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Del dominio delle macchine

 

sillabazione 

Del dominio delle macchine

 

Fabio Fantini

 

Che il futuro riservi all’umanità un destino di sottomissione a macchine dotate di intelligenza superiore a quella umana è una preoccupazione che affiora spesso nelle riflessioni sugli sviluppi dell’intelligenza artificiale. Per il momento, più modestamente e forse in banale coerenza con la fase storica, assistiamo ai primi esempi di dominio da parte di macchine per nulla intelligenti su una delle manifestazioni distintive dell’elevato livello di astrazione di cui è capace la mente umana. Mi riferisco alla scrittura, nella fattispecie alla scrittura in lingua italiana. È vero che si tratta della ventunesima lingua per numero di madrelingua nel mondo, con una percentuale di parlanti che non raggiunge l’1% della popolazione umana[1] e presumibilmente destinata a uscire dal novero delle lingue vive nel giro di poche decine di generazioni, ma noi che la parliamo conserviamo ancora qualche velleità di preservarne la correttezza formale.

Penso sia capitato anche a chi legge queste righe di avvertire un senso di fastidio nella lettura di articoli e libri per il modo con cui sono sillabate certe parole nel momento in cui occorre spezzarle per andare a capo. Almeno nel mio caso, la benevola ma decisa insistenza con cui il maestro delle Elementari mi impresse, in un tempo molto lontano, le regole della sillabazione delle parole italiane ha lasciato una traccia duratura nei circuiti cerebrali. Capita allora che, nella lettura di un saggio stimolante o di un romanzo coinvolgente, mentre la corrente principale di pensiero segue il ragionamento dell’Autore o lo svolgimento della trama, io avverta un improvviso disagio sotto traccia, simile a quello provocato dal lontano stridore di un'unghia sulla lavagna (lavagna di ardesia, beninteso!). Lotto per proseguire la lettura, ma alla fine il disagio ha la meglio. Mi rassegno a rileggere la frase da capo e individuo la causa di quel malessere appena più che subliminale nella divisione di una parola nell’andare a capo. Si può trattare di re-alizzare o di intu-ito, di ri-esaminare o di dis-tratto, ormai ogni libro che leggo offre una casistica ampia e disperante. Ad aumentare lo sconforto, insieme all’insopprimibile fastidio, è il fatto che nel corso degli anni gli errori di sillabazione si sono propagati a macchia d’olio e hanno investito anche i prodotti delle Case Editrici che ritenevo più serie e che speravo immuni dal contagio.

Ho interrogato persone che lavorano nell’editoria sul motivo della trasparente incuria delle opere a stampa nei confronti delle regole della sillabazione. La risposta che ho ricevuto è stata semplice, disarmante e terrificante: dipende dal programma di impaginazione usato. Sembra che ormai nell’editoria italiana si faccia uso quasi universale di un programma statunitense che ha implementata, nella versione italiana, una routine di sillabazione che non va troppo per il sottile. In particolare, non distingue tra dittonghi e iati e tratta tutte le coppie vocaliche come iati. Se a ciò si aggiunge la (evidentemente stringente) necessità di economizzare sul lavoro dei correttori di bozze, il quadro è completo.

Si potrebbe pensare che la perdita della correttezza della sillabazione sia un prezzo da pagare all’automazione, ma a dimostrare che non è così è sufficiente consultare alcuni siti di sillabazione reperibili on line, i quali sillabano correttamente le parole italiane[2]. Non so se si sia trattato di incuria e di mancato rispetto nei confronti di una lingua considerata «minore» da parte dei programmatori della casa madre statunitense oppure di svogliatezza (o magari anche di ignoranza) da parte dei curatori della versione italiana del programma. Fatto sta che l’adozione ormai generalizzata di un programma di impaginazione, apprezzato per l’efficienza e la compatibilità con gli standard più diffusi, sta mandando in malora il paziente lavoro condotto da generazioni di maestri elementari italiani. Se questo è un primo assaggio di dominio delle macchine, dobbiamo ammettere che incuria, ignoranza e stupidità tutte umane gli stanno spianando la strada.