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Italian Science Fiction

 

 

La morte di Megalopoli

Italian Science Fiction

I Magnifici Sette

 

Luciano Luciani

 

Dopo aver assunto dosi massicce di sf nel corso della prima metà dell’esistenza, ora mi limito alle razioni di sopravvivenza, tra l’altro sempre più contaminate da controverse ibridazioni. Oggi non sopporto più le saghe stellari e neppure le invasioni aliene, mentre il cyberpunk e il fantasy continuano a provocarmi fastidiose irritazioni, non solo metaforiche, dell’epidermide. Mi piacciono sempre, invece, le speculazioni tra storia e fantascienza, il “che cosa sarebbe successo se…” le ucronie, insomma, e, per una pulsione che non mi è ancora del tutto chiara, i disastri e le catastrofi planetarie, tipo Una ruga sulla Terra o La morte dell’erba di John Christopher. Recentemente ho ri-riletto, e con piacere, Addio Babilionia, di Pat Frank, un buon vecchio libro, targato 1959 appartenente al filone apocalittico-nucleare. Vorrà dire qualcosa?

 

E gli Autori italiani? Per la verità, me ne vengono in mente pochini e i loro libri sono disposti lungo una linea che prescinde sia dall’originalità tematica, sia dalla qualità stilistica. Sentimentale piuttosto, per le emozioni che seppero suscitare nel cuore e, perché no?, nella pancia del Giovane Lettore di allora.

Ne fornisco una modesta, sommaria, personalissima, e quindi arbitraria, mappa: chissà, magari, qualcuno potrebbe ritrovarvi le tracce anche della propria biografia intellettuale.

 

Samy Fayad, Ulix il solitario, “Urania”, n. 208, 1959

Letto alle soglie dell’adolescenza, mi impressionò per l’acuta sensibilità dell’Autore nel rielaborare il mito dell’eroe omerico, proiettandolo in un futuro non indistinto, ma ancora tangibile. Navigatore stellare alieno, naufrago sul nostro pianeta, accogliente sino a indurre pericolose forme di oblio, Ulix non rinuncia mai alla speranza di poter tornare un giorno a unirsi all’amata Karen, distante anni luce e, forse, persa per sempre. La sua tenacia lo premierà? A quel che ricordo, sì.

Narrazione di una diversità e dell’isolamento che ne deriva, condotta secondo toni elegiaci più che tragici, Ulix il solitario è opera di uno scrittore, Samy Fayad, di origini libanesi, nato a Parigi nel 1925 e fattosi napoletano alla fine degli anni trenta. Autore di radiodrammi e testi teatrali di qualche notorietà, portati al successo da Nino Taranto, Fayad intercetta con disinvoltura la scrittura fantascientifica in questa e in un’altra occasione, La collina di Hawotack, “Urania”, n. 261, 1961, di cui conservo vaga, eppure non sgradevole, memoria.

 

Ennio Flaiano, Un marziano a Roma, 1954

Letto, per fortuna, da adulto. Così, è stato possibile gustare fino in fondo gli umori corrosive dello scrittore abruzzese, la sua vena satirica, il suo acuto senso del grottesco. Racconto lungo, nato probabilmente come reazione scettica all’eccitazione diffusa per i primi avvistamenti di “oggetti non identificati” presenta questo incipit secco, essenziale:

12 ottobre. Oggi un marziano è sceso con la sua aeronave a Villa Borghese, nel prato del galoppatoio. Cercherò di mantenere, scrivendo queste note, la calma che ho interamente perduta all’annunzio dell’incredibile evento, di reprimere l’ansia che subito mi ha spinto nelle strade, per mescolarmi alla folla. Tutta la popolazione della periferia si è riversata al centro della città e ostacola ogni traffico. Debbo dire che la gioia, la curiosità è mista in tutti ad una speranza che poteva sembrare assurda ieri e che di ora in ora si va invece facendo più viva. La speranza “che tutto cambierà”. Ma la novità dura poco… Preso nei ritmi blandi, molli della Capitale cattolica e democristiana, Kunt il marziano, per niente minaccioso, anzi gentile e amabile perde velocemente di credibilità e d’interesse e finisce anche per suscitare qualche sospetto: “Ma che è venuto a fare?”, comincia a chiedersi qualcuno… E, nel giro di poche settimane, da ospite d’eccezione si trasforma in un forestiero mal sopportato che non vede l’ora di tornarsene, melanconicamente, sul suo rosso pianeta: “Si parla … di una sua prossima partenza, sempre se riuscirà a riavere l’aeronave, che gli albergatori hanno fatto, si dice, pignorare”.

Testo di un’ironia tagliente come un rasoio affilato, degno della migliore tradizione pamphlettistica europea, Un marziano a Roma, utilizza l’allora recente e sempre più fortunata moda fantascientifica per intenzioni, nient’affatto bonarie, di critica sociale e di costume. È, poi, mia convinzione che a Flaiano, eccezionale uomo di cinema, critico e sceneggiatore, non dovessero essere sconosciute le suggestioni di Ultimatum alla Terra, 1951, di Robert Wise, forse il primo film USA anni cinquanta che ci proponga l’immagine di un extraterrestre mite e pacifico.

 

Primo Levi, Vizio di forma, 1971

Venti brevi storie per intervenire sui temi allora emergenti nel dibattito sui destini della civiltà, sul rapporto tra scienza e cultura, tra morale e tecnologia. Le trasformazioni dell’ambiente e il suo degrado a causa della industrializzazione e dello sviluppo tecnologico; la creazione artificiale di esseri viventi; la manipolazione genetica; il potere pervasivo e totalizzante della pubblicità; l’alienazione dell’individuo e lo stringersi intorno a lui di un progressivo e impercettibile sistema di leggi assurde e vessatorie: questi gli spunti che Levi dipana senza epica e senza eroi. Figli del proprio tempo i suoi personaggi che si muovono sugli scenari consueti, grigi, di un quotidiano monotono e deprimente. Il futuro non promette niente di buono: nessuna nuova libertà, ma inedite servitù, mentre il progresso scientifico è destinato a generare solo mostri se non è accompagnato da quello sociale ed etico. Una lezione non nuova, ma nessuno finora l’aveva tradotta nella nostra letteratura.

 

Roberto Vacca, La morte di Megalopoli, 1974

Allo stesso clima di sfiducia nelle “sorti magnifiche e progressive” dell’uomo appartiene questo breve, e brutale, romanzo nelle cui pagine l’Autore rielabora in chiave narrativa i contenuti del suo fortunato saggio Il medioevo prossimo venturo, 1971, oggi considerato una pietra miliare della futurologia apocalittica. Ambientato in un futuro individuato nei primi anni del secolo scorso, La morte di Megalopoli descrive il repentino decline and fall degli Usa, al culmine della loro potenza economica, politica e militare a causa del collasso di un’unica, delicatissima struttura logistico-informativa. Un “punto di rottura” che si rivelerà fatale perché determinerà un “effetto domino” inarrestabile capace di trascinare alla rovina le più importanti città del Paese più progredito del mondo e tutti i suoi abitanti: i livelli di civiltà regrediranno all’anarchia feudale e la società si troverà a essere dominata da feroci, spietati Signori della Guerra.

Un libro già carico di tutte le paure della fine incombente del millennio che, nel susseguirsi di crisi energetiche e disastri finanziari, guerre locali e tensioni sociali, si rivelava sempre più inabitabile.

Inquietante, a dir poco, a leggerlo allora; attuale, e quindi ancora più angosciante, ai nostri giorni.

 

Inisero Cremaschi (a cura di), Universo e dintorni, 29 racconti italiani di fantascienza, 1978

Alla fine dei Settanta, un'antologia puntualizza lo stato d’opera della fantascienza italiana. Ed è un bilancio positivo.

Ai pionieri italiani del genere si aggiunge ora una nutrita schiera di giovani Autori ormai scesi dall’astronave e, invece, orientati verso una narrativa capace di indagare, più e meglio, tanto i motivi profondi della condizione umana, quanto le ragioni sociali del disadattamento, dell’infelicità, dell’alienazione. Sì, Universo e dintorni annuncia diverse buone nuove: l’ampliarsi del numero degli scrittori e, presumibilmente, dei lettori; la progressiva caduta d’interesse per i marchingegni figli di una fantasia tecnologica sempre più fine a se stessa; un’apprezzabile tensione umanistica dei contenuti della sf italiana i cui Autori cominciano a porsi seriamente non solo il problema del “cosa”, ma anche del “come”. Una narrativa, dunque, finalmente adulta e in grado di posizionarsi tra fatiche e ritardi “nei territori della letteratura generale”. Lo confermano anche alcuni racconti rimasti, da allora, impigliati nella rete a maglie irregolari della memoria: Davanti al Palazzo di Vetro di Vittorio Catani, La volpe stupita di Vittorio Curtoni, Cronaca dal neolitico di Giuseppe Pederiali.

 

Valerio Evangelisti, Nicolas Eymerich, inquisitore, 1994

Spietato, orgoglioso, ma intimamente assillato da mille dubbi, totalmente impegnato al servizio della Chiesa dell’autunno medioevale, Nicolas Eymerich, inquisitore domenicano, e il suo creatore, lo scrittore bolognese Valerio Evangelisti, fanno la loro apparizione sugli scenari della sf italiana ed europea alla metà degli anni novanta, destinati l’uno e l’altro a segnarne, in profondità e sino ai nostri giorni, contenuti e modi espressivi. Fortunato personaggio seriale (siamo, più o meno, al decimo romanzo), Eymerich è una figura storicamente definita che il suo Autore ha trasformato in un arcigno “indagatore dell’incubo”. Colto, intelligente, affidabile, e soprattutto completamente privo di scrupoli, vede richiesti i suoi servizi ogni qualvolta nell’Europa del XIV secolo si manifestino fenomeni misteriosi e inquietanti che richiedono interventi radicali e spregiudicati. Al punto da concepire soluzioni che riportano al nostro presente o a un oscuro futuro: una liberissima contaminazione tra storia e fantasy, fantascienza e horror, a volte digeribile, talora indigesta, che gli appassionati dei generi e dei sottogeneri identificano come New Weird, ovvero un “bizzarro di tipo nuovo” - capofila niente meno che Stephen King, il Maestro – che non esclude interessi e sensibilità di natura sociale politica.

Da assumere, secondo il mio modestissimo parere, a piccole dosi.

 

Tullio Avoledo, Mare di Bering, 2003

Mika, il protagonista, è un giovane che si ingegna a sopravvivere in un durissimo nord est italiano, fornendo tesi di laurea “precotte” a laureandi senza voglia di studiare, competenze e talenti. A scriverle non è nemmeno lui, ma le appalta a Rabo, un coltissimo reduce del movimento padovano del ’77. Precario esistenziale, ma intraprendente e iperattivo, Mika non riesce a trovare serenità neppure nella relazione con la sensuale Amanda, di cui è, forse a ragione, geloso fracico. I suoi veri guai, però, iniziano quando gli viene proposto di procurare, costi quello che costi, una laurea honoris causa alla giovane e bellissima amante di un maggiorente locale…

Storia di un eroe del nostro tempo, vivace e ben raccontata, Mare di Bering recupera non pochi valori narrativi aggiunti dalla ambientazione vagamente ucronica. Avoledo, infatti, con consumata disinvoltura, fa muovere i suoi personaggi su scenari che assomigliano al nostro, ma che, però, per qualche modesto e inavvertito particolare se ne distaccano: la moneta si chiama “nuovo euro”, circola in un’Unione Europea ridotta a sette Stati a guida ucraina, da cui Francia e Regno Unito si sono sfilate da tempo. In Italia le sedi istituzionali sono protette da filo spinato e cavalli di frisia mentre l’immagine incombente e accattivante del suo Lider Maximo incombe da manifesti che occhieggiano ossessivamente in tutte le piazze e agli angoli delle strade: la casa editrice del goveno pubblica in edizione tascabile l’Opera Omnia di Goebbels che si rivela un grande successo editoriale Nel resto del mondo, invece, il potere politico è nelle mani di donne tostissime: negli USA Hillary Rodham è alla vigilia del suo terzo mandato presidenziale (!) e costringe all’esilio i vignettisti satirici che le si oppongono; in Francia la presidente si chiama Deneuve... Un incontro al vertice, tutto al femminile, è previsto a Reykjavik. Il mondo si commuove per le sorti di un sottomarino nucleare ucraino sepolto nei ghiacci del Mare di Bering.

Asciutta ed essenziale la scrittura di Avoledo è una continua sorpresa: per la ricchezza delle citazioni letterarie, per la varietà dei richiami musicali, cinematografici, fumettari che definiscono i personaggi e danno loro spessore e personalità all’interno di un mondo cattivo e senza regole: se non è il nostro, certo poco ci manca.