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Il Seicento, un secolo zozzo

 

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Il Seicento, un secolo zozzo

 

Luciano Luciani

 

Davvero gran bei sudicioni i nostri antenati!

Nel 1715, anno della scomparsa di Luigi XIV, il re Sole, un decreto stabiliva che gli escrementi umani che imbrattavano i corridoi della reggia di Versailles sarebbero stati rimossi almeno una volta alla settimana. Sporcizia e mancanza di pulizia sarebbero, dunque, una prerogativa dei francesi? No, perché più o meno mezzo secolo prima, l’ambasciatore francese a Londra così descrive il palazzo di Whitehall, dove si era recato per rendere omaggio a Carlo II Stuart (1630 - 1685), re d’Inghilterra, Scozia e Irlanda, restauratore della monarchia inglese dopo le ultime passioni repubblicane e i residui fuochi puritani: “neppure la più trascurata stalla di bovini da noi sarebbe piena di sterco e puzzolente come l’edificio dove ho incontrato Carlo II, signore d’Inghilterra”, E il diplomatico rincara la dose, definendo gli Stuart, e per la proprietà transitiva tutti gli inglesi, “barbari disgustosi, ignari di ogni regola in materia di pulizia”.

A Madrid, capitale dal 1561 e sede della corte spagnola del “siglo de oro” - il periodo della sua maggiore grandezza politica, militare e anche culturale - era consuetudine che prima di mezzanotte si svuotassero nelle strade pitali e orinali. Era addirittura una prescrizione dei medici, convinti che l’aria della città fosse così sottile e frizzante da risultare incorruttibile a qualsiasi miasma. Spetta probabilmente alla Spagna, la più grande potenza del tempo, il dubbio privilegio di aver favorito la diffusione della sporcizia e della carenza di igiene. Non solo, infatti, l’imperatore Filippo II (1527 - 1598) nel 1576 aveva bandito l’uso delle terme assai diffuse tra i Mori che avevano abitato per lunghi secoli l’intera penisola iberica, ma l’Inquisizione spagnola considerava la pratica della pulizia del corpo come un’aggravante non da poco nei processi contro quanti erano accusati di tiepidezza verso il cattolicesimo, in particolare arabi ed ebrei. Nel segreto del confessionale i sacerdoti incalzavano, soprattutto le donne, con domande insistenti circa il numero delle abluzioni praticate e non assolvevano se, a loro parere, i fedeli si lavavano troppo spesso. Emblematico il caso di Isabella, figlia primogenita di Filippo II, assurta nel 1601 al rango di eroina ispano-cattolica per il suo voto di non cambiare la sottoveste finché durasse l’assedio di Ostenda, piccola città marinara e mercantile allora parte delle Fiandre spagnole, che, orgogliosa della propria libertà si era ribellata allo strapotere degli imperiali. Isabella magari contava su una vicenda bellica di breve durata: invece le truppe di spagnole, sotto la guida del pur esperto comandante genovese Ambrogio Spinola (1569 - 1630), impiegarono ben tre anni, tre mesi e tredici giorni per aver ragione della fiera resistenza degli olandesi... E possiamo facilmente immaginare le condizioni finali di quel particolare indumento intimo dell’Infanta Isabella, principessa d’Asburgo e sovrana dei Paesi Bassi!

Sono gli anni in cui gli europei considerano l’acqua una fonte di malattie, riservandole una funzione solo estetica. Per esempio nel caso degli stagni artificiali, delle fontane e dei giuochi d’acqua della reggia di Versailles che usufruivano d’una quantità d’acqua di 6300 metri cubi all’ora, innaffiata, spruzzata, irrorata, schizzata da quasi 2000 getti: e pensare che il re Sole non si è mai concesso più di tre bagni completi all’anno. Se nell’ambiente delle corti europee si era così parsimoniosi nell’uso dell’acqua per il bagno, possiamo facilmente immaginare in quali condizioni igieniche vivessero le classi subalterne.

Secolo del fasto, dell’opulenza esteriore e dell’apparenza, il Seicento, sotto lo splendore dei broccati, il fasto dei velluti e la luminosità delle sete, conosce corpi che per anni non si sono mai lavati. In compenso, chi poteva si profumava: per non sentire il puzzo degli altri e impedire chi agli altri di percepire il proprio. Anche i medici con i loro pareri dissennati consolidano e favoriscono la fobia per l’acqua. Così si esprime nel 1665, il medico e giornalista francese Théophraste Renaudot: “Il bagno, tranne quando è strettamente necessario per motivi medici, non solo è inutile, ma pregiudizievole per gli uomini. Prendere un bagno riempie la testa di vapori. È il nemico di nervi e legamenti perchè li allenta e infatti un uomo non soffre di gotta se non dopo aver fatto il bagno”. L’opinione diffusa tra i dotti dell’arte sanitaria era che le secrezioni corporee fornivano uno strato protettivo che andava mantenuto e , se del caso, aumentato perché proteggeva i pori, attraverso i quali i malanni e le infezioni penetravano nell’organismo. Per questo l’acqua era aborrita e Luigi XIII di Francia fece il suo primo bagno completo solo all’età di sette anni. Però, chi se lo poteva permettere si cambiava spesso d’abito. Luigi XIV e suo fratello Filippo si lavavano di rado, ma in compenso si cambiavano la camicia anche tre volte al giorno: rigorosamente di lino, a cui si attribuivano straordinarie proprietà assorbenti e detergenti.