Una didattica per far sviluppare competenze scientifiche
Obiettivi di apprendimento per le scienze sperimentali e didattica basata sull’indagine (inquiry-based science education). Suggerimenti per il lavoro con le classi
Laureato in Scienze naturali. Insegna Scienze della natura e Scienza della materia presso l’I.I.S. “Savoia-Benincasa” di Ancona. Svolge un dottorato di ricerca in Scienze per l’ambiente e la salute pubblica presso l’Università di Camerino, con una tesi sull’apprendimento basato su problemi (ABP – PBL). Socio dell’Associazione Nazionale Insegnanti di Scienze Naturali, fa parte dei gruppi di lavoro su Riordino della scuola secondaria e Inquiry-based science education.
Introduzione
Impostare l’attività didattica per far acquisire competenze, oltre che contenuti, oltre ad essere consigliato dalla ricerca e da rapporti internazionali sull’educazione scientifica [1, 2], è anche richiesto dalle norme riguardanti il riordino del secondo ciclo di istruzione [3] e la certificazione da consegnare al termine dell’obbligo scolastico [4]. Il primo passo per lavorare in tal senso è rappresentato dalla programmazione annuale, che, come suggerito nell’articolo “Per una didattica che parta dalle competenze” [5], va pianificata partendo dagli obiettivi di apprendimento definiti in termini di abilità comuni alle scienze sperimentali e non dai contenuti. I passi successivi sono lavorare e verificare per competenze. Nel presente articolo vengono riportate indicazioni metodologiche per utilizzare nelle classi una didattica basata sull’indagine scientifica.
L’importanza del comprendere “come funziona” la scienza
Nello studio di tutte le scienze sperimentali si deve dare priorità alla comprensione di “come funziona” la scienza, piuttosto che all’acquisizione di una serie di conoscenze che, comunque, risulterebbero sempre insufficienti rispetto a tutte quelle ritenute importanti per ogni singola disciplina. Occorre considerare che il comprendere come le conoscenze scientifiche vengono acquisite, e anche messe in discussione e riformulate, è anche alla base dello sviluppo del pensiero critico [6] e di un atteggiamento razionale. Questa comprensione non si realizza facilmente con una didattica trasmissiva, anche quando questa riguarda le modalità con cui sono state ottenute le “scoperte” scientifiche più note. Risulta invece facilitata se l’allievo è chiamato a risolvere problemi secondo i metodi propri dell’indagine scientifica.
Tifi et al. [7] osservano che “può accadere che, nella grande abbondanza di dettagli della scienza moderna, ci si dimentichi del fattore unificante: il metodo scientifico” e che occorre “incoraggiare le abilità di investigazione scientifica, quali la produzione di ipotesi e il loro controllo… in quanto permettono di condurre indagini e raggiungere conclusioni”.
Al fine di sviluppare modalità proprie del pensiero scientifico gli allievi debbono essere chiamati ad utilizzare ripetutamente dette abilità in contesti e con contenuti differenti. Roletto e Regis [8], a questo proposito, precisano che però risulta controproducente far credere agli allievi che esiste un unico metodo scientifico, universalmente valido in tutte le discipline, per la produzione dei saperi scientifici e preferiscono parlare di “strategia della ricerca scientifica”. Raccomandano inoltre di adottare “un insegnamento di tipo problematico” per permettere agli studenti di praticare le attività di astrazione e modellizzazione.L’esperienza insegna che il classico capitolo iniziale sul metodo scientifico non è di molto aiuto nel far comprendere agli studenti “come funziona” la scienza. Ritengo che sia molto più efficace mettere in pratica, in ogni modulo didattico, il procedimento scientifico appropriato e, a conclusione, fare assieme agli studenti una riflessione sul come si è operato e sui principi generali che sono stati applicati. In pratica, a scuola dovremmo impostare il lavoro da svolgere con le classi con l’obiettivo di “fare scienza” piuttosto che di “fare lezione” [9].
Anche il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione [10] invita all’uso di una didattica laboratoriale e raccomanda di dare più importanza alle competenze da acquisire piuttosto che agli argomenti da trattare. Occorre però sottolineare che quando si parla di didattica laboratoriale non ci si riferisce solo ed esclusivamente a ciò che può avvenire in laboratorio. Innanzitutto va detto che le attività possono essere svolte sia nell’aula laboratorio sia direttamente in natura. Ma, soprattutto, bisogna chiarire che il laboratorio non deve essere il luogo dove gli studenti vengono chiamati solo ad osservare esperienze realizzate da altri o ad assistere a dimostrazioni di quanto già spiegato dall’insegnante [11]. L’attività laboratoriale non può esaurirsi con lo svolgimento di esperimenti ed osservazioni, ma riguarda l’intero percorso didattico, in particolare anche le importanti fasi della progettazione delle procedure e della valutazione dei risultati e degli eventuali errori. Inoltre, se, come succede nella realtà, la pratica scientifica comprende anche il condividere idee con altri, il sostenerle e l’effettuare e l’argomentare scelte basandosi sulle evidenze, allora anche queste attività debbono rientrare tra quelle proposte durante le lezioni di scienze [12].
Tutto questo rientra in ciò che la ricerca in didattica delle scienze propone in merito ad argomentazione scientifica, apprendimento basato su problemi (ABP) o problem-based learning (PBL) [13, 14] e inquiry-based science education (IBSE) [15, 16, 17]. Quest’ultima è una metodologia didattica che si pone l’obiettivo di riproporre in classe le modalità proprie dell’indagine scientifica e, a riprova di quanto sia ritenuta importante a livello internazionale, è oggetto di specifici piani di disseminazione finanziati nell’ambito del 7° Programma quadro dell’Unione Europea, tra i quali, ad esempio, il progetto Fibonacci [18], per il quale l’ANISN (l’associazione degli insegnanti di scienze naturali) è il referente italiano.
Queste metodologie, oltre che per la comprensione di “come funziona” la scienza, consentono di lavorare per perseguire anche altri importanti obiettivi, che ritengo dovrebbero ispirare i docenti di scienze, soprattutto nell’ambito dell’educazione obbligatoria, e cioè: le scienze contestualizzate e la motivazione degli studenti, l’alfabetizzazione scientifica diffusa, l’integrazione delle scienze sperimentali per la comprensione della complessità [14].
Indicazioni metodologiche per una didattica basata sull’inquiry
Al fine di facilitare la progettazione delle attività da svolgere con le classi nell’ottica sopra descritta, riporto qui di seguito una descrizione dei vari passi che possono essere attuati nello svolgere un qualsiasi modulo didattico. Va specificato che la sequenza descritta non riguarda un modulo specifico, ma è generale, e che non è sempre detto che tutti i passi elencati possano o debbano essere svolti, in quanto molto dipende dagli obiettivi che ci si pone e dal problema da cui si parte. Ad esempio, a volte ci si potrà limitare alla raccolta di informazioni e alla discussione, oppure a focalizzare l’attenzione sulla progettazione, la realizzazione e la valutazione di un’attività sperimentale da svolgere in laboratorio. Altre volte ancora si potranno analizzare dati già disponibili e reperiti da fonti affidabili. Insomma è l’insegnante che deve decidere a che livello di inquiry vuol far lavorare gli studenti. Il consiglio è quello di cominciare, all’inizio del primo anno, chiamando gli studenti ad investigare su problemi circoscritti e semplici, che implichino solo alcune delle fasi descritte, e offrendo una guida ed un supporto forti, anche con opportune esemplificazioni. L’obiettivo, però, deve essere quello di far arrivare gli allievi, già durante il secondo anno di studi, ad investigare anche problemi più complessi con un considerevole livello di autonomia e, quindi, di coinvolgerli in un percorso che preveda tutte o buona parte delle attività di seguito descritte.
1. Sarà presentato un problema o uno scenario reale o autentico [19]. Successivamente, dopo una prima riflessione a livello personale, seguita dalla discussione a livello di gruppo o di classe, scaturiranno una o più domande significative.
2. Gli studenti saranno chiamati a ricercare le informazioni individuate come importanti, ad analizzarle e sintetizzarle.
3. Si formuleranno ipotesi per rispondere alle domande sorte e/o per risolvere il problema posto o si proporranno modelli di interpretazione della realtà.
4. Verranno progettati semplici protocolli sperimentali o progetti di ricerca con lo scopo di validare quanto ipotizzato, avendo cura di selezionare chiaramente le variabili da considerare.
5. Si effettuerà la raccolta di dati, qualitativi e/o quantitativi (questi ultimi, registrati con il livello di accuratezza opportuno, sono indispensabili per la fisica, ma raccomandati anche per le altre discipline sperimentali). La raccolta dati, ove possibile, sarà effettuata realizzando, in laboratorio o in natura, le attività progettate. Tuttavia, i dati potranno essere anche reperiti utilizzando fonti affidabili (serie storiche, articoli che riportano risultati di esperimenti svolti da altri, immagini reali etc.).
6. Si procederà alla rappresentazione e all’analisi dei dati ottenuti, organizzandoli in tabelle e grafici (se possibile, anche in collaborazione con il docente di informatica), al fine di mettere alla prova le ipotesi o i modelli formulati inizialmente.
7. Gli allievi dovranno riflettere sulla congruenza tra i dati e l’adeguatezza degli stessi all’obiettivo posto inizialmente (le procedure che contengono errori sono più educative rispetto ai protocolli sperimentali testati ed affidabili, qualora il docente riscontri che le procedure proposte dagli allievi abbiano elementi di inesattezza, dovrebbero astenersi dal farlo notare prima dello svolgersi dell’attività in laboratorio e portare successivamente gli studenti a riflettere sui risultati). Nel caso vengano riscontrati errori procedurali, si procederà ad una riformulazione del protocollo di ricerca e ad una ripetizione della procedura.
8. Gli allievi rifletteranno e discuteranno su quanto avranno sperimentato o osservato o raccolto informazioni e individueranno le relazioni tra le variabili ed il rapporto tra le cause e le conseguenze dei fenomeni studiati. Saranno eventualmente anche chiamati a scegliere tra diverse spiegazioni o possibilità e ad argomentare le proprie scelte, sulla base delle evidenze riscontrate.
9. Le riflessioni e la discussione porteranno alla formalizzazione delle implicazioni/considerazioni finali, riguardanti sia la metodologia usata, sia la tematica affrontata.
10. Gli allievi, soprattutto quando avranno raggiunto una maggiore esperienza, potranno essere chiamati a confrontare il proprio lavoro con altri studi attinenti.
Al fine di una migliore elaborazione dei concetti affrontati da parte degli allievi:
- potranno essere utilizzati mappe concettuali, schemi o diagrammi per rappresentare le connessioni fra i concetti implicati;
- gli obiettivi, i materiali ed i metodi utilizzati, i risultati ottenuti e le considerazioni finali andranno presentate in forma scritta, schematica ed organizzata (le relazioni sull’attività svolta non dovranno essere rappresentate da semplici racconti sequenziali della stessa);
- al termine di ogni modulo gli alunni, con l’aiuto del docente, rifletteranno su quanto appreso e riepilogheranno le conoscenze specifiche e le abilità procedurali acquisite, nonché gli eventuali concetti fondamentali appresi, identificando anche a quale ambito disciplinare fanno riferimento oppure se costituiscono concetti transdisciplinari.
Capisco che alcune delle attività descritte possono risultare un po’ astratte. Purtroppo nel presente articolo non c’è spazio per esemplificazioni che diano una spiegazione esaustiva, ma sicuramente, nell’ambito delle attività di diffusione della IBSE, si potranno creare occasioni di scambio e dibattito tra docenti, durante le quali ogni fase potrà arricchirsi di esempi concreti da utilizzare con gli studenti.
Il problema da cui partire
Vale la pena sottolineare che lo scenario di partenza potrà essere reale oppure essere costruito in modo da essere realistico e da stimolare gli studenti ad acquisire nuovi saperi. Partire da scenari riferibili alla vita reale non potrà far altro che agevolare l’integrazione dei saperi riferibili alle singole discipline scientifiche, nonché facilitare gli allievi nello sviluppare una comprensione del mondo reale nell’ottica della complessità dei sistemi [14].
Non si può pensare che le tematiche complesse possano essere affrontate solo da coloro che hanno già le conoscenze relative al cosiddetto “nucleo duro” delle scienze classiche, anche perché questo escluderebbe gran parte della popolazione studentesca dal poter trattare queste tematiche, con un approccio scientifico. Al contrario, certi temi (quali, ad esempio, l’acqua, il clima, i rifiuti), andrebbero affrontati con un approccio interdisciplinare e secondo la prospettiva della complessità [20, p.53]. Ciò consentirebbe di lavorare sull’acquisizione da parte degli allievi di una visione sistemica della realtà e, allo stesso tempo, di far acquisire loro anche le conoscenze proprie di ogni singola disciplina. L’esperienza insegna che, invece, quando si affrontano separatamente, nelle diverse materie, gli stessi concetti, gli studenti hanno difficoltà nel fare collegamenti. Inoltre la frammentazione dei concetti scientifici tra le varie discipline ed un approccio che parte dai singoli componenti piuttosto che dall’insieme (ad esempio dal micro al macro in biologia) non tengono conto del fatto che agli studenti manca la visione complessiva che invece ha l’insegnante. Di conseguenza, essi, rimanendo all’oscuro del motivo per cui devono studiare, ad esempio, perché la molecola dell’acqua o la cellula sono fatte in un certo modo, vedono diminuire la loro motivazione allo studio delle scienze [2, p.15].
Tornando al come impostare lo scenario di partenza, suggerisco di scegliere tematiche che, per i giovani, possano essere rilevanti (perché vicino alla loro realtà) ed importanti (per il loro futuro e per quello dell’ambiente). Sicuramente quelle relative all’educazione alla salute e all’educazione alla sostenibilità ambientale, con problemi sia di interesse locale sia di rilevanza planetaria, potranno essere di grande aiuto nella progettazione didattica. Questi aspetti, peraltro strettamente interconnessi tra loro, possono costituire il nucleo dell’attività didattica, soprattutto nell’ambito dell’educazione secondaria obbligatoria. Infatti, essi, oltre che ad aumentare l’interesse da parte degli allievi, contribuiscono alla loro formazione come cittadini responsabili. Allo stesso tempo, utilizzando una didattica laboratoriale e basata su problemi, che a sua volta tende ad aumentare la motivazione e la partecipazione attiva degli studenti [6, 21], si promuoverà un apprendimento più significativo degli argomenti scientifici che verranno trattati.
Attività individuali e in gruppo
Le attività svolte dagli alunni potranno essere realizzate in parte individualmente, in parte a livello di classe e in parte in piccoli gruppi, essendo quest’ultima la modalità da preferire per le attività di discussione e per quelle pratiche da svolgere in laboratorio o in natura. Considerando i diversi tempi di reazione degli alunni e la diversa attitudine dei singoli rispetto alla discussione di gruppo, ritengo opportuno lasciare comunque a disposizione, prima delle discussioni, un tempo individuale che consenta al singolo studente di riflettere autonomamente e di formalizzare per iscritto domande, ipotesi, osservazioni ed eventuali considerazioni finali.
Durante tutto il processo lo studente sarà chiamato ad essere parte attiva e il docente svolgerà il ruolo di facilitatore, limitandosi ad intervenire per stimolare ed indirizzare la discussione e le riflessioni ed, eventualmente, per rispondere a domande specifiche, ma solo quando queste sono poste dagli studenti.
La valutazione
Gli elementi che porteranno alla valutazione degli allievi e le modalità di verifica dovranno essere congruenti con gli obiettivi di apprendimento che sono stati individuati. Ad esempio, se tra gli obiettivi è indicato quello di far arrivare gli studenti ad utilizzare un linguaggio scientificamente corretto, allora occorrerà effettuare verifiche nelle quali essi siano chiamati ad esercitarsi nell’uso del linguaggio, orale o scritto, preferibilmente per argomentare scelte, piuttosto che per raccontare ciò che hanno appreso. Non potranno, ovviamente, essere utilizzate esclusivamente prove a risposte chiuse.
In generale dovranno essere evitate quei tipi di verifiche indirizzate a valutare esclusivamente la memorizzazione di informazioni, mentre andranno invece privilegiate quelle che richiedono agli studenti di ragionare e di dare risposte su casi concreti.
Il momento della verifica, inoltre, non deve essere solo quello in cui l’alunno è chiamato a rispondere, oralmente o per iscritto, a domande poste dal docente. Ad esempio la valutazione di ciò che uno studente sa e di come si esprime può essere fatta anche mentre sta discutendo con gli altri compagni o quando pone domande, non è detto che debba essere fatta sempre con la classica “interrogazione alla cattedra”. Occorre, quindi, trovare strumenti idonei ad una osservazione costante e sistematica degli alunni, in modo da avere elementi di valutazione differenziati. Tra questi non bisogna dimenticare anche quelli forniti dalla valutazione tra pari e dall’autovalutazione. Infatti, il chiedere agli studenti di valutare verifiche e prodotti propri o dei loro compagni è importante per un’ulteriore riflessione sui concetti che sono stati trattati ed anche per lo sviluppo delle capacità di analisi e di critica. Inoltre fornisce ulteriori elementi di valutazione anche al docente.
Non dobbiamo dimenticare che la verifica è uno strumento importantissimo per indirizzare il modo di apprendere dei nostri alunni. Se noi ci accontentiamo di ascoltare nozioni ripetute a memoria, non potremo certo sperare che gli studenti coltivino abilità legate al pensiero critico e razionale. Non dobbiamo aver paura di valutare di meno con gli strumenti classici, se valutiamo meglio e in maniera più differenziata.
Il tempo
Il poco tempo scuola assegnato alle scienze sperimentali dal riordino della scuola secondaria [22] non facilita certamente l’applicazione di una didattica basata sull’inquiry, in quanto, ovviamente, questa richiede tempi più lunghi per affrontare uno stesso argomento, rispetto a quella trasmissiva tradizionale. La diminuzione delle ore per classe ed il conseguente aumento del numero di alunni assegnato ad ogni insegnante tenderanno anche a far aumentare la propensione ad usare quelle modalità di verifica che consentono valutazioni in tempi rapidi, cioè i questionari a risposte chiuse. Ma tutto ciò non deve scoraggiarci, possiamo agire sull’unico altro fronte che ci rimane e cioè quello dei contenuti. Se teniamo presente che lo stesso Ministero, nel documento riguardante il Piano nazionale Lauree Scientifiche (PLS) [11], indica che una didattica laboratoriale richiede “almeno 16- 20 ore” per ogni modulo di apprendimento, allora dobbiamo considerare che con le 66 ore annue a disposizione, possiamo svolgere non più di 3 o 4 moduli. In sede di programmazione risulterà quindi inutile elencare troppi contenuti, quando, realisticamente, questi non potranno essere sicuramente svolti con la metodologia indicata nelle nuove norme.La quantità di contenuti da trattare non potrà essere più la nostra preoccupazione principale. Teniamo comunque presente che il lavorare sulle competenze, in particolare su quelle che fanno riferimento all’apprendimento permanente e al pensiero critico, consentirà agli studenti di raggiungere, nel tempo, un livello di autonomia sufficiente che permetta loro di acquisire autonomamente i saperi di cui avranno bisogno.
Articolazione del monte ore annuale
Considerato l’esiguo numero di ore a disposizione per le singole discipline scientifiche nella maggior parte degli indirizzi (66/anno), andrebbe valutata l’opportunità di compattare le ore di una disciplina in determinati momenti dell’anno scolastico (trimestre, quadrimestre o periodi intensivi). Infatti, una didattica basata sull’inquiry non può prevedere attività troppo frammentate e disperse nel tempo. Si tenga presente che all’estero esistono istituzioni educative, che utilizzano il PBL, nelle quali, in una giornata, gli studenti svolgono un’unica materia. Senza arrivare a questi estremi si possono però pensare forme di compattamento che siano funzionali alla didattica laboratoriale. Se da una parte esiste lo svantaggio dato dal fatto che le discipline ad orario compattato non sono presenti durante tutto l’arco dell’anno scolastico, ritengo che questo sia ampliamente compensato dalla continuità su cui si potrà contare nel periodo in cui verranno svolte. Continuità tutt’altro che garantita nel caso di un orario a due sole ore settimanali, insufficienti soprattutto se si programma di svolgere attività pratiche in laboratorio o in natura. Si pensi al modulo tipo di 16-20 ore di cui si parla nel PLS, con due ore alla settimana arriverebbe a durare ben due mesi, durante i quali gli studenti tenderebbero facilmente a perdere il filo del discorso. Si consideri inoltre, che con la compattazione, per gli studenti tende a diminuire il carico di studio giornaliero e settimanale, il che rappresenta un vantaggio per loro e per i docenti.
Una calendarizzazione delle attività didattiche che preveda qualcosa di diverso dall’orario settimanale sempre uguale da settembre a giugno è reso possibile dalle norme in vigore, ma è poco utilizzato. Se si ritiene che modulare l’orario delle discipline in maniera differente nei diversi periodi dell’anno scolastico possa essere un vantaggio per la didattica, non bisogna farsi scoraggiare da ostacoli che spesso sono solo di tipo organizzativo.
In sostanza, una didattica basata sull’indagine scientifica, può essere possibile, anche nonostante il riordino/riforma della scuola secondaria.
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