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La pianta dell’olivo

Mi piace la pianta dell’olivo

di Luciano Luciani


Mi piace la pianta dell’olivo perché longeva assai e capace di una vecchiaia “robustosa e forte”. E poi feconda e in grado di mantenersi fruttifera per almeno due o tre secoli. Un sogno, per tutti coloro che aspirino a un’intensa vita sessuale anche nella senilità!

Una curiosità: il più antico olivo del mondo si troverebbe in Grecia, ad Atene. Lo chiamano l'olivo di Platone e dovrebbe avere, secondo la voce popolare, due millenni e mezzo. Fruttificava, donando olive e olio ai greci, al tempo delle guerre persiane e dell'età di Pericle, quando il mondo era giovane e gli uomini credevano ancora nei miti e negli eroi...

Altrettanto carico di storia l'uliveto più antico del mondo: è quello di Gerusalemme, il celeberrimo orto dei Getsemani, il “frantoio per l’olio” nella valle del Cedron, ai piedi del monte degli Olivi, silenzioso scenario delle sofferenze di Gesù, cui rimane indissolubilmente consacrato.

La sua fama di eternità, espressa anche in alcune sentenze popolari, è dovuta alla virtù di sviluppare dal piede vigorosi rampolli che prendono il posto del vecchio tronco che invece deperisce. Questa caratteristica ne spiega anche l’aspetto contorto e tormentato che, quasi metafora della condizione umana, ha ispirato scrittori, poeti, pittori di ogni epoca. Non rimase estraneo al suo fascino un uomo di intensa spiritualità come il cardinale Giacomo Lercaro che nei suoi Foglietti di meditazione così lo descrive: “l’ulivo… l’albero scarno, dal tronco e dai rami contorti, quasi tormentato, senza fiori anche in primavera, dal colore smorto delle sue foglie…ma la bacca è preziosa; l’olio è cibo nutriente, medicina…; l’olio lenisce la ferita, toglie la ruggine… è mitezza, l’olio” (da Card. Giacomo Lercaro, Vi ho chiamato figli, Foglietti di meditazione (1957-1978) ed. San Paolo, 2001).

Vecchio, fecondo a lungo e pacifico, l’olivo. Fin dai tempi del racconto biblico del diluvio, un ramoscello d’olivo sta a indicare l’annuncio di pace, la fine di una contesa: “Attese altri sette giorni e di nuovo fece uscire la colomba dall’arca e la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco un ramoscello d’olivo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra” (Genesi, VIII, 10-11) e che si ristabiliva l’alleanza tra Dio e l’uomo. Da allora l’olivo è sempre stato percepito come un simbolo di pace: secondo il racconto virgiliano, Enea, appena sbarcato in Italia e ricercando la pace e l’alleanza col re Latino, gli inviò gli oratori coronati di olivo: Centum oratores augusta ad moenia regis / ire iubet, ramis velatos Palladis omnes; / donaque ferre viro, pacemque exposcere Teucris…(cento oratori fa andare alle sacre mura del re, / e son velati dei rami di Pallade tutti / per l’uomo doni a portare, pei Teucri pace a implorare…) (Eneide, libro settimo, vv. 153-155). Nel medioevo la fronda d’ulivo era segno di buona notizia: pace, vittoria, fine di un pericolo… Lo testimonia Dante: “E come a messagger che porta ulivo / tragge la gente per udir novella / e di calcar nessun si mostra schivo / così al viso mio s’affisar quelle” (Purgatorio, canto II, vv. 70-71).

Pianta amica e alleata dell’uomo, è considerato segno di stupidità assoluta trattarla in maniera scriteriata e senza lungimiranza: come faceva (non si trascuri la pregnante malizia di questo singolare femminile trasformato in nome proprio maschile!) un certo Potta, autolesionista che tagliava gli olivi per farci la brace.

Così in autunno inoltrato, ma solo se avremo avuto per essi quelle cure minime che si debbono ad un amico paziente e caro da sempre, "i fratelli olivi / che fan di santità pallidi i clivi / e sorridenti", per dirla col D'Annunzio alcionico, potranno donarci, e con dovizia, i frutti della loro millenaria generosità.