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1839: scienza e tecnologia si affacciano in Italia

  

L'inaugurazione della prima linea ferroviaria italiana

 


1839: scienza e tecnologia si affacciano in Italia

 

Luciano Luciani

 

 

Se giustamente gli storici hanno definito il 1848 l’“anno dei portenti” o anche l’inizio della “primavera dei popoli”, il 1839 è stato senz’altro - almeno per il  Bel Paese - l’anno della scienza e della tecnologia. Il primo giorno d’ottobre di 180 anni or sono, infatti, si apriva a Pisa il Congresso degli scienziati italiani, promosso dal principe di Canino Carlo Luciano Bonaparte (1803-1857), biologo e illustre ornitologo di orientamento politico democratico, con il beneplacito del mite tollerante Leopoldo II, granduca di Toscana. L’assise prese le mosse nell’Aula Magna dell’Ateneo pisano e vi parteciparono 421 scienziati provenienti da ogni parte d’Italia che organizzarono i propri lavori nelle sezioni di medicina, zoologia, botanica e fisiologia vegetale, agronomia, geologia, mineralogia e geografia, chimica, fisica e scienze matematiche. Per l’occasione, nel cortile della Sapienza, fu inaugurato il monumento a Galileo Galilei di cui il professor Giovanni Rosini (1776-1855), docente d’eloquenza, lesse l’elogio. I lavori del congresso proseguirono fino al 15 ottobre e i partecipanti decisero di riconvocarsi per l’anno successivo a Torino.

Proprio nella città sabauda e in singolare concomitanza con il congresso pisano, i tecnici universitari Enrico Federico Jest, insieme con il figlio Carlo Alessandro e con Antonio Rasetti, avevano intanto messo a punto un dagherrotipo, ovvero un procedimento per lo sviluppo delle immagini, con il quale successivamente saranno compiuti i primi esperimenti italiani di fotografia. Ne aveva colto tutta l’importanza uno studioso dai vasti interessi e patriota, l’emiliano Macedonio Melloni, che nella Relazione intorno al dagherrotipo, 1839, così celebra la nascita della interazione tra luce e materia fissata su lastre: “Chi avrebbe creduto pochi mesi fa che la luce, essere penetrabile, intangibile, imponderabile, privo insomma di tutte le proprietà della materia, avrebbe assunto l’incarico del pittore disegnando propriamente di per se stessa, e colla più squisita maestria quelle eteree immagini ch’ella dianzi dipingeva sfuggevoli nella camera oscura e che l’arte si sforzava invano di arrestare? Eppure questo miracolo si è compiutamente operato fra le mani del nostro Dagherre”.

A Milano nel gennaio era uscito il primo numero della rivista “Politecnico”, “Repertorio mensile di studi applicati alla prosperità e coltura sociale” con lo scopo di “appianare ai nostri concittadini con una raccolta periodica la più pronta cognizione di quella parte di vero che dalle ardue regioni della Scienza può facilmente condursi a fecondare il campo della Pratica, e crescere sussidio e conforto alla prosperità comune ed alla convivenza civile”.

Pisa, Torino, Milano... Non poteva mancare al richiamo della modernità la Napoli borbonica impegnata, almeno in questi anni, a coltivare l’immagine di uno Stato, il Regno delle Due Sicilie, retrivo sul piano politico ma aperto alle novità del progresso tecnologico. Due le grandi passioni della città partenopea nel 1839: una canzonetta-tormentone, Te voglio bene assaje, e il treno. La prima, parole di Raffaele Sacco, negoziante di ottica e poeta popolare, musica attribuita a Gaetano Donizetti, la cantavano tutti, dai salotti alle piazze. Testo e melodia, riprodotti in migliaia di copie, furono vendute per le strade sotto forma di fogli volanti. Se ne fecero persino degli adattamenti religiosi e il cardinale di Napoli la trasformò in un inno sacro.

La strada ferrata, appena sette chilometri e 250 metri, da Napoli a Portici - un “capriccio del sovrano” Ferdinando II di Borbone -, fu la prima ferrovia italiana. Non tutti però a corte erano d’accordo con questa iniziativa regia e così si esprimeva Francesco Domenico D’Aragon, consigliere privato del re: “Si inizia l’era del mal di petto! Quel fumo nero e denso ammalerà i nostri polmoni indifesi. Il fegato, la bile, tutto l’apparato digerente saranno danneggiati dal continuo traballio dei vagoni. La vista ne soffrirà per il rapido susseguirsi delle immagini sulla retina a causa della velocità del treno. Le donne gravide rischieranno la maternità... “