un maschio adulto, cioè una famiglia materlineare. Tutti i componenti di questa famiglia comunicano tra loro attraverso suoni di vario genere e ogni famiglia ha il proprio linguaggio. L'orca ha un organo specifico posto sulla fronte che può usare come un sonar; tutti gli oggetti colpiti dalle onde sonore rimandano una eco che le orche percepiscono come un animale o come una roccia da evitare.

 

Capanna fabbricata con ossa di Mammut ritrovata a Mežirc (Ucraina).  

L’Antropocene, l’era dell’uomo, cominciò con l’ecatombe dei grandi animali del Quaternario, le cui ossa, in qualche caso, furono utilizzate per costruire capanne. Ci stiamo avviando alla fine di quest’era con una nuova ecatombe che riguarda tutti i viventi, uomo compreso, ed i grandi animali sono oggi in pericolo di estinzione; i loro ambienti marini, corrotti dagli inquinamenti, dalla microplastica, dalla CO2 che si scioglie negli oceani, la pesca dissennata e persecutoria, ne fanno le prime vittime. La dissennatezza umana risulta ben più efficace di una catastrofe cosmica nell’annientare la vita, provocando una estinzione senza sopravvissuti.