Elena Gagliasso, collaboratrice storica di NATURALMENTE, continua il suo incessante lavoro di ricerca di: "un atteggiamento di fondo che integri un orizzonte di pensiero basato su presupposti cognitivi riduzionisti, sulle gerarchie disciplinari, tra hard sciences e scienze dei processi viventi o storia della vita. É l’urgenza di adattare gli strumenti di più metodi e più teorie con bricolages nuovi, ibridando più stili di conoscenza." E' uscita una interessante e lunga intervista ad opera di Sara Campanella (PhD in filosofia scienza Sapienza e insegnante a Padova alla scuola superiori) pubblicata da "Live Bo dell'Università di Padova" una miniera di articoli di grande interesse e attualità.
Pubblichiamo, con il consenso dell'Autrice, l'incipit dell'intervista e il rimando all'originale. Buona lettura
Percepirsi connessi. Un dialogo con Elena Gagliasso
di Sara Campanella
Di prospezioni sul futuro se ne parla molto. E a buon diritto: siamo entrati in una nuova fase per Covid-19. Gli scenari filosofici messi in campo da tutto questo, invece, lavorano in sordina, con tempi diversi.
Implicazioni tra ecologia, microbiologia, medicina, impatto antropico, teoria evoluzionistica, esigenze di governances locali e planetarie, sono un banco di prova per la ricerca, per la politica e la psiche umana.
Abbiamo provato a ragionarci su con Elena Gagliasso epistemologa, docente di Filosofia e scienze del vivente della Sapienza Università di Roma.
Lavorando sulla metodologia e sulla storia dell’evoluzionismo, dell’ecologia, sul ruolo delle metafore scientifiche e dei loro contesti socioculturali, Gagliasso da tempo indaga il modo in cui tali ricerche reagiscono su certi criteri demarcativi della filosofia della scienza, come ad esempio la separazione tra le regole del metodo e i valori, tra l’universalità degli invarianti e le unicità individuali.
Alla luce di ciò che sta accadendo – o meglio ri-accadendo – tra umani e virus, è tempo di rimettere a tema, e con urgenza, il discorso scientifico standard e i suoi ampliamenti? Come muoversi (e con efficacia) su tanti piani di incertezze, di bassa prevedibilità, sul collegamento tra scienza e società e come affrontare a livello soggettivo l’‘impensato’ di tutto ciò?
Quanto sta accadendo ci obbliga a riprendere in mano distinzioni classiche che si rivelano ancor più obsolete di quanto gli epistemologi già indicassero anni fa. A farlo ormai con una certa urgenza. Il metodo scientifico che avevamo ereditato dalla scientificità classica era nato per estrapolazione dalle scienze esatte: le leggi del moto dei pianeti della fisica e dell’astronomia: il mondo delle leggi fisse, gli universi ‘della precisione’ per dirla con il grande storico della scienza Koyrè, l’isolamento delle variabili, le loro relazioni misurative, la replica dell’esperimento, la ricerca di nessi causa-effetto lineari. Ecco tutto ciò - e molto altro ancora - costituiva il cuore del metodo scientifico standard e garantiva che la spiegazione coincidesse con la previsione dei fenomeni, che la semplicità e l’eleganza degli algoritmi fosse la spiegazione migliore, garantendo quel Graal costantemente inseguito: la certezza.
Tutto questo impianto era già stato messo da tempo in discussione. Almeno dagli anni ’80 del XX secolo. Ma un conto è discutere in astratto dei problemi epistemologici, delle loro incompletezze, un conto trovarsi sbattuti in una prova di realtà che rappresenta essa stessa un gigantesco test in natura. Un test di cui noi stessi siamo parte in gioco e che concretizza la fragilità delle previsioni e la parzialità dei ragionamenti riduzionistici, che si presenta come un gigantesco ‘acceleratore di interdisciplinarietà’. (continua)