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Il bardo rosso di una generazione “contro”

 

Ivan della Mea 

A dieci anni dalla scomparsa di Ivan Della Mea

 

 

   

Il bardo rosso di una generazione “contro”

 

Luciano Luciani

 

 

 

Sempre belle – e attuali - le canzoni di Ivan Della Mea. Anche a riascoltarle a mezzo secolo di distanza dalle vicende che le ispirarono: la guerra nel Vietnam, le lotte operaie, le ingiustizie vecchie e nuove che hanno segnato la vita delle donne e degli uomini del secolo scorso. Allora non le trasmetteva certo la radio e meno che mai avresti potuto incrociarle sugli schermi televisivi irrimediabilmente democristiani. I suoi testi intensi, cantati con una voce roca e personalissima su melodie tanto semplici quanto incisive rappresentarono la colonna sonora di una corposa minoranza di giovani animata da un’idea forte: quella di una profonda trasformazione della società che avrebbe posto fine se non a tutti almeno a molti dolori sociali, realizzata una maggiore giustizia e un po’ più di uguaglianza. Si cantavano, le canzoni di Ivan, in piazza, nel corso delle manifestazioni a favore di Cuba e del Vietnam e contro l’imperialismo americano; in occasione di dimostrazioni sindacali con cui una parte importante del Paese reagiva ai soprusi, alle vessazioni, agli arbitri, né piccoli né  pochi, dell’allora classe dominante; nelle facoltà universitarie occupate per rivendicare il diritto allo studio... E il nostro bardo era il Della Mea. Che, nonostante la straordinaria padronanza sempre dimostrata dei linguaggi e dei gerghi meneghini - sue le più belle ballate contemporanee in dialetto milanese – non era per niente lumbard, ma era nato a Lucca col nome di Luigi: nel 1940, a Torre Alta, da una famiglia di mezzadri, ultimo di quattro figli. Il padre, Federico, manifestò sempre poca voglia di lavorare e una scarsa propensione alla vita familiare. Una passione, invece, per l’alcol, le corse dei cavalli e il gioco d’azzardo. Fece dei grossi debiti, s’intruppò col fascismo e, dopo la guerra, si perse, fino a ridursi a una figura erratica che sapeva di barbone. Morì nel 1962, intossicato “di fascio e di vino”: allo stesso anno data il primo lp di Ivan, Ballate della piccola e della grande violenza, una storia autobiografica in versi e musica, durissima, senza spazio per la retorica:

 

 

Ieri mio padre è morto
solo e senza niente
io l’ho rivisto
nella stanza ardente.
I baffi erano tecchi
parevano bestemmie,
contro quel lezzo forte
che sapeva di morte

E ancora:
 

  In una stanza senza stagioni
dove regnava la miseria
la vita era cosa assai seria
con un padre re dei beoni,
il quale sbronzo quasi ogni sera
vagava nudo in quella stanza
canticchiava “Faccetta nera”

 

 

 

 

Faticoso e complicato per Luigi l’approccio alla vita adulta. Adolescemte canta bene, legge tantissimo, altrettanto gioca a pallone. Trasferitosi da Lucca a Bergamo, frequenta istituti e collegi che sanno di disagio familiare. Irregolari e tormentati i suoi studi. Frequenta la scuola di avviamento industriale e poi il Convitto-Scuola Rinascita di Milano, laboratorio di esperienze pedagogiche molto avanzate: qui diventa comunista e per significarlo a tutto il mondo assume il soprannome di Ivan. Comunque, lo cacciano anche di lì. Lavori tanti e precari. Fattorino, correttore di bozze e redattore al “Calendario del popolo, rivista di cultura popolare legata al Pci. Nel 1960 passa alla casa editrice Vallardi e vede il suo stipendio raddoppiato da da 25000 a 50000 mila lire al mese. Assunto alla Camera del Lavoro di Milano è sindacalista presso i poligrafici e cartai, poi giornalista al quotidiano “Stasera” che chiude poche settimane dopo la morte di Enrico Mattei. Tante altre occupazioni, tutte segnate dalla discontinuità, condotte secondo uno stile di vita bohèmienne.

 

Nel frattempo inizia la sua attività con Nuovo Canzoniere Italiano, un gruppo musicale a cui si deve la riscoperta e la valorizzazione di molti canti della tradizione operaia, contadina e di protesta. Col NCI Ivan realizza 12 lp, tre 33 giri, tre 45 giri e soprattutto anni e anni di di concerti nelle piazze, nelle Case del Popolo, nelle sezioni dei partiti di sinistra, nei circoli Arci, nel corso delle Feste dell’“Unità” e dell’“Avanti”. Un tentativo generoso di creare un circuito culturale alternativo a quello ufficiale e dominente della radio e della televisione. Un’utopia non riuscita. Ma l’attività di Della Mea non si limita al recupero della cultura popolare attraverso le canzoni e all’impegno di inventare una canzone politica adeguata a quanto andava accadendo in Italia, in Europa e nel mondo: il boom economico, le trasformazione della società italiana in società industriale, il consumismo, la cultura di massa, il Vietnam e il ‘68, gli arbìtri diffusi, gli antichi e quelli recenti... E mentre la spinta al cambiamento progressivamente andava esaurendosi, Ivan rivela anche altre doti, qualità, risorse. Giornalista dell’“Unità”, del “Manifesto”, di “Liberazione”, direttore del mensile di politica e cultura “Il Grandevetro”, Della Mea dimostra di essere anche un ottimo scrittore noir con Il sasso dentro, 1990, tagliente poliziesco metropolitano e Sveglia sul buio, 1991, il racconto di come un gruppo di anziani riesca ad agire, con qualche successo, contro il potere militare e quello dei media. L’anno successivo con Se nasco un’altra volta ci rinuncio, raccolta di aforismi, epigrammi e massime vince il premio Forte dei Marmi per la satira politica.

Vanno poi almeno ricordati La cantagranda, 1998, testi poetici che l’Autore definisce “cantate”, e il suo ultimo libro, Se la vita ti dà uno schiaffo, una biografia uscita pochi giorni prima della sua scomparsa nel giugno 2009; Ivan aveva cominciato a scriverla quando, qualche mese prima, il cuore gli si era fermato per 17 secondi.

Ancora un’informazione per dare conto della sua versatilità: l’esperienza di sceneggiatore cinematografico. Nel 1969, infatti, insieme a Franco Solinas scrive il soggetto di Tepepa, uno spaghetti-western niente male, naturalmente dalla parte degli sfigati. Interprete principale Thomas Milian con addirittura la partecipazione del grandissimo Orson Welles

Presidente fino alla fine dell’Istituto Ernesto De Martino “per la conoscenza e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario”, si definiva “comunista resistente, interista paziente”.

“Chi ha compagni non morirà...”, suonano così le parole dell’Internazionale di Franco Fortini che, per oltre un quindicennio. Ivan ha cantato tante e tante volte: bene, compagno Ivan Luigi, dovunque tu sia, sappi che è proprio così!