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Le bufale marine del traduttore errante

 

Il pesce monaco in un’immagine tratta da Libri de Piscibus Marinis di Guillaume Rondelet (1554)

Le bufale marine del traduttore errante

 

Giambattista Bello

 

Accennavo, in un precedente articolo bufalino (Bufale d’Autore: La bufala di fondo del giornalista ignorante in Naturalmente), all’improprietà dei termini squalo azzurro e, peggio ancora, squalo blu, che da un po’ di anni ci vengono ammanniti attraverso lo schermo casalingo, anche da trasmissioni che dovrebbero essere del più alto livello divulgativo sul fronte naturalistico. Il fatto è che nella nostra lingua non esiste lo squalo azzurro! Ci potrebbe essere uno squalo colorato di quella tinta sulle pareti della cameretta di un bimbo o ci potrebbe stare come personaggio di un cartone animato, tra un pesce palla rosso e un’aragosta gialla, ma non nei dizionari d’italiano. E, infatti, lo squalo definito con questi nomi, letteralmente e pessimamente volti in italiano dall’inglese blue shark in tanti documentari di produzione straniera, ha un proprio nome nella nostra lingua: verdesca. Posso aggiungere, ad abundantia, anche un nome dialettale diffuso nel nostro meridione, verdone, corrispondente in sostanza a quello ufficiale nazionale. Il binome scientifico, in latino, è Prionace glauca. A prescindere da quella sorta di daltonismo linguistico che ha fatto rilevare colori leggermente diversi (verde scuro, glauco, azzurro) nelle diverse nomenclature, è evidentissimo che la traduzione impropria, dall’inglese all’italiano, è frutto dell’ignoranza zoologica dei traduttori e degli eventuali revisori scientifici.

            Altrettanto, anzi ancor di più, può dirsi del calamaro gigante, giacché qui l’errore è duplice. Chiariamo subito che con questo termine viene indicata la specie panoceanica di climi temperati Architeuthis dux. Questa fu descritta nel 1887 da Japetus Steenstrup, grande studioso danese e uomo di spiccata curiosità scientifica, il quale dimostrò pure che animali marini di dimensioni mostruose anticamente denominati monk fisch (pesce monaco) erano da ascriversi ad Architeuthis dux.

  

Ma torniamo ai giorni nostri. Questa specie non è così rara come sembrerebbe dal gran rullar dei tamburi giornalistici internazionali ad ogni nuovo ritrovamento. Finora sono stati segnalati diverse decine di esemplari spiaggiati o moribondi alla superficie del mare o anche catturati dalle reti dei pescatori, ma ogni volta s’è ripetuta l’enfatizzazione massmediologica, che ha anche offerto il fianco per una bufala colossale (Bufale d’Autore: Totano gigantesco spiaggiato in California in Naturalmente). Eppure, ci sono numerosi altri cefalopodi di cui si conosce un solo esemplare, dunque ben più rari, che vengono normalmente ignorati. Il motivo dell’appetibilità giornalistica dei ritrovamenti di Architeuthis dux è insito nelle dimensioni del mollusco: il più grande invertebrato vivente, lungo quasi quanto una balenottera (l’animale vivente più grande in assoluto)! Se poi aggiungiamo qualcosa delle sue mitiche lotte con il capodoglio, suo principale predatore, il gioco è fatto. Pensate che sulla pelle dell’area intorno alla bocca del leviatano si possono osservare, in molti casi, le cicatrici impresse dalle ventose del cefalopode, cicatrici larghe quanto un piatto da cucina (beh, diciamo un piattino)!

E veniamo al primo errore. Dal punto di vista sistematico, Architeutis dux, è l’unica specie appartenente alla famiglia Architeuthidae, che rientra nei Decapodiformi, ovvero quei cefalopodi con dieci tentacoli, che annoverano seppie, seppioline, calamari, totani e altri gruppi minore assenti dai nostri mari. Ordunque, mentre i popoli di lingue neolatine (tra cui gli italiani) possiedono termini diversi, quelli appena menzionati, per indicare gruppi sistematici diversi, l’inglese massifica il tutto denominando tutti i Decapodiformi squid (a parte le seppie, cuttlefish). Pertanto, Architeutis dux è designato in inglese come giant squid, nome che è stato pedissequamente tradotto in italiano come calamaro gigante, pur non essendo affatto un calamaro bensì un totano; quindi, la traduzione corretta sarebbe totano gigante. (Per inciso, i calamari, facenti del gruppo dei Myopsidi, sono presenti nel Mediterraneo con quattro specie, Loligo vulgaris, Loligo forbesii, Alloteuthis media e Alloteuthis subulata, a cui si è aggiunta di recente Sepioteuthis lessoniana, specie esotica penetrata attraverso il Canale di Suez). Un buon traduttore dall’inglese dovrebbe di volta in volta, secondo il caso, volgere in italiano il termine squid con calamaro o totano o altro ancora. Ma ciò non succede, purtroppo, giacché tanti traduttori di cose scientifiche hanno indubbiamente insufficienti conoscenze scientifiche, come è evidente già solo dal presente articolo.

Il secondo errore consiste nel fatto che c’è già (forse dovrei scrivere c’era) un nome italiano per quest’animale: piovra. Secondo il fondamentale Dizionario Treccani, infatti, piovra è “Nome con cui vengono indicati alcuni molluschi cefalopodi (per es., Architeuthis dux) viventi nelle grandi profondità marine, comunemente ritenuti di forme gigantesche…”.    

 

In definitiva, il traduttore errante ha manifestato tutta la sua doppia ignoranza: zoologica, che l’ha indotto a confondere totani con calamari, e lessicale, che non gli ha fatto usare l’esatto termine italiano con cui indicare Architeuthis dux. In tal modo, oltre a favorire l’imprecisione scientifica, sminuisce la ricchezza lessicale della nostra lingua, a favore di neologismi assimilabili a barbarismi.

È pur vero che le lingue si evolvono, ma l’evoluzione per impoverimento provocata dall’ignoranza di certi traduttori professionisti non è affatto accettabile.