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Sotto l’aquila

 

 

sotto l'aquila

Sotto l’aquila

 

Giorgio Paesani

 

Questa storia, che poi è un ricordo, l’ho raccontata mille volte, le persone a me più vicine se la sono sorbita in almeno una dozzina di occasioni. La racconto principalmente perché mi fa stare bene farlo, mi riporta ad un pomeriggio tunisino pieno di sole e di richiami di gruccioni nonché, ovviamente, di rapaci!

Io e Simonetta eravamo due marziani. Per certi versi lo siamo ancora. A El Haouaria non capivano neanche quali fossero i rapporti tra noi, condividevamo la stessa camera dell’albergo “Lo Sparviero” e la stessa passione, non parlavamo d’altro e non cercavamo altro, uscivamo dall’albergo a naso all’insù così come ci rientravamo. L’imbarazzo della gente del posto davanti ai nostri comportamenti “curiosi” era evidente. Non sapevano, ad El Haouaria, che ci sono delle categorie di personaggi talmente appassionati di rapaci che della loro passione si nutrono e il resto sfuma in secondo piano… o anche più in là.

Quella mattina Issam e Nidhal ci avevano portato al solito punto di osservazione, sotto il radar militare, al Djbel El Haouaria, ma presto ci accorgemmo che per quella volta quello non era il posto ideale. Tutti i rapaci (stiamo parlando di un flusso continuo di pecchiaioli frammisto ad ogni ben di Dio) passavano sfiorando la gobba tondeggiante ed erbosa di una collina dalla parte opposta della vallata. Via, dobbiamo andare lì! Vinte le resistenze dei due colleghi tunisini partiamo e, praticamente di corsa, scendiamo a valle, attraversiamo dei bellissimi campi coltivati e, salendo per le pendici coperte da una rada macchia, arriviamo in cima al poggio.

I rapaci passavano, e come se passavano, e dritti sopra di noi! Alternavamo il binocolo ad un improbabile cannocchiale in dotazione ai tunisini e ci stavamo divertendo da matti.

Breve inciso. Simonetta, col suo accento pratese e il tono di voce fanciullesco potrebbe dirmi “Giorgio, guarda, sono arrivate due astronavi, la sono scesi due mostri con l’armatura fatta di crani umani, e vengono verso di noi!” E avrei sorriso. Brevemente, credo, ma avrei sorriso.

Invece mi disse “Giorgio, stanno arrivando due bestie grosse grosse, col profilo da aquila, sono proprio due aquile!” Sorrisi che quasi mi si paralizzò la faccia e guardai avanti a me, ed eccole lì, le due bestione con le ali piegate verso il basso. Puntiamo le ottiche. Sono un’Aquila delle steppe e un’Aquila anatraia minore! La minore prende subito un angolo che la porterà lontano da noi, ma la “steppe” punta dritta verso il nostro poggio. Che si fa?? Mi viene in mente “facciamo qualcosa di strano, un predatore che fa lo scemo non fa paura”. Chiesi a tutti di sdraiarsi nell’erba alta, faccia su, e aspettare. Un paio di minuti (da me percepiti come il lento scorrere di otto lunghe stagioni) ed eccola, sopra di noi, bassa, bassissima. Un giovane, con la banda bianca sotto l’ala da manuale, con la boccona enorme da manuale, le proporzioni esagerate, le ali digitate, girava la testa per osservarci meglio, da ogni angolazione… Eravamo in stato di trance, tutti e quattro, io credo di aver riso. L’aquila ci volteggiò sulla testa a lungo, squadrandoci con quegli occhi da rettile preistorico, poi si stufò, prese quota e sparì.

Ci alzammo “strani”, scintillanti: c’era stato il contatto, l’incontro. Continuammo le osservazioni e ogni pecchiaiolo (delle centinaia) era speciale, ogni poiana codabianca “sapeva” di deserto, i lanari odoravano di roccia cotta dal sole, i nibbi bruni riempivano l’aria del loro tremolio silenzioso, le cicogne bianche erano promesse di posti lontani, a nord, freschi e pieni di rane, ogni sagoma parlava. Questo fintanto che il mare non si coprì di pulviscolo vivo: le berte maggiori che si radunano a migliaia prima di rientrare in colonia nelle isole del Parco Nazionale di Zembra e Zembretta.

Scesi dalla collina, un bimbo si allontanò dalla madre e ci corse incontro con un enorme mazzo di baccelli! Erano i frutti del suo orto e voleva che li assaggiassimo, i suoi occhi brillavano di orgoglio.

Era tempo di tornare alla base, cambiati per sempre.