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Hertha Meyer e il Trypanosoma cruzi, una stagione di microcinematografia scientifica

 

Schizotrypanum cruzi

Hertha Meyer e il Trypanosoma cruzi

 

Una stagione di microcinematografia scientifica a Torino

 

nel ricordo personale di uno dei protagonisti

 

 

 Antonio Barasa ©

 

 

 

   

 

    Hertha Meyer, pochi anni dopo l’arrivo in Brasile, dove già viveva la sua famiglia,  fuggita dalla Germania per sottrarsi alla caccia agli ebrei da parte  dei nazisti, si dedicò allo studio del ciclo vitale del Trypanosoma cruzi, utilizzando la tecnica delle culture in vitro (ideata dal biologo americano da Ross Granville  Harrison nel 1907) appresa a Berlino nell’Istituto Kaiser Wilhelm, sotto la guida di Albert Fisher e praticato con notevole successo per alcuni anni (1933-37) nell’Istituto di Anatomia umana di Torino, diretto da Giuseppe Levi, il quale aveva per primo introdotto questa tecnica in Italia nel 1914.

 

   A partire dal 1942 la Meyer, che lavorava allora nell’Istituto di Biofisica di Rio de Janeiro, coltivò con la tecnica della cultura in goccia pendente il Trypanosoma cruzi, insieme  a vari tessuti di embrioni di pollo, dimostrando che il parassita può penetrare in tutte le cellule, comprese quelle nervose e completarvi il ciclo in un periodo variabile da 3 a 5 giorni, in rapporto alle dimensioni della cellula parassitata. E’ singolare il fatto che, in cultura, questo tripanosoma possa penetrare nelle cellule di embrioni di pollo completandovi il ciclo, pur essendo tutti gli uccelli refrattari alla malattia.

 

 

   Il Trypanosoma cruzi è l’agente della tripanosomiasi americana, o malattia di Chagas, una zoonosi che colpisce l’uomo e molte altre specie di mammiferi domestici e selvatici. La malattia è diffusa nell’emisfero Sud ed in particolare nelle popolazioni dell’America Centrale e del Sud; i Paesi più colpiti sono: Cile,  Paraguay, Argentina Bolivia e Brasile. Nelle aree urbane di questi Paesi il rischio maggiore è legato alle trasfusioni di sangue inquinato, in quanto fino al 20% i donatori sono sieropositivi. Il Trypanosoma cruzi è trasmesso da grandi cimici ematofaghe della famiglia Reduvidae, tra le quali il genere Rhodnius prolixus nel Brasile del Nord ed il Panstrongylus megistus nel Brasile centro-meridionale, regioni nelle quali sono soprattutto colpiti i bambini delle popolazioni rurali e povere negli stati di Minas Gerais (confinante con Rio de Janeiro) e di Rio Grande do Sul, nei quali la malattia colpisce quasi il 10% della popolazione. La trasmissione del Trypanosoma cruzi dall’insetto vettore ai mammiferi avviene mediante contaminazione fecale. Mediante puntura degli animali parassitati le cimici ematofaghe prelevano dal sangue circolante un certo numero di tripanosomi adulti; questi assumono l’aspetto di critidia nel loro intestino medio e caudale ed evolvono nella forma di  tripanosomi adulti. Durante la suzione del sangue la cimice si rigonfia enormemente e defeca. Le gocciole fecali contengono un grande numero di parassiti adulti i quali penetrano nei mammiferi attraverso la congiuntiva bulbare, la mucosa della bocca o del naso oppure attraverso discontinuità della pelle che l’individuo attaccato dalla cimice si procura con il grattamento, per reagire al bruciore provocato dalla puntura. La pelle integra, invece, non consente la penetrazione del tripanosoma. Nei mammiferi ospiti i tripanosomi, raggiunto il sottocute o la sottomucosa, possono rimanere nel circolo sanguifero per un certo tempo senza moltiplicarsi; penetrano quindi nelle cellule istiocitarie e in altre (ad es. cellule miocardiche, fibre muscolari), ove si moltiplicano dopo aver assunto l’aspetto di leishmanie. Quando la membrana plasmatica della cellula ospite si rompe, i parassiti vengono liberati e raggiungono il circolo sanguigno, nel quale non si moltiplicano di più. Se gli animali colpiti si trovano nella fase ematica quando vengono punti da una cimice ematofaga, i tripanosomi possono essere assunti e continuare in tal modo l’infestazione.

 

    La malattia di Chagas, descritta inizialmente, agli inizi del XX secolo, da Carlos Chagas senior che ne individuò il parassita responsabile, e il suo vettore, si manifesta in due forme, acuta e cronica: la prima soprattutto nei bambini, l’altra negli adulti. Nei bambini i parassiti entrano nelle fibre muscolari, nelle cellule miocardiche, nel tessuto linfoide, nel midollo osseo, nelle ghiandole endocrine e anche nel tessuto nervoso. La morte degli individui colpiti si ha dopo poche settimane o alcuni mesi. Nella forma cronica degli adulti i danni provocati sono dovuti soprattutto alle tossine prodotte dalle leishmanie; sono particolarmente colpiti l’intestino ed il cuore. Dopo molto tempo dall’infestazione, a volte anche dopo alcuni anni, si hanno bronchiectasia, megaesofago, megacolon, epato-splenomegalia, dilatazione cardiaca, fibrillazione, tachicardia, insufficienza cardiaca. Gli individui colpiti producono anticorpi, ma l’immunità acquisita non garantisce la guarigione. L’impiego di vaccini non ha per ora dato risultati soddisfacenti. I farmaci impiegati contro questa malattia (derivati arsenicali e nitrofuranici) sono efficaci nella sua fase iniziale, ematica, ma in seguito non sono più attivi; rimane quindi soltanto la prevenzione ed il controllo dei vettori.

 

    Nel 1935 il Trypanosoma cruzi era stato studiato da tre studiosi americani, Charles Atwood Kofoid, Fae Donat Wood e Ethel Elizabeth McNeal in culture in goccia pendente di embrioni di topo e di ratto;  queste ricerche consentirono di seguire il ciclo del tripanosoma  nella cellula ospite e di stabilirne la durata.

 

    La Meyer –  memore di aver già partecipato, con De Lorenzi e Levi nel 1934 a Torino alla realizzazione delle prime microcinematografie di culture in vitro di cuore, epitelio irideo, milza, gangli spinali e rombencefalo di embrioni di pollo di 8-10 giorni e di gangli spinali di un embrione umano di 4 settimane, a piccolo e medio ingrandimento e in campo chiaro – pensò di documentare con questa tecnica in microscopia in contrasto di fase quanto aveva già visto nelle culture infestate, fissate e colorate o con singole osservazioni di cellule parassitate viventi in cultura. La microcinematografia avrebbe consentito di seguire e documentare passo passo e con maggiore precisione, sia le modificazioni alle quali va incontro il parassita dopo essere penetrato nella cellula, sia le reazioni di questa nei confronti dell’ospite. Sapendo che a Torino Giuseppe Levi e Giovanni Godina da alcuni anni si occupavano di filmare al microscopio le cellule coltivate in vitro, nel 1962 la Meyer giunse a Torino da Rio de Janeiro (e poté rivedere il vecchio Maestro ormai novantenne,  al quale era rimasta molto affezionata), portando con sé in aereo alcune culture in goccia pendente di miocardio e di tessuto muscolare scheletrico di embrioni di pollo, infestate dal tripanosoma.

 

     Nel minuscolo laboratorio per le culture in vitro dell’Istituto di Anatomia degli animali domestici di Torino – di recente ricostruito dopo essere stato distrutto da un bombardamento dell’aviazione inglese  il 13 luglio del 1943 – nel quale lavoravo da oltre 10 anni, prima come studente interno (e in seguito come assistente del Prof. Godina) – le culture portate dal Brasile si adattarono facilmente al nuovo ambiente. Con la tecnica della goccia pendente furono allestite dalle abili e sapienti mani di Hertha Meyer, culture di fegato, milza, muscolo scheletrico e miocardio di embrioni di pollo di varie età, alle quali venivano aggiunte le cellule parassitate provenienti dal Brasile. Le culture venivano trapiantate ogni 5 o più giorni in un mezzo nutritizio fresco (plasma e succo non diluito di embrioni di pollo di 8 giorni); a giorni alterni le culture erano lavate per alcuni minuti in liquido di Tyrode, per rimuovere  almeno in parte i prodotti del loro catabolismo.  Ad alcune culture, in certi casi, veniva aggiunto un po’ di tessuto embrionale fresco, per offrire ai parassiti sempre nuove cellule integre e consentire in tal modo il ripetersi del loro ciclo.

 

A distanza di oltre mezzo secolo descrivo qui in qualche dettaglio la tecnica e i risultati degli esperimenti condotti insieme con Hertha Meyer, per lasciare un ricordo preciso di quel periodo della mia giovinezza (avevo circa trent’anni) in cui ebbi l’occasione di collaborare con lei, brava scienziata, e donna forte, che aveva saputo sopravvivere, con due successive emigrazioni, agli anni dolorosi delle persecuzioni razziali e della guerra, ed era riuscita a continuare fino agli ultimi anni della sua vita un’intensa attività di ricerca.

 

    Il nostro laboratorio disponeva allora di due apparecchi per le riprese filmate al microscopio; si trattava del grande impianto per la microcinematografia della ditta Zeiss, progettato nel 1952 dal Dr. Kurt Michel; questo apparecchio allora era di certo il mezzo più moderno ed efficace per le documentazioni microcinematografiche su pellicola in bianco e nero, invertibile, di 16 mm (bobine di 30 metri Perutz Perkine U 15), ed era fornito di due tipi di illuminazione rapidamente intercambiabili con la rotazione di uno specchio riflettente: uno con una normale lampadina ad incandescenza, l’altro con una lampada a vapori di mercurio in grado di fornire 25.000 Stils (unità fotometrica di misura della brillanza di una superficie luminosa, equivalente ad una candela per cm quadrato). Il microscopio, con ottica in contrasto di fase secondo Zernike, era contenuto in una camera termostatica di plexiglas, nella quale era possibile ottenere la temperatura desiderata per la sopravvivenza delle cellule in cultura, di norma 37°-38° C., e dalla quale fuoriuscivano i comandi della vite micrometrica per ila messa a fuoco degli oggetti filmati.

 

    Per le riprese filmate, di solito con obbiettivo a immersione 100x, e oculare 1,06x – 3,2x, le culture venivano montate su di un vetrino portaoggetto particolarmente sottile sul quale, con l’ausilio  di una sottile laminetta di acciaio inossidabile forata al centro e fissata con balsamo al vetrino, veniva creata una cameretta alta 0,4 mm, riempita con olio di paraffina; su questa cameretta veniva montato il vetrino portante alla sua faccia inferiore la cultura; questo vetrino veniva sigillato al portaoggetto con paraffina fusa, in modo da isolare la cultura dall’ambiente esterno. Per migliorare le condizioni di illuminazione veniva posto olio per immersione anche tra la lente frontale del condensatore ed il vetrino portaoggetto. In queste particolari condizioni di osservazione al microscopio la cultura, oltre al mezzo nutritizio nel quale era cresciuta, poteva disporre anche del poco ossigeno contenuto nell’olio di paraffina sul quale era stata posata e poteva mantenersi completamente integra per 4-5 ore, dopodiché iniziavano i fenomeni di sofferenza, chiaramente visibili, in modo particolare nei mitocondri (spezzettamento, rigonfiamento, diminuzione dei loro movimenti attivi, attenuazione del contrasto).

 

    Dato che il ciclo vitale intracellulare del tripanosoma  nelle culture in vitro  dura alcuni giorni, non è stato tecnicamente possibile seguirne tutte le fasi in una medesima cellula parassitata. Il ciclo completo è quindi stato documentato, nel filmato, con il montaggio di quadri combinati, ripresi da cellule diverse, contenenti parassiti in differenti stadi del loro ciclo evolutivo.

 

    Le immagini ottenute seguendo in vitro le cellule  parassitate forniscono una sequenza di eventi che molto verosimilmente corrisponde a quanto i parassiti compiono in vivo nelle cellule degli animali infestati, senza modificare la propria virulenza ; questa  supposizione è avvalorata dal fatto che i parassiti vissuti in cultura anche per lunghi periodi  mantengono la propria virulenza: infatti Meyer e Xavier de Oliveira (1948) avevano dimostrato che i parassiti rimasti in vitro  anche per 4 anni, - in culture che venivano ad intervalli regolari continuamente ritagliate e trapiantate in nuovo mezzo nutritizio -, erano stati  in grado di far insorgere la malattia se inoculati nel ratto.

 

    Per le riprese filmate eseguite a Torino e di cui mi sono occupato, venivano utilizzate culture di muscolo scheletrico, e più spesso di miocardio. Le cellule miocardiche, in particolare, si espandono in superficie nelle culture, diventando molto sottili e si prestano quindi magnificamente per essere filmate in contrasto di fase anche a forti ingrandimenti. La frequenza di ripresa era di norma di 30 o di 60 fotogrammi al minuto per le fasi iniziali del ciclo, durante le quali i parassiti intracellulari si muovono lentamente; la velocità di ripresa era invece di 16 fotogrammi al secondo per le fasi finali del ciclo, durante le quali il movimento dei tripanosomi nella cellula parassitata, ormai maturi, diventa rapidissimo: in quest’ultimo caso si ottiene durante la proiezione del filmato ad una velocità di 16 fotogrammi al secondo, una velocità di movimento uguale a quella reale presente nella cultura. Questa grande velocità di ripresa richiedeva una durata brevissima dell’esposizione, la quale poteva essere ottenuta con la fortissima illuminazione fornita dalla lampada a vapori di mercurio, i cui raggi ultravioletti venivano filtrati con un filtro apposito, in modo da proteggere, almeno in parte, le cellule filmate; l’occhio dell’osservatore, che durante la ripresa deve controllare la messa a fuoco dell’oggetto filmato, era ulteriormente protetto da un filtro grigio applicato all’oculare del microscopio.

 

    Con la microcinematografia è stato confermato e documentato che un solo tripanosoma adulto penetra nella cellula e che,  dopo aver assunto la forma di leishmania (sferoidale, priva di flagello e di membrana ondulante, con un diametro di 1,5 – 4 micrometri), si moltiplica attivamente per divisione binaria; il numero delle leishmanie aumenta progressivamente fino ad occupare completamente tutto il citoplasma della cellula ospite. Durante la iniziale fase  moltiplicativa delle leishmanie la cellula parassitata è ancora in grado di dividersi per mitosi; essa può contenere un numero vario di leishmanie, dipendente dal momento del suo  periodo intercinetico durante il quale  ha ospitato un  tripanosoma. La ripartizione delle leishmanie nelle due cellule figlie dipende dalla posizione che esse occupano nel citoplasma quando si forma il solco equatoriale della citodieresi. Nelle quattro mitosi che sono state scelte ed inserite nel film la distribuzione delle leishmanie nelle due cellule figlie è  risultata   più o meno diseguale,  e precisamente: 3 e 1; 13  e 1; 12 e 6;  4 e  0. In quest’ultimo caso si sono quindi ottenute, da una cellula madre contenente 4 parassiti, una cellula figlia con 4 leishmanie ed un’altra “guarita”, non contenente più parassiti. 

 

In seguito Il ciclo dei parassitai si completa in un tempo più breve nella cellula figlia che ha ricevuto un maggior numero di leishmanie.  Non sono mai state osservate cellule in mitosi quando in esse i parassiti avevano  raggiunto lo stadio di critidie (nelle quali inizia la formazione della membrana ondulante dal polo anteriore, dal quale sporge il flagello) o di tripanosoma adulto; quando i parassitati si trovano nello  stadio finale del loro ciclo evolutivo  e sono lunghi 15-30 micron, la cellula  è ormai profondamente e irreversibilmente  danneggiata per la presenza in essa dei parassiti e non possiede più le strutture integre e l’energia necessaria allo svolgimento della mitosi.

 

    Nelle fasi iniziali del ciclo non si nota al microscopio ottico alcuna alterazione  morfologica della cellula parassitata. Ma dopo un certo tempo compaiono nel citoplasma numerose gocce lipidiche e vacuoli chiari; i nuclei diventano sferici, turgidi  con membrana nucleare chiaramente visibile in contrasto di fase; i nucleoli appaiono molto scuri e omogenei, i mitocondri non sono più facilmente visibili. Le cellule parassitate,  assumono l’aspetto  di sacchi citoplasmatici  pieni zeppi di parassiti i quali, ormai alla fine del loro ciclo, si muovono ad altissima velocità tra i residui delle strutture citoplasmatiche. Questo aspetto può durare a lungo, anche per alcune ore. A un certo punto, preceduta da un ulteriore aumento della velocità di movimento dei tripanosomi, avviene la rottura  della membrana cellulare, in maniera improvvisa e imprevedibile, a volte come una vera esplosione della cellula, in seguito alla quale viene liberato nel mezzo di cultura un numero grandissimo di tripanosomi maturi, a volte alcune centinaia; questi si allontanano dalla carcassa della cellula nella quale  avevano compiuto il proprio ciclo e penetrano ben presto  in altre cellule integre presenti nella cultura. In tale modo il ciclo si ripete ed il numero di cellule parassitate aumenta con una sempre più rapida progressione. In certi casi la rottura della membrana cellulare della cellula parassitata dà origine a numerosi sacchetti protoplasmatici chiusi, di piccole dimensioni, contenenti  pochi parassiti, sempre in vivacissimo  movimento; poco dopo anche questi piccoli sacchetti si rompono, liberando i parassiti nel mezzo di cultura.

 

    In certi casi si ha la  prematura rottura della membrana plasmatica della cellula parassitata  quando in essa alcuni parassiti non hanno ultimato il ciclo, ad esempio sono ancora allo stadio di critidia;  con queste rotture premature delle cellule, i parassiti  immaturi  liberati nel mezzo di cultura non sono in grado di completare il ciclo, si muovono molto lentamente,  non penetrano in altre cellule integre e dopo alcune ore degenerano e muoiono. È possibile che questa evenienza possa verificarsi anche in vivo negli animali parassitati dal Trypanosoma cruzi.

 

Gli studi condotti a Torino sul parassita furono documentati in un video realizzato nel 1963, con il titolo “Life cycle of Schizotrypanum cruzi in tissue cultures”. Questo video venne presentato l’anno successivo in un convegno scientifico e, per un certo numero di anni era accessibile in un sito web ora dismesso. Alcune delle sequenze sono visibili qui.   


Sono ora accessibili dal sito di NATURALMENTE Scienza a questi indirizzi yotube:

 

01_H_Meyer_A_Barasa-Ciclo del Tripanosoma1964 02_H_Meyer_A_Barasa-Ciclo del Tripanosoma1964  

  


Bibliografia


Meyer Hertha, Barasa Antonio (1965) Il Tripanosoma cruzi studiato con la microcinematografia a contrasto di fase, nelle cellule coltivate in vitro. Comunicazione presentata al XVIII convegno della società italiana delle Scienze veterinarie, Pescara, 1-4 ottobre 1964.

 

Nota

 

Immagine ottenuta con il sistema della cattura di schermo dal video originale di Meyer e Barasa di culture di Schizotrypanum cruzi. Il parassita è stato coltivato in culture primarie e sub-culture di miocardio ottenute dall’embrione di pollo. In questa immagine i parassiti sono nella fase di critidie (epimastigoti della moderna terminologia parassitologica) o di tripanosomi adulti (tripomastigoti) (© Antonio Barasa)