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Mezzo millennio fa: Portoghesi versus Inglesi

 

 

impero coloniale portoghese

Mezzo millennio fa: Portoghesi versus Inglesi

 

Luciano Luciani

 

 

       Da quando nel 1488 il portoghese Bartolomeo Diaz, doppiando il Capo di Buona Speranza, aveva dimostrato che l’Atlantico poteva essere la porta dell’Asia, il Paese del grande navigatore, il Portogallo, – un piccolo Stato europeo che non arrivava ad un milione di abitanti – si era trasformato in un immenso impero commerciale.

        Il trattato di Tordesillas (1494) stipulato tra Spagna e Portogallo, aveva diviso il mondo in due grandi zone di influenza: fissata una linea, che passava a qualche centinaio di leghe ad ovest delle Azzorre, delle Canarie e delle Isole di Capo Verde già occupate da portoghesi fin dalla prima metà del XV secolo, il ponente era toccato alla Spagna, il levante al Portogallo.

          Esperti navigatori i portoghesi, i più abili nella navigazione transoceanica, avevano scoperto ed occupato il Congo, l’Angola, il Monzambico, il Brasile. Dopo l’impresa di Vasco de Gama, che tra il 1497 e il 1499 aveva toccato la penisola indiana, i loro traffici si erano ulteriormente allargati all’Africa orientale, all’India, all’arcipelago indonesiano. Per i mercanti di Lisbona non era stata facile la conquista di questi nuovi mercati. C’erano riusciti alternando la forza – bombardamento di Calicut (India) – ad una politica di prezzi più bassi rispetto alla concorrenza, non trascurando un accorto sistema di alleanze commerciali: per esempio con i trafficanti persiani contro veneziani, egiziani e turchi ostili alla presenza portoghese nell’area dell’oceano Indiano.

         In poco tempo avevano stretto nelle proprie mani il monopolio del traffico delle spezie: questo si muoveva ora non più lungo il tradizionale itinerario che andava dal Golfo Persico, al Mar Rosso, al Mediterraneo, ma lungo rotte transoceaniche che finivano per penalizzare pesantemente la funzione di intermediazione storicamente svolta dai veneziani.

         I portoghesi controllavano inoltre altri due mercati decisivi: quello dello zucchero – prodotto fino a quel momento negli arcipelaghi atlantici e poi, a partire dalla metà del ‘500 in Brasile – e quello del traffico negriero: i mercati di questa lucrosissima attività economica punteggiavano tutta la costa occidentale dell’Africa, dalla Sierra Leone al golfo di Guinea, giù giù fino alla foce del fiume Congo e alle coste dell’Angola. Quando poi l’offerta di carne umana risultava inferiore alla domanda sempre crescente era sufficiente razziare negri delle tribù costiere africane per poter rifornire Santo Domingo e le Antille, i maggiori luoghi di commercializzazione della carne di negro, sempre più utilizzata nelle piantagioni e nelle miniere del nuovo mondo per colmare i larghissimi vuoti apertisi nella popolazione indigena d’America, sterminata dalla brutalità dei conquistatori, dalla violenza dell’impatto con la cultura europea, dalle nuove malattie importate dall’Europa.

 

         È comprensibile che anche il solo affacciarsi dei mercati inglesi lungo linee di traffico ormai esclusive, venga guardato dai portoghesi con preoccupazione e sospetto. Il primo, timido, tentativo inglese di allestire una flotta per raggiungere il golfo di Guinea allo scopo di contrastare il monopolio commerciale e navale qui stabilito dalla marineria lusitana risale al 1481 e viene vanificato per via diplomatica. Giovanni II del Portogallo (1481-1495), intenzionato ad intensificare gli sforzi nella esplorazione dell’Atlantico australe ha buon gioco nell’imporsi al debole sovrano inglese Edoardo VI “affinché… desse ordine in tutte le terre a lui sottomesse che nessuno armasse o inviasse navi in Guinea”. Siamo ancora alla minorità dell’Inghilterra sul mare e alla vigilia delle grandi avventure portoghesi di Bartolomeo Diaz – che tra il 1486 e il 1488 circumnavigò l’Africa – e di Vasco de Gama, il quale, appena pochi anni più tardi (1497), ripercorrendo la rotta di Diaz, riuscì a portare una grande spedizione sulle coste del continente indiano. Un’impresa eccezionale dagli straordinari effetti: il continente africano era svelato per intero nei suoi contorni e non faceva più paura; la via marittima all’India era sicuramente palesata e veniva avviata una rivoluzione commerciale destinata a favorire gli stati rivieraschi dell’Europa atlantica.

         La riapparizione degli interessi e dei navigli inglesi è quanto mai discreta e avviene solo più di 40 anni più tardi quando ormai nell’immenso impero portoghese – che andava dal Brasile alla Guinea, al Golfo Persico e all’India – cominciano ad avvertirsi i primi segni di difficoltà dovuti sia alla cronica carenza di metalli preziosi con cui acquistare spezie in Oriente, sia ai costi, fattisi nel tempo insostenibili, per proteggere le rotte commerciali e il sistema delle piazzeforti lungo tutta la costa occidentale del’Africa.

         Nel 1526 un importante mercante di Bristol, Nicholas Thorne riesce a consolidare i propri traffici con le isole Canarie – “balle di panno di vari colori e vario tipo, fine e grosso, sia alto sia basso” e poi funi e saponi in cambio di zucchero, pelli e tintura – stabilendo una propria agenzia a Santa Cruz de Tenerife.

         L’arcipelago delle Canarie è destinato, nei decenni successivi, a diventare la base di sempre più numerose spedizioni mercantili inglesi, che, a metà secolo, toccheranno il Marocco e la Barbaria, scambiando inizialmente manufatti tessili con zucchero, datteri, mandorle e melassa, ma puntando ad insidiare i più remunerativi mercati dell’oro e degli schiavi, monopolio del Portogallo.

         Ben se ne resero conto i portoghesi “che consideravano come una violazione dei loro diritti i traffici da noi inglesi recentemente iniziati in Barbaria e … avevano fatto sapere, tramite i loro mercanti in Inghilterra che se ci avessero colti in quei luoghi ci avrebbero considerati alla stregua di mortali nemici… Ma la divina Provvidenza ci aiutò a sfuggire dalle loro mani.” (dalla relazione di un viaggio commerciale in Barbaria compiuto nel 1552).