Non più bambini cattivi: l’onnipotenza scientifica
di Teresa Mariano Longo
Dicembre 2010
Nel 2005 in Francia l’INSERM (Institut national de la santé et de la recherche médicale) ha pubblicato un rapporto di esperti sulla prevenzione della violenza e sulle turbe di comportamento dei bambini e degli adolescenti. Secondo questo rapporto, i comportamenti violenti e delinquenziali si possono prevenire se precocemente si identificano i soggetti a rischio. Infatti, essendo questi ultimi caratterizzati biologicamente e geneticamente, presentano comportamenti destinati a evolvere verso la delinquenza che sono facilmente identificabili fin dalla prima infanzia e che si possono controllare con appositi trattamenti. Il rapporto raccomanda dunque di mettere in atto fin dalle scuole materne, programmi di depistage per l’individuazione precoce dei comportamenti a rischio e di segnalarli nel libretto di salute o in altri documenti scolastici del bambino.
Nel 2006 e 2007 si levano contro questo rapporto collettivi ed esperti; alla fine esso è ritirato. Anche il Comitato nazionale per l’etica conferma i rischi morali del rapporto.
Nel 2007, il governo però persiste sulle stesse idee e riparte alla carica con un rapporto sui problemi dell’apprendimento rivolti ai bambini piccolissimi: controllando nella scuola materna i comportamenti psicologici dei bambini dai tre ai sei anni è possibile prevenire l’echec scolastico, per questo diffonde una serie di questionari diretti ai bambini della materna per comprendere se sono rischio; anche queste azioni sono considerate stigmatizzanti e intrusive da associazioni di genitori, insegnanti e esperti di psicologia infantile e vengono parzialmente bloccate.
Lo stesso approccio è seguito nella Legge sulla prevenzione della violenza che identifica nei bambini piccolissimi in difficoltà psicologica e sociale il pubblico a rischio da controllare.
Queste iniziative di intervento educativo o medico-psichiatrico precoce sono molto diverse da quelle tese a migliorare la qualità dei servizi di assistenza all’infanzia, delle scuole materne, per permettere a chi viene da situazioni sociali disagiate di non entrare con un ritardo culturale o linguistico negli studi, sul lavoro e nella società.
Il rapporto 2005 dell’Inserm e le altre iniziative simili hanno provocato in Francia un dibattito che vede da una parte il governo e i suoi esperti e dall’altra personale medico, psicologi, pediatri, psicanalisti, educatori che si sono riuniti in un collettivo di tutte le associazioni di opposizione alle raccomandazioni del Rapporto e a tutte le politiche di stigmatizzazione precoce; si chiama no allo 0 in condotta per i bambini di 3 anni, ed è coordinato da A. Jacquard; il collettivo non solo ha seguito e controllato le disposizioni governative in materia, ma ha anche promosso riunioni dibattiti e pubblicato testi di riflessione filosofica e scientifica.
Una storia non solo francese
Il problema della delinquenza dei giovani, della violenza nelle scuole, nelle periferie difficili e in generale degli atti di inciviltà dei giovani sta molto a cuore all’attuale presidente della Repubblica e alla sua équipe. I giornali, la popolazione francese sentono molto il rischio di una situazione di crisi delle periferie e delle zone di povertà, così come temono le derive degli atti di violenza contro compagni e professori che spesso si verificano nelle scuole. E quei 60.000 giovani che ogni anno escono dalla scuola prima di prendere un diploma (di cui ¼ figli di immigrati) che fine faranno?
Sin dalla fine dell’ultima guerra, lo Stato francese sviluppa un sistema di protezione dell’infanzia basato sulle idee di assistenza alla salute, prevenzione, protezione e educazione.
Psicoanalisti, psicologi, pediatri e pedagogisti conosciuti internazionalmente intervengono nei servizi e nelle équipe che le coordinano; sempre più il bambino è visto non come un oggetto da raddrizzare, ma come una persona in divenire e quindi, in quanto tale, anche portatrice di diritti.
Negli anni 80-90 queste idee si mettono in pratica in una importante rete di servizi sociali per accompagnare, educare, spesso anche con l’obiettivo di restituire diritti e combattere l’esclusione. Lo Stato sociale cercava di fare da ammortizzatore degli squilibri che l’economia creava. All’epoca è stato difficile il lavoro di quegli psicologi, psichiatri ed educatori che volevano evitare che fossero le grandi istituzioni chiuse carcerarie, manicomiali ed educative, (così importanti in Francia) ad occuparsi di chi restava fuori dal sistema. Con fatica, con azioni educative, psicologiche e di appoggio alle famiglie, questi professionisti sono riusciti ad andare contro pregiudizi molto forti e a trattare e prevenire la devianza, nella famiglia, nel quartiere e nella scuola. Basti pensare alle Maisons vertes create su suggerimento di F. Dolto e a centri simili di accoglienza genitori-bambini, fino alle iniziative di quartiere in cui giovani e adulti scambiano saperi e coltivano insieme le Arti e la Musica.
Tuttavia, un servizio pubblico di qualità ha il difetto di essere economicamente molto caro e negli anni 2000 i tagli al budget pubblico toccano anche alla Francia. Per ridurre la spesa oltre a delle ragioni economiche si portano ragioni ideologiche: la devianza è un problema degli individui, non della società e va trattato come problema di ordine pubblico. Allora, se ci sono giovani violenti, bisogna prevenire i loro comportamenti antisociali. Come? Con la polizia in primo luogo, ma anche impedendo che il male insito nella loro natura si sviluppi.
I sostenitori di queste idee si rivolgono dunque alla scienza, alle scienze dure, quelle che fanno penetrare nella meccanica della natura: neurobiologia, psichiatria, genetica. Ad esse se ne aggiunge un’altra, quella che dà le certezze matematiche, la statistica. Con queste ultime si fanno deduzioni arbitrarie: siccome si è visto che c’è un nesso statistico tra comportamenti di un certo tipo durante l’infanzia e delinquenza, se individuiamo i soggetti a rischio e interveniamo precocemente, possiamo diminuire la violenza e eliminare economicamente gli elementi di disordine della nostra società. Ragionamenti di questo tipo sono semplici e molto rassicuranti per chi pensa che si potrebbe vivere tanto bene se non ci fossero dei matti e dei delinquenti, dunque chi li usa nel discorso politico ha un notevole successo.
Sappiamo bene, per esperienza anche italiana, come possa essere rapido in una popolazione il passaggio dalla paura per la sicurezza personale all’accettazione di soluzioni di ordine pubblico non rispettose dei cittadini e dei diritti. Sappiamo anche, per la triste esperienza storica europea, come ideologie falsamente basate sulla scienza possano giustificare la violazione dei diritti fondamentali della persona. Pensiamo per esempio all’apporto del positivismo al razzismo; ma sembra che i mali che questo ha generato su popoli e continenti, non siano serviti di lezione.
Ritorniamo alla storia francese. Quando nel 2005 l’INSERM decide di formare una commissione per uno studio approfondito delle conoscenze sulle turbe di condotta del bambino con lo scopo di migliorare il dépistage, la prevenzione e il trattamento, nessun esperto che lavora sul terreno, come i pediatri o la Protezione maternità e infanzia (PMI) è invitato[1]. L’équipe è invece formata da medici, psicologi, neurofarmacologi, educatori della salute; ci sono anche tre esperti canadesi. Tutti sono conosciuti per seguire un approccio medico-biologico e farmacologico e di questo si vedono forti segni nel rapporto.
Quando propongono i metodi per diagnosticare in un bambino o in un giovane una condizione di rischio, gli esperti dell’équipe consigliano ai Francesi di riferirsi al quadro diagnostico proposto negli USA dall’American Psychiatric Association: questa, nel Diagnostic and Statistical Manual of mental desordes propone una classificazione delle anormalità di comportamento raccogliendole in due categorie: condotte aggressive verso gli uomini e gli adulti e presenza di un impatto significativo sul funzionamento sociale, scolastico e professionale della persona. Questa categorizzazione è servita in Usa per studi statistici dei sintomi utilizzati a fini epidemiologici-epidemiologici da cui è emerso che nel mondo ci sarebbe un 2% di bambini tra i 5 e i 12 anni con turbe di condotta e dal 3 a 9% di adolescenti nella stessa situazione.
La Francia fino a quel momento non aveva misurato una situazione cosi preoccupante! Infatti, gli operatori ed esperti seguono i criteri della Classification française des troubles mentaux de l’enfant et de l’adolescent (approvata precedentemente dall’INSERM) che prende in considerazione l’insieme del funzionamento psicopatologico del bambino. Ciò vuol dire che i turbamenti che si esprimono nel comportamento sono considerati come sintomi di difficoltà più globale del bambino, come un segno di una sofferenza che bisogna identificare e iscrivere in una diagnosi che riguarda l’organizzazione generale della personalità del bambino senza dimenticare le determinazioni esterne: la famiglia, l’ambiente in senso largo, le condizioni socio educative in cui cresce (2000).
In poche parole la psichiatria francese rifiuta il tentativo di classificazione secondo il solo sintomo e il riferimento al solo calcolo statistico per definire ciò che è normale e ciò che non lo è (collectif pas de O en conduite, pag. 37).
Ma gli esperti del rapporto 2005, nel loro positivismo realista, lavorano su fatti e propongono categorie di comportamenti oggettive per un depistage che permetta un intervento rapido e efficace; i loro strumenti di lavoro non sono osservazioni cliniche, ma questionari, griglie di osservazione costruite con concetti e categorie che sono le stesse per tutti. Cosa si deve andare a conoscere per individuare i segni di un carattere a rischio? Il rapporto consiglia di prendere in considerazione tre items: 1) di aggressione fisica: ha litigato, ha picchiato, ha morso, ha dato calci; 2) di opposizione: rifiuta di obbedire, non ha rimorsi, non cambia di comportamento; 3) di iperattività: non può restare fermo, si muove di continuo, non aspetta il suo turno.
Ancora, gli esperti del rapporto 2005 raccomandano che fin dai tre anni gli educatori o altro personale medico o psicologico scrivano sul libretto di salute del bambino se prova rimorsi, se morde o se fa a botte con gli altri… a 4 anni, se persiste nella menzogna, se presenta un indice di moralità affettiva basso…quello stesso personale dovrà saper individuare i caratteri a rischio, cioè quelli caratterizzati da freddezza affettiva, tendenza alla manipolazione, cinismo, aggressività, assenza di senso di colpa tenendo conto che questi caratteri a rischio possono anche prendere altre forme come: l’attrazione per le novità, il gusto dell’esplorazione, l’assenza di ansia anticipatoria, l’indebolimento del senso di paura (pag. 343 del rapporto)
Alla diagnosi fatta sulla base dei risultati del materiale raccolto (da tecnici dell’inchiesta) seguirà l’intervento preventivo. Come abbiamo detto, questo è l’obiettivo centrale della Commissione. Essa vuole sviluppare la prevenzione della violenza fin dal periodo della gestazione, dunque visite alle famiglie a rischio per insegnar loro competenze sociali, cognitive e emotive (ibidem).
Per i bambini che sono stati definiti a rischio, la Commissione consiglia due approcci: quello farmacologico e le tecniche rieducative di tipo comportamentista. Le due si possono evidentemente associare.
Negli Usa dove queste terapie sono adottate, otto milioni di bambini assumono psicofarmaci, con effetti secondari e di assuefazione già messi in evidenza da studi medici.
In Francia il Rapporto, l’abbiamo detto, scandalizza e preoccupa per diversi motivi: si teme per esempio che quest’ultimo consiglio, in un paese che è tra i più alti consumatori europei di psicofarmaci per adulti, possa essere facilmente adottato da medici di base e famiglie, là dove tutte le associazioni di pediatria e pedopsichiatria hanno invitato alla prudenza. L’opposizione si forma sopratutto intorno alla consapevolezza di appartenere al paese dei diritti umani e del cittadino e che le idee d’oltreoceano mettano a rischio questi valori quando classificano, etichettano e criminalizzano.
Contro il rapporto si levano dunque scienziati, psichiatri educatori che producono delle riflessioni interessanti anche per l’Italia e per questa Rivista e su queste fermeremo la nostra attenzione.
L’opposizione difende in primo luogo l’idea che niente è definitivo in un essere umano; non solo a tre anni, ma anche oltre siamo persuasi che ad ogni età della vita sia possibile intervenire…difendiamo la tesi della plasticità cerebrale e psichica. Questo perché un essere umano non è un organismo programmato e programmabile; non è possibile ridurre un organismo ad un codice genetico e, dicono, da una parte non sappiamo molto del funzionamento degli organismi, dall’altro nessuno può negare che la storia, le relazioni, le emozioni siano importanti per la sua costituzione. Gli oppositori entrano poi nella definizione di ciò che è considerato normale o patologico e da chi questa distinzione è fatta (il ricordo di C. G. Canguilhem è molto presente).
I comportamenti, dicono, e ancor più quelli che indicano la disobbedienza, sono segnali, indizi di condizioni psichiche complesse; per esempio la disobbedienza può essere indizio di autonomia o di sviluppo, oppure l’obbedienza può indicare uno stato depressivo. Inoltre, viene sottolineato che il normale non può essere quello definito dagli amministratori e dai politici che, per mostrare la propria preoccupazione per l’ordine, cercano gli esperti dal discorso più semplicistico.
Prévenir n’est pas prédir, il Collettivo rifiuta l’idea che la prevenzione delle malattie mentali possa fondarsi sui criteri di predizione, e mette in guardia contro il rischio che essa non si trasformi in stigmatizzazione.
Sylvaine Giampino, psicanalista che si è molto investita in questa polemica, spiega bene questo aspetto: le categorie di osservazione dei comportamenti dei bambini, non solo presentano il limite di essere uno sguardo dall’esterno e quindi di non occuparsi dell’origine dei comportamenti, ma commettono l’errore di ignorare una nozione fondamentale della psicologia infantile: ciò che si pensa di un bambino influisce su ciò che lui diviene. Infatti il bambino, il giovane si rispecchia nelle immagini che di lui danno gli adulti; dunque non si può prevenire predicendo perché in quell’atto si interviene sulla persona trasformandola. Lo sguardo forgia l’immagine incosciente e cosciente di sé con grande forza compreso nel corpo…sappiamo bene come le proiezioni dei genitori, il bambino immaginato, siano il supporto “educativo” di tutta l’infanzia. Il procedimento del rapporto Inserm è dunque patogeno perché quello che si fa per prevenire ha influenza sui bambini e sugli adulti che gli sono intorno. Si può prevenire, dice Giampino, ma continuando a mantenere vivo il soggetto nel rapporto educativo e psicologico, non usando categorie medie di comportamento umano.
La pillola
Un’altra critica importante fatta dal collettivo No allo 0 in condotta…riguarda la proposta di interventi con psicofarmaci, particolarmente diffusi per i bambini agitati. I bambini che non riescono a concentrarsi a scuola, che si alzano dal banco di continuo, che disturbano i compagni, che vogliono sempre giocare, che in casa vogliono sempre fare qualcosa e impediscono ai genitori di vivere in pace, hanno finalmente una categoria di appartenenza, un nome: affetti dalla sindrome di TDAH (turbe dell’attenzione con iperattività). Negli Usa, gli esperti hanno trovato che tra l’8 e il 12% dei giovani in età scolastica sono affetti da questa sindrome mentre in Europa sarebbero solo il 3%, le cifre vanno prese con spirito critico (diagnosi, campionatura, interesse alla sindrome) e non certo per dire che gli Europei hanno un cervello diverso da quello d’oltreoceano.
Di studi per comprendere l’origine genetica o cerebrale di questa nuova malattia dei bambini ne sono stati fatti molti, ma nonostante l’interesse e gli investimenti economici, i risultati sono poveri. In particolare gli studiosi si sono concentrati sulla ricerca dei recettori della dopamina e sulla loro presenza nelle zone del cervello; ora sembra che tra zone implicate nella motricità e le zone di presenza di questi recettori non ci sia alcuna coincidenza[2]. Anche gli studi sull’anatomia cerebrale dei bambini a cui è stato diagnosticata la sindrome danno risultati divergenti.[3]
Di fronte a queste incertezze l’azione medica non si ferma e trova la medicina giusta, che ha oggi un gran successo nel mondo. La Ritalina, un anfetamina che paradossalmente calma e rinforza la capacità di concentrazione; quindi non solo la pillola dell’obbedienza, ma anche della buona riuscita alle prove scolastiche. Alcuni studi americani denunciano un vero traffico di Ritalina tra gli adolescenti prima degli esami.
La Ritalina agisce sui sintomi, ma non sulle cause. Giovani trattati per tre o quattro anni con questa medicina, quando smettono si trovano al punto di prima per quel che riguarda l’agitazione e per di più con problemi legati agli effetti secondari del trattamento (sonno, fame). Inoltre si sa che negli adulti l’assunzione ripetuta di anfetamine sregola il funzionamento dei neuroni che dopo un pò mancano di dopamina, cosa che produce un’alterazione di certe regioni del cervello…se la Ritalina agisce nella stessa maniera, si possono avanzare dubbi sulla sua funzione sul cervello del bambino in piena costruzione. Il rischio è di interferire con i processi naturali di sviluppo dei circuiti neuronali che sono necessari alla maturazione del cervello (Giampino Vidal pag. 156)
Eppure, nonostante queste incertezze e nonostante i limiti imposti dall’autorità nazionale per il controllo dei farmaci, nel 2004 , in Francia 7000 bambini hanno preso la Ritaline.
Quando il Presidente Sarkozy (novembre 2005) dice: non è quando un adolescente di 15 anni è diventato delinquente multirecidivo che bisogna preoccuparsi di lui. Bisogna agire il più presto possibile sui bambini e i genitori, cita pure il rapporto dell’INSERM 2005 e prepara gli interventi di medici e educatori.
La medicalizzazione dei comportamenti anomali dei bambini soddisfa il bisogno di sicurezza dell’elettorato di centro-destra, ma mette a rischio la salute di molti bambini.
Questo dibattito tra medici, psichiatri e educatori non può essere considerato come uno dei tanti momenti in cui la Scienza esprime diverse opinioni, non siamo di fronte ad un’idea valida scientificamente come un’altra, ma ad una riduzione della scienza a ideologia che in altri momenti non lontani ha portato a politiche di eugenismo.
In Francia il relativismo, anche se latente, non è ancora pensiero diffuso; a chi vuole ridurre il corpo umano ad una macchina da manipolare come conviene, abbiamo il dovere di opporre l’idea di un bambino fatto di natura, affetti e modi di vita e che è anche portatore di diritti universali.
Riferimenti bibliografici:
Le collectif pas de 0 de conduite pour les enfants de 3 ans Editions éres. Toulouse, 2008.
Giampino, S.Vidal C. Nos enfants sous haute surveillance. Albin Michel, 2009.
[1] da molti anni la PMI lavora con i bambini e i giovani in difficoltà attraverso équipe multidisciplinari di specialisti seguendo approcci psychodinamici (in particolare approccio sistemico e psicoanalitico).
[2] P. Shaw Polymorphisms of DopamineD4 receptor in Arch. General Psychiatric, vol 64, 2007 citato da Giampino-Vidal pag. 125.
[3] Ellison-Wright Structural brain change in ADHD identified by meta-analysis BMC Psychiatry, vol 8; 2008, citato da Giampino-Vidal pag. 125.