La distanza dalla didattica
Germano Bellisola
La chiusura delle scuole per l’emergenza sanitaria ha generato epifenomeni e discussioni tra gli addetti ai lavori e nella cosiddetta “utenza”. Come per la nazionale di calcio siamo tutti commissari tecnici, anche per la scuola siamo un popolo di esperti. E con maggior presunzione, giacché avendo frequentato un qualche tipo di scuola tutti pensano di sapere come si debba fare per insegnare, imparare, studiare, organizzare, nella pratica ordinaria ed ora anche in emergenza. Per una panoramica di opinioni basta leggere i commenti in coda a qualche blog sui quotidiani nazionali, c’è di tutto, perciò spero venga considerato anche un intervento da insegnante semplice, il mio unico titolo spendibile.
In piena confusione tra catene di comando regionali e nazionale, all’inizio di marzo il governo “prudenzialmente ha deciso la sospensione delle attività didattiche fuori dalla zona rossa, fino al 15 marzo”. In tale inedito contesto la ministra Azzolina suggerì che “I dirigenti scolastici, sentito il collegio dei docenti, attivano, ove possibile e per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole, modalità di didattica a distanza avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità”. Indicazione confermata con estemporanei comandi impartiti via Facebook e divenuta prescrittiva col Decreto sulla Scuola entrato in vigore il 9 aprile. Il Decreto Scuola 2020 recita “il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza, utilizzando strumenti informatici o tecnologici a disposizione ”. Nella “vulgata” le “prestazioni didattiche nelle modalità a distanza” sono diventate tout court “video-lezioni”, e come tali rilanciate in primis dai dirigenti, precipitosamente.
Le molte sfumature della distanza
All'appuntamento con questa “didattica a distanza” (DaD) sono arrivate preparate le scuole che già utilizzavano svariate tecnologie ad integrazione della ordinaria attività. Altre si son trovate in emergenza senza saper cosa fare, ma intanto la prima mossa dei dirigenti è stata comandare ai docenti di fare video-lezioni, la seconda rispondere al come? con la direttiva "arrangiatevi", la terza copiare quel che faceva la scuola del vicino, la quarta rendersi conto che in questo modo non si va lontano, la quinta mettere sotto segreterie, tecnici e figure digitali ad organizzare piattaforme informatiche istituzionali. In parecchi casi con poca cognizione di causa circa la sicurezza, il rispetto della privacy, i livelli di competenza tecnologica di docenti e allievi, l’adeguatezza degli strumenti, nonché quasi sempre senza riflettere che tecnologie sviluppate per affiancare ed integrare l’attività ordinaria ora sarebbero state implementate quali strumenti sostitutivi della presenza. Intrigati soprattutto dalle video-lezioni, anche tanti docenti si sono buttati ad organizzare “classi virtuali” con piattaforme extra-istituzionali, per continuare a mezzobusto dallo schermo quanto facevano dalla cattedra fin pochi giorni prima. Parola d’ordine “portare avanti i programmi”, restando irrisolta la questione “come fare le verifiche scritte e le interrogazioni”. Alle superiori una certa quota di allievi si è defilata, in qualche caso facendo pervenire rumors di non meglio specificate difficoltà tecnologiche. Anche alle medie inferiori e alla primaria ci sono stati allievi datisi alla latitanza, ed intere scuole entrate in apnea in attesa dei tablet del governo, o delle sim-card con i “giga”, non solo in situazioni decentrate o storicamente arretrate, ma perfino in città cablate con la fibra ottica o inondate da WiFi. Poiché tutte le scuole hanno il registro elettronico, in realtà la piattaforma digitale basilare era già disponibile, si trattava di utilizzarla al meglio come forse non era stato fatto finora, alla primaria come alle superiori. Dal lato client ci sono gli smartphone, con qualche problema di “giga” (che per postare selfie non mancano mai) e molti di operatività sensata, razionale, efficiente. Tutto sommato da marzo in avanti si sarebbe trattato della prosecuzione a distanza della didattica già in atto, pur con alcuni ritocchi. Qui s’è visto il vero digital divide, non una questione di tablet o connettività, quanto di elementare cultura informatica. Creare ed utilizzare delle credenziali (utente/password), leggere e inviare messaggi di posta elettronica, allegare documenti, archiviare in maniera razionale, al fine di scambiare tra allievi, docenti, famiglie e scuola le informazioni necessarie per una elementare ma dignitosa modalità a distanza.
Dopo un mese dal proclama della ministra, la situazione è diversificata a seconda del tipo di scuola, materie e insegnanti. Le lezioni on-line funzionano soprattutto nelle università (cfr per es. Massimo Ferri - Docente di Geometria Università di Bologna – nel suo blog del 16 marzo sul FQ dal titolo “Coronavirus, ormai con le lezioni online siamo avanti: nessuno si azzardi a parlarmi male della gioventù” ), dove gli studenti sono capaci organizzarsi la giornata, già instradati col metodo di studio e anche sufficientemente competenti nell’utilizzo delle Tecnologie Informatiche e della Comunicazione. Le cose vanno bene nelle scuole della secondaria dotate di una piattaforma digitale più o meno integrata nel registro elettronico, in questi casi la ordinaria attività in presenza già poteva essere affiancata da tanti altri strumenti, e-mail, bacheche, chat, sportelli virtuali, aule virtuali, utilizzati a macchia di leopardo dai docenti. Dicendo “vanno bene” mi riferisco ad aspetto tecnologico e supporto alle attività di routine, perché se si entra nel merito la didattica può rivelarsi pessima. Un genitore denuncia “… l'assoluta inadeguatezza delle lezioni, nei rarissimi casi in cui avvengono, visto che perlopiù si limitano a metter compiti e pagine da studiare, e dell'uso degli strumenti digitali, e parlo da genitore di studenti che frequentano il miglior liceo scientifico della provincia” (Blog di Alex Corlazzoli, 05 apr FQ). Si capisce che le scuole riproducono on-line quel che hanno sempre fatto in presenza, con aggiunte le complicazioni tecnologiche. Oltre a schede, mappe, appunti, esercizi, e altri materiali caricati per default sulle apposite sezioni del registro elettronico (non bastassero i libri di testo) si vanno affermando le video-lezioni sincrone e asincrone. L’insegnante parla a mezzobusto dal video e gli allievi seguono sui loro dispositivi (quasi sempre smartphone), con un palinsesto che ricalca l’orario delle lezioni a scuola. Trasmissioni di didattica trasmissiva, ecco la novità.
Alla scuola primaria genitori da sempre connessi
Le cose sono andate alla grande nella scuola primaria. Nessun problema di connessione o dotazione tecnologica, perché da tempi non sospetti regnano sovrani lo smartphone e i gruppi social di genitori. Partiti per organizzare pizze di classe e attività parascolastiche, i “gruppi-scuola-su-WhatsApp” hanno soppiantato gli organi collegiali e son diventati community gestite dalle maestre o da intraprendenti genitori, senza tanti problemi di privacy, ed ora classi virtuali aperte ai quattro venti. Un lettore coniugato con maestra si sfoga commentando su un blog (di Valentina Petri, FQ 17 marzo): “… le racconto quello che sta succedendo a casa mia da 10 giorni circa. Il primo giorno di sospensione la rappresentante di classe ha mandato a dire alle insegnanti di non poltrire e che bisognava subito dare i compiti perché "i bambini arrugginiscono", manco il tempo di capire che stava succedendo... Le insegnanti, tra cui mia moglie, hanno iniziato quasi subito a dare schede (scuola primaria) e compiti tramite WhatsApp. Subito è successo che ... mica possiamo fare tutte queste fotocopie (inutile fargli presente che i file mandati non erano da stampare ma solo da consultare e riportare sui quaderni ) … Dopodiché la scuola ha attivato la sezione materiali del registro elettronico e si è iniziato a mettere i materiali lì (sempre specificando no fotocopie). Dramma, come si fa (un semplice login e due click), io non ho il pc (ma lo smartphone da 1500€ sì) e altro.. Quando si stava facendo capire anche alle teste di legno cosa fare, la scuola ha attivato "Collabora" una sorta di classroom del registro Axios (per chi conosce). Terzo cambio di metodo e, dopo l'autoistruzione, abbiamo iniziato a mettere lezioni e compiti sulla terza piattaforma in 13 giorni. Genitori inviperiti (non ho il pc, non sono buono, a che ora li mettete, troppi compiti, come si rimandano (sic), da suicidio. Adesso sto attrezzando un angolo di casa con una webcam e una lavagna magnetica per le lezioni in diretta”.
Le chat tra mamme per aiutare nei compiti per casa sono una consuetudine antica, gli smartphone le hanno potenziate e facilitate. I figli bisogna seguirli, raccomandano in continuazione le maestre. Dopo mangiato i bambini cominciano a fare i compiti, in cucina, televisore acceso che blatera autonomamente, playstation attivata in simultanea, cellulari della famiglia tutta che chiedono attenzione con suoni di notifica. Le mamme si consultano per svolgere (loro) problemi di aritmetica, esercizi di grammatica, mettere crocette su tabelle nei libri di testo, completare schede fornite in fotocopia, aggiornare l’imprescindibile gossip, tutto ad alta voce ed in presenza. Man mano che arrivano le info dalla community, i pargoli procedono nei compiti, cercando di concludere prima di uscire per la piscina, il minibasket, o altro diversivo, casomai si riprenderà dopo cena o si farà una giustificazione. Durante la battaglia la gomma viene usata più della matita, e non si contano le volte che le penne cadono per terra. A forza di solleciti, minacce e aiutini, a pomeriggio inoltrato si arriva a sparecchiare la tavola da libri e quaderni, i compiti per casa in qualche modo sono fatti o a buon punto. Scuole aperte, chiuse o in vacanza, fa poca differenza.
Vien da pensare che l’attività in ambito domestico se ben organizzata, diretta e realizzata potrebbe risultare produttiva di per sé, anche senza la presenza fisica dell’insegnante e senza andare a scuola (Didattica a Distanza e per alcuni aspetti anche istruzione parentale). Ma il successo formativo sarebbe parziale, non tutti possono imparare in solitaria con un percorso standard erogato on-line. Con la sola Web-didattica risulta arduo realizzare un ambiente di apprendimento cooperativo, imprescindibile perché tutti imparino il livello minimo, altri possano consolidare, e gli eccellenti approfondire. Solo in presenza si può organizzare il cooperative learning e coglierne i frutti. A distanza, differita o sincronica, pare quasi impossibile, se non altro per l’importanza della fisicità, parlo soprattutto della scuola primaria.
Sebbene all’inizio della scuola generalmente i bambini si applichino allo studio domestico con grande impegno e motivazione, ben presto i compiti per casa si trasformano in un incubo, soprattutto a causa di certe mode cervellotiche. Una pratica ubiquitaria è lo svolgimento di esercizi col cambio-penna. Per esempio, un esercizio di grammatica ove la consegna è del tipo “trascrivi la frase Mario mangia la mela evidenziando in rosso l’articolo”. Il pargolo, una volta accumulata la concentrazione necessaria, inizia a scrivere con la penna normale e – arrivato all’articolo – mette giù la penna (se l’ha colto), cerca quella rossa (maledizione non si trova … ahhh finalmente, eccola), scrive “la” in rosso, viene distratto dal gatto, dal televisore o dalla mamma che parla al telefono, per sbaglio scrive in rosso anche quel che segue, si accorge che deve correggere, quindi lascia la penna rossa, cerca la gomma o la scolorina, combatte e pasticcia sul foglio per ripristinare il dovuto effetto cromatico, raccoglie la prima penna caduta sotto il tavolo, già che c’è scherza col gatto, risale sulla sedia e completa la frase. Con la mamma che, al telefono con l’amica, l’ha “seguito” alternando gossip, solleciti, minacce e correzioni. A volte, tra proteste e pianti, la mamma ordina di strappare il foglio e rifare da capo, perché sul quaderno lo svolgimento deve apparire graficamente perfetto, come un libro stampato. A dimostrazione che la famiglia lo segue e la maestra ha ben lavorato. E che il pargolo ha capito gli articoli.
Mai una volta che la maestra abbia formulato la consegna in quest’altro modo: “leggi la frase Mario mangia la mela osservando gli articoli, poi trascrivila sul quaderno, infine rileggila un’altra volta colorando l’articolo con l’evidenziatore (o cerchiandolo di rosso)”. Mai visto questo tipo di consegna, perché? Ma perché qui bisognerebbe processare la frase ben tre volte … vuoi mettere com’è più veloce scrivere in rosso quando vai proprio addosso all’articolo al primo colpo? Mai conosciuto una maestra che si dissoci dalla moda del cambio-penna, che osi discostarsi dalle colleghe. Chi o cosa impedisce alle maestre di lavorare in maniera ragionata invece che accodarsi al “così fan tutte”? Lo stalking dell’utenza o i diktat della dirigenza?
I nativi della playstation
Ma è nell’insegnamento dell’aritmetica (o matematica, o competenze numeriche, o logico-matematiche) che si raggiunge l’apice delle pratiche didattiche più assurde, sulla spinta di mode sostenute da molta editoria scolastica, nonché da ansiogene richieste di innovazione ed eccellenza provenienti da una utenza piena di sé per via della “natività digitale” dei propri pargoli. Che oltre allo smartphone usano la playstation (videogiochi popolati da killer ed escort, per inciso), perciò sono esperti di “informatica” e web. Tutto quel che ha a che fare col digitale diviene una specie di totem, mi riferisco per esempio al sistema di numerazione binario.
Con i bambini della scuola primaria viene il momento di insegnare a scrivere i numeri col sistema posizionale, per cui si presenta il problema del cambio. Poiché contando in base dieci per arrivare a cambiare le centinaia bisognerebbe spendere mezza mattina, per rendere più frequente il cambio così da impratichirsi basta contare in base due. Con questo sistema il cambio si presenta di continuo (ogni due unità semplici), in tal modo l’allievo dovrebbe imparare più facilmente l’uso e la rappresentazione delle unità di ordine superiore, la corretta scrittura della stringa di cifre, il significato dello zero, e anche la lettura del numero (in teoria, perché vai a dirglielo che 302 in base quattro si legge tre-zero-due e non trecentodue, alle mamme che aiutano nei compiti). Ma una volta capito come e quando cambiare, allora basta, si torni al sistema decimale e si facciano conteggi, scritture, letture e operazioni nel modo consueto, aiutandosi con le dita. E invece no! Ci son maestre che insistono anni con la base due, parallelamente allo sviluppo della “linea dei numeri” dal 20 fino ai milioni, dalla prima alla quinta. Alle domande delle “mamme-informate-su-WhatsApp” sul perché di questa insistenza con una aritmetica tanto ingestibile, la risposta che inorgoglisce gli attoniti genitori dei “nativi digitali” è “i computer funzionano con questi numeri, i bambini si troveranno meglio più avanti, quando studieranno informatica”. Mai incontrata una maestra che si sottragga a questa leggenda metropolitana. Al contrario, per cercare di superare le innegabili difficoltà con i numeri frotte di maestre si affidano ad un nuovo metodo che sta spopolando con la promessa di far presto e bene nel calcolo, e senza lo sforzo di pensare.
Per inciso, circa l’acquisizione delle competenze matematiche nella scuola primaria, una maestra anziana mi ha fatto riflettere sul diffuso fenomeno sottotraccia dell’anticipo a cinque anni del percorso scolastico dei pargoli, con la frequenza di una “primina” e il rientro a sei anni direttamente in una regolare classe seconda, col miraggio di aver “guadagnato” un anno. L’anziana maestra mi ha confessato che, pur non contraria in linea di principio, ha dovuto ricredersi, perché ha osservato, constatato, registrato e documentato che anche pochi mesi di immaturità mentale possono rendere impossibile l’acquisizione delle competenze matematiche. In soccorso alle maestre che faticano ad insegnare il calcolo ed altre nozioni avanzate a bambini anagraficamente allineati (e ancor più a quelli in anticipo), si vanno diffondendo proposte didattiche basate su metodi che promettono l’apprendimento della matematica senza la fatica del pensare. O, quanto meno, questa è la narrazione intesa dalle famiglie, le quali non possono che accogliere con grande sollievo la buona novella.
Occuparsi del nuovo metodo per la matematica nella scuola primaria venuto di moda da qualche anno (grazie anche ad un battage pubblicitario), il metodo del maestro Camillo Bortolato, sarebbe utile ed interessante, ma fuorviante per questa occasione centrata sulla didattica distante da scuola. Con l’auspicio di poter riprendere l’argomento in altra occasione (e con altri contributi), chiudo il riferimento osservando che la scuola elementare si è sempre basata sui metodi, e giustamente, perché i metodi hanno sempre garantito che alla fine del ciclo i bambini abbiano imparato a leggere, scrivere e far di conto, senza fallimenti. Quindi, nessun preconcetto contro i metodi, ma solo l’interesse a verificare se funzionano e portano a buoni risultati, che dal mio punto di vista significherebbe la scomparsa della matofobia e il conseguimento di una competenza matematica minima popolare quale diritto di cittadinanza. Proprio com’è scritto nel curricolo verticale di matematica di un tipico istituto comprensivo, “Sviluppa un atteggiamento positivo rispetto alla matematica, attraverso esperienze significative” ribadito ad ogni annata a partire dalla prima elementare, e fino alla terza media quando il Traguardo di sviluppo delle competenze recita “Ha rafforzato un atteggiamento positivo rispetto alla matematica attraverso esperienze significative e ha capito come gli strumenti matematici appresi siano utili in molte situazioni per operare nella realtà”. Missione compiuta.
Ma una cosa sono i metodi, altra cosa sono le mode estemporanee e le invenzioni editoriali che propongono innovazioni senza capo né coda. Una di queste, introdotta quasi di soppiatto in molti libri di testo che paiono fotocopiati l’uno con l’altro, è l’anticipo nella scuola primaria di nozioni, concetti, competenze da scuola secondaria di primo grado, quasi non valga più la distinzione tra apprendimento primario e apprendimento secondario. Per esempio, mi riferisco alle proprietà delle operazioni, alle espressioni aritmetiche con relative parentesi e regole di precedenza, ai criteri di divisibilità e numeri primi, addirittura alle frazioni come numeri razionali. Argomenti che, lungi dal poter sfociare nell’acquisizione di concetti e competenze, vanno ad alimentare improbabili abilità di calcolo con massicce dosi domestiche di operazioni aritmetiche fine a se stesse. Se si chiede perché queste novità, la risposta è a scelta multipla tra “così fan tutte”, “è nel libro di testo”, “è nei programmi”, “alle medie si troveranno meglio”.
Con la risoluzione di problemi arrivano altre mode insensate. Una di queste riguarda la tabella con i dati del problema. I bambini sono recalcitranti a trascrivere il testo dei problemi sul quaderno, lo considerano una perdita di tempo, una fatica inutile, c’è già sul libro, che bisogno c’è? Tanto più se la maestra non lo richiede esplicitamente, basta trascrivere numero e pagina del problema. Non viene data importanza a lettura e rilettura del problema, alla sua comprensione, quanto alla esecuzione di operazioni. Facendo trascrivere il testo si noterebbero meglio le grandezze note e da calcolare, i loro nomi, l’entità o la misura, le unità di misura, le relazioni. Ancor più necessario sarebbe esplicitare le indicazioni di procedimento prima di ogni calcolo, magari usando indicazioni simboliche (visto che in tanti casi le maestre si spingono ad introdurre precocemente formule ed uso delle lettere). Invece no, dritti a eseguire operazioni dopo uno “Svolgimento” in bella evidenza. E mentre provano a vedere se ci voglia una “più” o una “meno” per far tornare il risultato (che quando in calce al testo del problema viene bellamente utilizzato come dato), si ricordano che la maestra ha prescritto la tabella con i dati. Che si affrettano a compilare anche dopo aver svolto le operazioni risolutive. I “dati”, inevitabilmente, sono numeri e cifre, non possono essere grandezze, o relazioni, perché queste sono “parole”. Così hanno visto in classe, alla lavagna, e così si deve fare per casa. Perciò quando un dato è sottinteso o in forma di relazione, i bambini lo saltano di brutto, o non sanno come trattarlo. Esempio, “si trova a metà”, “ha percorso i 3/5 del tragitto”, “costa il triplo”, “supera di cinque”, “insieme fanno sette”. Dai quaderni risulterà che il problema è stato risolto a partire dai dati, in realtà i dati sono stati desunti dalle operazioni già svolte. La magniloquente attività di problem solving trasformata in successioni di “più” e “meno” col metodo trial and error. Per somma ironia magari si tratta pure di “problemi di realtà”, talmente reali da essere raggruppati in apposite sezioni dei libri di testo.
Un vero peccato, perché la risoluzione di problemi sarebbe un antidoto contro la matofobia. Da decenni si parla di apprendimento basato sul problem solving, evidentemente un’altra delle mode è riempirsi la bocca di termini e sigle riconducibili al didattichese. E sì che l’astruso concetto pare farsi strada perfino alle superiori, stimolato dal coronavirus, se ottiene l’endorsement della dirigente scolastica che ha ideato l’avveniristico progetto di liceo a “curvatura biomedica”: “Occorre spostare l’asse formativo dal docente attore al docente regista che stando dietro le quinte, attraverso attività di ricerca e di problem solving, riesce a rendere centrale lo studente nella costruzione delle conoscenze”. Lo diceva anche il maestro Manzi sessant’anni addietro, “Non è mai troppo tardi”.
Un buco nell’ozono
Dove si potrebbe ben misurare la distanza dalla didattica? Sulla carta geografica, evidentemente. L’insegnamento della geografia ben si presta a illustrare un altro esempio di mala-didattica nella scuola primaria. Si potrebbe ingenuamente pensare che per insegnare geografia e scienze della Terra convenga portare i bambini fuori dall’aula con album e pennarelli e disegnare il paesaggio, cielo, suolo, sole, ombre, luna, nuvole, alberi, colline, montagne, mare, lago, ruscello, case, tralicci, strade, veicoli, animali, persone … Un po’ alla volta, mentre osservano e disegnano, potrebbero facilmente assimilare tanti nomi “speciali” o “difficili”, orizzonte, profilo, direzione, distanza, proiezione, inclinazione, pendenza, angolo, alto, basso, nord-sud-est-ovest, zenit, orientamento, bussola, orizzontale, verticale… Poi farli parlare, descrivere posizione, movimento, forme, relazioni tra elementi del paesaggio. Si potrebbero individuare elementi del paesaggio nelle letture, osservare e raccontare fenomeni comuni, vento, pioggia, neve, grandine, lampi, tuoni. Dall’osservazione del ruscello si arriverebbe a considerare sistemi più vasti e complessi, il ciclo dell’acqua, e così via. Unici fattori limitanti il tempo e la fantasia. Un po’ alla volta si convinceranno che il Pianeta è molto più grande dello spazio descritto e disegnato. Quindi si passerebbe alla rappresentazione degli spazi, dalla pianta della classe alla mappa per la caccia al tesoro, e in mancanza di tesori dovrebbe esserci la mappa per l’evacuazione. Infiniti collegamenti con geometria, aritmetica, tecnologia. Alla fine si potrebbe presentare l’utilizzo delle carte topografiche, tavoletta al 25.000, oppure Google Maps, e arrivare a carte geografiche, globi e planisferi. Nel frattempo sarebbe trascorso un anno scolastico, e i bambini avrebbero imparato un sacco di cose, dal semplice al complesso, dal piccolo al grandissimo, dal vicino al lontanissimo, dal concreto all’astratto, come recitano i Piani di Lavoro a tutti i livelli, classe, dipartimento, istituto. Solo in teoria, però.
Come vanno in realtà le cose è presto detto. Le maestre partono con “le coordinate geografiche”, a seguire “la rappresentazione della superficie terrestre”, “le proiezioni”, “le carte geografiche”, seguendo il libro di testo. Sto parlando di terza elementare, ove tout court scimmiottano la geografia insegnata all’ultimo anno dei licei.
L’insegnamento delle scienze non si sottrae alla mala-didattica e alla mala-editoria scolastica. Parlo sempre di terza elementare, in varie regioni italiane. Quando non partono dal Big Bang, le maestre si collegano all’attualità, un cavallo di battaglia è il buco dell’ozono. Seguendo il libro di testo, fanno studiare questo ozono e l’atmosfera a partire dalle leggi dei gas, con tanto di modelli particellari gas/liquido/solido e relativi passaggi di stato. Imparati i termini dovuti, condensazione, evaporazione, fusione, solidificazione, perfino sublimazione e calore latente, arrivano al ciclo dell’acqua.
Se parlano di nubi è per far memorizzare la classificazione (cumuli, nembi, strati, cirri), mai per osservarle dal vero. E i successivi argomenti di scienze a seguire sullo stesso registro. Qui scimmiottano i corsi universitari di chimica-fisica, piccoli cervelli in fuga (dalla scienza) crescono. Come per la geografia, la matematica e la grammatica, ogni riferimento a fatti realmente accaduti è puramente intenzionale.
Un buco nell’acqua
La scuola media, secondaria di primo grado, fin dalla nascita è considerata il buco nero del sistema scolastico italiano. Fiumi di parole e inchiostro su questo fenomeno, ma la sostanza non è cambiata, se non in peggio. Alla scuola media diviene esplicita e formale la separazione delle materie, con l’argomento del necessario approfondimento secondario contenutistico e della peculiarità metodologica. Si tenta di arginare l’incomunicabilità tra materie con approcci interdisciplinari o pluridisciplinari, quasi sempre belle parole al vento. La separazione dei saperi in compartimenti stagni è rimasta ben solida, anzi ha contagiato la scuola primaria soprattutto dopo la nascita degli Istituti Comprensivi. Il problema non deriva solo dalla varietà di ambiti disciplinari, quanto dalla molteplicità di figure che salgono in cattedra, ognuna con proprie richieste, linguaggi, ritmi, modi di relazionarsi. Gli allievi assistono ogni giorno ad una serie di rappresentazioni teatrali ove ogni personaggio vuole far da padrone ed agisce pro domo sua dicendo di agire per una causa comune. Gli allievi sono spinti e tirati in modo scomposto in ogni direzione, bersagliati da messaggi contraddittori, modelli divergenti, atteggiamenti contrapposti, presi dentro tra attività curricolari e progetti dispersivi. Se alla primaria parlavano di “maestra Giovanna” o “maestro Francesco”, alle medie dicono “quella di italiano” e “quella di matematica”.
Gli insegnamenti consistono in un travaso di nozioni avviato in classe con tempistiche improvvisate e assegnato a completamento per casa con molti compiti. Ogni tanto si imprime una accelerata allo svolgimento dei programmi, in vista di prove comuni per classi parallele, volte a riallineare lo sgangherato curricolo a fronte di eventuali critiche dell’utenza (“perché i nostri sono indietro col programma?”). Con questa prassi, giustificata anche dal minaccioso incombere delle prove Invalsi, gli insegnanti sono indotti a procedere allineati e coperti dietro i libri di testo e le programmazioni di dipartimento (o per materia), guardandosi bene dal provare a superare le difficoltà con percorsi didattici originali frutto di ricerca-azione personale o collettiva. Le buone pratiche didattiche vengono ostacolate se non impedite da pesanti interventi dei dirigenti scolastici, interessati al “regolare svolgimento dei programmi” per non aver grane con i genitori saccenti, e a inventarsi progetti magniloquenti che giustificano una pletora di progettisti e collaboratori a loro volta interessati solo ad acquisire prestigio e vantaggi personali. Stipendiati di ruolo non interessati al lavoro nelle classi quanto al salto di specie. Da parte sua, l’utenza abbocca alle blandizie del progettismo parolaio, si fa coinvolgere esprimendo comitati e piccoli gruppi di volontari a supporto di attività parascolastiche, gare, gite, scambi, feste di fine anno, corsi di recupero, conferenze con esperti, eccetera. Un gioco delle parti tra stakeholder annualmente variabili e uomo solo al comando che funge da stabile pivot, per fingere che la scuola non sia più il corpo separato di cinquant’anni addietro. Non c’è interesse, né spazio, per riflessioni critiche su temi come la didattica disciplinare, l’efficacia dell’azione formativa, la formazione dei docenti in servizio. Si finisce per centrare l’attenzione e spendere tempo ed energie (e soldi) sulle “educazioni” (alimentare, stradale, intercultura, web, chi più ne ha più ne metta), somministrate con predicazioni o eventi mediatici, oltre che “aggiornare” i docenti in servizio mediante conferenze dei soliti tromboni sulle ultime sottigliezze psicopedagogiche o la rimodulazione e ridenominazione dei contenuti da travasare agli allievi.
Eppure alcune problematiche e contraddizioni sono colossali e di dominio pubblico. Come mai alla fine del ciclo secondario una gran quantità di “maturi” fatica a comprendere un testo scritto? Forse la didattica della competenza linguistica non ha lasciato il segno, pur avendo martellato per anni con analisi grammaticale ed analisi logica? Fin dalla scuola media inferiore gli allievi vengono bersagliati da una enorme casistica di modi, tempi, predicati, complementi, a prosieguo dell’antipasto grammaticale servito alla primaria e in vista dell’indigestione alle superiori. Se si considera un tipico punto di arrivo, il compito di italiano all’esame di stato nei licei classici, per quale arcano motivo solo un’esigua minoranza va a cimentarsi con l’analisi del testo, mentre gran parte si rifugia nel saggio breve o articolo di giornale?. Come se negli istituti tecnici potessero maturare periti senza compito di meccanica o elettronica, ragionieri senza bilancio aziendale, geometri senza costruzioni o estimo …
Espressioni infinite
Non parliamo poi della matematica, il regno delle espressioni. Si comincia con quelle a numeri interi, a seguire potenze, frazioni, decimali periodici, radici quadrate, alla fine anche letterali. La parola “espressione” evoca un supplizio per tutto il corso delle medie. Ovviamente a discapito di conquiste concettuali, conoscenze utilizzabili e competenze effettive, per esempio gli argomenti connessi a divisibilità, rapporti e proporzioni, oltre che geometria. La mala-didattica prosegue imperterrita, anzi diviene più venefica. Non si comprende perché insegnando la divisibilità si debba considerare il m.c.m. in simultanea col M.C.D. ingenerando confusione nell’utilizzo dei fattori primi. E perché vengano reiterate sfacciate ipocrisie circa la stringente necessità di utilizzare il minimo multiplo comune (denominatore comune nella somma di frazioni) e il Massimo Divisore Comune (semplificare frazioni ai minimi termini) facendo però operare in modo tutt’altro che stringente. Con la radice quadrata nuove occasioni per far eseguire a mano una catasta di operazioni, fino a perdere il significato della stessa operazione di radice. L’utilizzo intelligente delle calcolatrici è ignorato quando non vietato, perfino pregevoli testi di prestigiosi autori che ne prevedevano l’uso sono stati costretti alla ritirata. Intanto gli allievi si son fatti così “furbi” da ottenere tutti i passaggi risolutivi delle espressioni inquadrandole con la videocamera dello smartphone caricato con appositi software, e continuando ad usare di nascosto la calcolatrice per scopi di nessun valore aggiunto.
Circa le frazioni come numeri razionali, una corrente didattica ne sostiene da sempre lo spostamento al biennio delle superiori, con l’argomento che la mente del preadolescente non è pronta per dominare questi concetti. Infatti per considerare le classi di equivalenza delle frazioni ci vorrebbe la capacità di tenere d’occhio la variazione simultanea di due entità, numeratore e denominatore. Poiché i preadolescenti fanno fatica a considerare due “cose” variabili in simultanea, l’argomento andrebbe posposto. Niente da fare, argomento ignorato, invece le frazioni come numeri razionali sono stati introdotte alla scuola primaria, forse pensando che cominciando per tempo a battere il chiodo si riesca a piantarlo. Se non si rompe.
La matematica, che tramite la riflessione sui numeri ben si presterebbe ad ardite ed entusiasmanti costruzioni concettuali, oltre che offrire lo spunto per piacevoli e interessanti applicazioni, viene propinata quale arida operatività fine a se stessa, ai più incomprensibile nei suoi obiettivi, complicata nei metodi, astrusa nei linguaggi (“per me è arabo”). Quelli che ci arrivano sarebbero nati col pallino o col bernoccolo. La cosiddetta didattica, invece di accompagnare discretamente (“da dietro le quinte”, scaffolding) gli allievi a cogliere da sé i concetti e costruire conoscenza, persevera nel calare dall’alto enunciati, definizioni, regole, relazioni, regalare proprietà goderecce, procedure, algoritmi, chiedere la replicazione di esercizi-tipo, rispondere a domande poste da altri, mettere crocette su schemi pensati da altri. Sulla sabbia e senza fondamenta procede la costruzione della “sgangherata casa della matematica”.
Nel frattempo che le scuole arriveranno al Problem Solving, la matematica continua a fornire importanti pezze giustificative per distinguere gli “eccellenti” dai “faticanti”, così come un tempo contribuiva a selezionare i “capaci e meritevoli” dalla “zavorra”. Salvo poche eccezioni, la didattica della matematica nella scuola media dell’obbligo tiene a distanza i cittadini dai saperi minimi, contribuendo al fallimento del sistema pubblico di istruzione.
Per chiudere con la matematica, qualche cenno alla geometria, pure questa bistrattata nella scuola media e non solo. Per non smentire la volontà di confondere i preadolescenti con assonanze, lo studio delle proprietà delle figure piane presenta spesso accostati in simultanea “Poligoni isoperimetrici ed equivalenti”. Gli strateghi della didattica astratta giustificano l’accostamento con la volontà di “far cogliere analogie e differenze”, come recitano i piani di lavoro a tutti i livelli. Lascio perdere i dettagli per salvaguardarmi la funzionalità epatica, ma il risultato è la domanda che sento fare da tutti gli allievi in cerca di aiuto nei compiti per casa, “ci vuole la formula dell’area o quella del perimetro?”. Osservo poi che il Teorema di Pitagora viene introdotto alla fine della seconda media senza costituire oggetto di verifica per non provocare genocidi in vista dello scrutinio, i Teoremi di Euclide addirittura scompaiono e la geometria solida verrà sviluppata in vista del traguardo finale più per effetto dell’insegnamento di tecnologia che di matematica. Con questo inconsistente bagaglio di competenze gli allievi arrivano alla fatidica preiscrizione alla scuola superiore, decisa nella maggior parte dei casi con un criterio sbocciato già in prima media facendo espressioni e consolidato in seconda calcolando frazioni generatrici dei numeri illimitati periodici misti, ovvero frequentare la scuola “dove c’è meno matematica possibile”. A meno che la famiglia non si imponga con argomenti di altra natura.
Le scienze all’incontrario
Anche gli insegnamenti di scienze non costituiscono un valido riferimento culturale, per il modo in cui vengono proposti e sviluppati (salvo le solite lodevoli eccezioni), pertanto non contribuiscono a orientare con cognizione di causa gli allievi nella scelta della scuola superiore. Per inciso, è ancora diffusissima una pratica di orientamento scolastico fondata sui livelli di difficoltà anziché su sviluppo di interessi e valorizzazione di attitudini. L’orientamento per fasce si concretizza in consigli di orientamento tautologici, istituto professionale o cfp per allievi valutati appena sufficienti, istituto tecnico per allievi discreti o buoni, liceo per allievi ottimi. In qualche caso può comparire il riferimento ad inclinazioni artistiche o musicali, più raramente tecnologiche, ed anche il liceo delle scienze umane (ex istituto magistrale), panacea suggerita alle famiglie che non accettano di sentirsi classificate da cfp. Per rinfrescarci la memoria sull’impatto che le scienze possono avere nella formazione dei tredicenni in uscita dalla scuola media basti considerare una tipica successione di argomenti:
… in prima media:
La scienza ed i campi di indagine. Il metodo scientifico.
Lo studio dei fenomeni scientifici. La misurazione.
Le unità di misura. Misure dirette ed indirette. Rappresentazione dei dati scientifici.
Diagrammi cartesiani:a barre, a punti ed a torta. Errori di misura.
La materia. Atomi, molecole, sostanze. Elementi e composti. Miscugli.
La massa. Il volume.
Rigidità,elasticità e plasticità. Lo stato aeriforme.
Lo stato liquido. Le proprietà dei liquidi.
Il calore e l’energia. La temperatura. La misura del calore.
Fusione, vaporizzazione e sublimazione. La condensazione.
La dilatazione termica.
Lettura:Celsius, Fahrenheit, Kelvin. L’acqua.
Calore specifico. Densità e tensione superficiale. Il sistema Terra. Il ciclo dell’acqua.
Mari ed oceani. La salinità. La temperatura. La luce.
Il moto ondoso. Le maree.
I ghiacciai.
I ghiacciai montani. Le acque sotterranee. I fiumi. I laghi.
L’atmosfera terrestre. I gas serra. Gli strati dell’atmosfera.
L’ozono: filtro della stratosfera. La pressione atmosferica.
Le variazioni della pressione atmosferica: il barometro.
Il tempo atmosferico. La meteorologia. I venti.
… in seconda media:
Quiete e moto di un corpo, modulo, direzione e verso.
Il moto, la velocità, tipi di moto, moto rettilineo uniforme.
Il moto vario, accelerazione.
Il comportamento dei liquidi, la tensione superficiale, i vasi comunicanti, la capillarità.
La bagnabilità, la pressione idrostatica.
Legge di Stevin, movimento dei liquidi.
Il baricentro, l’equilibrio statico.
Le leve di primo, secondo e terzo genere.
Il principio di Archimede, i sottomarini, la spinta di Archimede, applicazioni.
I legami chimici. Legame ionico, covalente e metallico.
Sostanze pure e miscugli, sostanze semplici e composte, miscugli omogenei ed eterogenei.
La formula chimica, legge di conservazione di massa, gli scambi di energia, come avviene la combustione.
Le reazioni con l’ossigeno, idrossidi, acidi e sali.
Gli idrocarburi, gli alcoli, aldeidi e chetoni.
Gli acidi carbossilici.
Il carbonio in natura.
La struttura della Terra. La litosfera. I minerali.
Proprietà dei minerali. Le rocce: classificazione.
Le rocce ignee: rocce intrusive ed effusive.
… in terza media:
Il lavoro e la potenza.
L'energia cinetica e l'energia potenziale.
Risorse rinnovabili e non rinnovabili.
La biodiversità: biomi, ecosistemi, sviluppo sostenibile.
La carica elettrica. Materiali conduttori e isolanti.
Elettrizzazione dei corpi e corrente elettrica.
Propagazione della corrente elettrica. I circuiti elettrici.
La resistenza.
Il magnetismo.
Campo elettrico e magnetismo.
Il sistema nervoso. Generalità. Funzioni. Il neurone.
L’encefalo. Struttura.
Il sistema endocrino. Le ghiandole principali e gli ormoni prodotti.
I recettori sensoriali. L’occhio: anatomia e fisiologia.
Il tatto e l’olfatto.
Il metodo della scienza? Viene prima della scienza, al capitolo uno. Dalle osservazioni alle ipotesi? No, le osservazioni non sono previste. Dal concreto all’astratto? No. Dal macroscopico al microscopico? No. Dal solido manipolabile all’aeriforme sfuggente? Non sia mai. Questo è lo stato dell’arte quasi dappertutto, non ci resta che piangere.
Gli eccellenti sorpassano in curva
Malgrado la matofobia abbia già stravinto ben prima dei rilevamenti Invalsi e le scienze abbiano provocato la fusione dei cervelli, il fascino ed il prestigio di certe professioni basate sulle discipline scientifiche spinge a tentare di conseguire il successo scolastico con ogni mezzo. Il caso più eclatante è l’iscrizione alla facoltà di medicina, sbarrata da test di ammissione molto selettivi. Poiché nemmeno i costosi corsi preparatori possono miracolare chi è completamente digiuno di conoscenze scientifiche, spesso alla faccia di una maturità passata a pieni voti, determinati settori sociali e ambienti familiari hanno ben pensato di aggirare l’ostacolo con una invenzione politica camuffata da sperimentazione d’avanguardia.
Liceo biomedico, boom di iscrizioni. «Diventerà obbligatorio per passare il test di Medicina» (Corriere della Sera 7 ottobre 2019) … “ … l’iniziativa nasce su impulso di alcuni genitori del capoluogo calabrese, che di fronte allo scoglio dell’accesso alla professione medica avevano chiesto di inserire nel piano di studi dello scientifico anche alcune ore di preparazione ai test di medicina (…) con il supporto dell’ordine dei medici di Reggio Calabria, due anni fa la preside Princi ha ottenuto l’assenso del Miur per far partire una sperimentazione su scala nazionale (…) «Siamo fiduciosi — commenta Princi — e spingiamo per l’accesso alle facoltà mediche attraverso una selezione meritocratica che parta proprio dai licei»
Non si comprende come un tredicenne (matofobico e a-scientifico) possa aver maturato già a dicembre della terza media sufficiente cognizione di causa circa il fondamento dei propri interessi culturali, e come potrebbe a quella data essere pronto per una consapevole scelta del percorso di istruzione superiore, a maggior ragione nel caso di un lungo e impegnativo iter come quello che porta alla professione medica (o sanitaria). Ovvio che tale scelta possa essere fatta solo da famiglie in condizioni socio-economiche elevate, con notevole background culturale, organizzate per sostenere un ambiente di apprendimento favorevole, spesso di tradizione medica da generazioni.
(…) Per l’ideatrice del progetto (…) «Gli studenti che rinunciano capiscono che la carriera medica non fa per loro. Vuol dire che il percorso funziona nel suo obiettivo di fornire orientamento ai ragazzi».
Questo liceo “curvato sui test d’ingresso a medicina” è un tipico progetto per la precoce ingessatura sociale, a curvarsi sui test biomedici ci andranno i figli dei medici, a fare le pizze i figli dei pizzaioli, ché già fin da piccolini i nativi panettieri, curvati sulla farina, hanno compreso che la carriera medica non fa per loro. Mentre la scuola dell’obbligo promuove tutti insegnando quasi niente, i licei del todos Caballeros rispolverano il mai sopito anelito selettivo predisponendo progetti finalizzati autoescludenti per quanti non siano “nati già imparati”. Che non sempre sono tali, perché se mi è consentito un aneddoto di alleggerimento, avendo supportato nelle discipline scientifiche un allievo “curvato” sui test di medicina (senza riuscire a convincerlo che matematica e scienze non si imparano a memoria), in tre anni non sono riuscito a farmi dire quante moli ci sono in un litro, problema da me “posing” per vedere se la scuola curvata lo avrebbe “solving”. Nothing to do! Ovviamente Niente-da-fare anche al test di ammissione a medicina, avendo risposto bene solo alle domande di logica, crocette azzeccate su enunciati tipo “il tutto è maggiore della parte”. La debacle in chimica, fisica, matematica, biologia è stata commentata con “c’era troppo da ragionare”, gli è venuto mal di testa.
I licei scientifici non sono meno abili nel certificare le attitudini hi-tech di allievi cresciuti in famiglie hi-tech attribuendosi il merito di aver sviluppato in ambito scolastico genialità hi-tech, pur senza essere mai andati in laboratorio di fisica. Resta un fenomeno generale passare brillantemente l’esame di stato avendo studiato perfino la fisica relativistica senza aver compreso le basi elementari della dinamica, o parlare di circuitazione senza riuscire a individuare concretamente un circuito (neanche se corto), o credendo che il manometro serva a misurare la pressione del mercurio in esso contenuto (ogni riferimento a fatti realmente accaduti in sede d’esame è puramente intenzionale).
Anche la matematica non se la passa male, se nel “miglior liceo scientifico della provincia” una ventina di recuperanti hanno saldato il debito del secondo anno andando a svolgere il compito del terzo anno, accortisi solo dopo la consegna del foglio che quegli strani simboli non avevano la medesima stranezza di quelli studiati durante l’estate perfino a lezione privata. Un ex insegnante intervenuto nelle discussioni precisa: “Tanti anni fa ho insegnato alle superiori, pure al biennio, matematica. Il disastro e la frustrazione erano completi: 1 o forse 2 persone per classe non avrebbero nemmeno avuto bisogno di un insegnante, mentre gli altri erano una mezza tragedia. Per fortuna sono riuscito a fuggire in tempo. La didattica della matematica e delle materie scientifiche in generale alle superiori e' un problema enorme e chi se ne occupa è un vero eroe, al quale auguro ogni successo. Io ce la avevo messa tutta, ma non sarei arrivato alla pensione vivo.” (dal blog di Massimo Ferri, FQ del 16 marzo 2020). Difficile che la didattica a distanza produca peggioramenti dell’azione formativa in questi prestigiosi licei.
Un discorso leggermente differente farei per gli istituti tecnici (industriali, nautici, agrari, geometri, esclusi forse ragioneria e commercio estero). La caratterizzazione dei percorsi è tale che questo tipo di scuola superiore viene scelta da allievi quasi sempre motivati e consapevoli perché provenienti da famiglie inserite in quei settori lavorativi. L’impostazione operativa di alcune discipline di indirizzo difficilmente potrà prescindere dalla didattica in presenza, perciò queste scuole potrebbero essere in grave difficoltà con i soli strumenti web. Non me lo vedo al chimico-biologico un laboratorio di biotech puramente virtuale, neanche lo sviluppo di un cultivar ad un agrario, un laboratorio di robotica ad un industriale, una direzione di cantiere o un rilievo topografico ai geometri. Tuttavia interesse e motivazione degli allievi dei “tecnici” sono tali da far sperare che qualche concreto espediente prima o poi lo inventeranno, sessioni in presenza a piccoli gruppi, stages, o altro. Del resto, queste sono le figure capaci di creare dal nulla perfino il PIL.
La scuola del futuro sarà on-demand?
Molti commentatori sostengono che alla riapertura la scuola sarà comunque cambiata, non potrà mai più essere quella di prima, perché la didattica a distanza nata in fretta e furia per affrontare l’emergenza finirà per innescare novità nell’insegnamento. Vuoi vedere che il coronavirus riuscirà laddove non hanno potuto decenni di progetti, corsi di aggiornamento in servizio e formazione iniziale, convegni, commissioni di esperti e saggi, ministri politicamente autorevoli ed altri di grande spessore culturale, oltre che riforme e controriforme? Può darsi, staremo a vedere se i fattori che strozzano la scuola in presenza saranno spazzati via o si ricicleranno come nuovi colli di bottiglia. Per intanto alcuni di questi fattori sono ben individuati nei commenti ai blog “… presidi che come sceriffi pensano la scuola come una ditta e premiano più la burocrazia che la didattica per puro prestigio personale e di immagine, studenti maleducati e spocchiosi … genitori assenti che te li parcheggiano di comodo … (Blog di Massimo Ferri, FQ 16mar20)“. Altri tra il serio ed il faceto mettono a fuoco il ruolo dei progettisti incistati negli snodi cruciali del sistema scolastico “… sono sicuro che sotto la spinta di questa emergenza che sta mettendo in primo piano le nuove tecnologie (mica tanto nuove) finora sottovalutate e misconosciute, gli esperti psicopedagoghi troveranno nuove tecniche e strategie di insegnamento che metteranno fine allo sfacelo attuale …” cui un altro risponde“ … "Spero che l'osservazione sia ironica. Casomai non lo fosse, faccio presente che "gli esperti psicopedagoghi" non hanno fatto altro, da 30 anni a questa parte, che CAUSARE attivamente lo sfacelo, aggravarlo sempre di più, e compiacersene come se fosse una grande conquista di civiltà e di progresso. Per quale motivo adesso dovrebbero essere interessati a mettervi fine, proprio non si capisce …” (Blog di Lorenzo Vendemiale, FQ del 05mar20)
Per settembre si profila una riorganizzazione delle attività diversificata a seconda del ciclo e del grado, in ottemperanza alle necessità di mantenere bassa la possibilità di contagi. Alla scuola primaria e secondaria di primo grado l’ipotesi più probabile è una ripresa in presenza, con gruppi-classe diradati e/o turnazioni che consentano la frequenza fisica a basso rischio. Non si vede come il virus possa incidere sulla didattica, comprese le pratiche di cambio-penna, aritmetica binaria, geografia, scienze, grammatica, perché le maestre questo sanno fare ed in questo modo, e perché saranno ancor più assillate da gruppi di genitori-informati-su-wzap e da dirigenti a loro volta assillati. Mi auguro non si avventurino nelle video-lezioni in streaming, sarebbe già un’ottima cosa se il diradamento fisico venisse compensato da un efficace utilizzo dei più semplici strumenti implementati nei registri elettronici (argomenti svolti, compiti assegnati, avvisi, chat, sportelli). Se proprio volessero fornire materiali animati, potrebbero spendere un po’ di tempo nel siti di Rai Scuola, Rai Play ed in generale nel portale Rai Educational, e caricare sul registro elettronico i link, c’è un sacco di bella roba. Lasciassero stare lo streaming, considerato anche che ”… molte scuole utilizzano piattaforme di video conferenza la cui sicurezza è dubbia (molti articoli su questo, ultimamente) e che non utilizzano nessun tipo di crittografia. Questi video vagano liberamente sul web e sono facile preda per chi sa come fare. Migliaia di video di bambini ed adolescenti. Non credo di dover spiegare a chi fan gola. E quanti soldi son disposti a spendere, certi individui, per appropriarsene. Mi dispiace notare che ben pochi insegnanti e ben pochi dirigenti comprendano il rischio … “ (commento di un lettore al blog di Valentina Petri, FQ 14apr20). Forse anche tra i genitori pochi si pongono il problema, anzi molti ansimano per far vedere on-line quanto son carini i loro pargoli.
Differente la situazione alla scuola superiore, secondaria di secondo grado. Una ripresa in presenza, sebbene con turnazioni e classi diradate, dovrà fare i conti innanzitutto col problema del trasporto con mezzi pubblici, fattore di non poco conto. In secondo luogo, se una cosa è emersa con una certa chiarezza in questo scorcio finale di anno scolastico “sospeso” è che sarebbe possibile impostare una didattica principalmente a distanza, secondo il concetto delle “classi rovesciate” (flipped classroom). Il condizionale è d’obbligo, perché se è vero che s’è vista qualche buona esperienza, si constata che il risultato dipende molto dal grado di responsabilità e serietà di comportamento degli studenti. Non si possono fare “classi rovesciate” con gli scansafatiche, i furbastri, i bugiardi, gli opportunisti, tutte categorie che allignano alla grande nelle scuole superiori e che si sono perfidamente raffinate con l’uso degli strumenti informatici e della didattica on-line, …”mancava la connessione, ho finito i giga, la foto del compito non me la allega, hanno cambiato la password, m’è caduto il telefono in una pozzanghera”, e via di questo passo. Forse questa è l’occasione buona perché la scuola smetta di dare sempre e comunque l’ok a gente che si comporta così. Ovviamente all’altro capo della connessione deve esserci gente che si comporta a sua volta in maniera seria e trasparente, e si sa che non sempre è così dal punto di vista della relazione, e neanche dal punto di vista professionale. La preoccupazione principale pare essere quella burocratica, mettersi al riparo da ricorsi al TAR in caso di bocciature, organizzando la solita finta azione di recupero o percorso individualizzato. Vale a dire, piani di lavoro pieni di roboanti affermazioni, e corsi di recupero che non hanno mai recuperato nulla. La nota filosofia didattica del repetita iuvant. (“Le poco attuabili ordinanze per la scuola della ministra Azzolina” | L'HuffPost del 11mag2020, blog di Giusi Princi)
Come la prendono i soggetti che apprendono?
Come stanno reagendo gli studenti a queste novità? In buona sostanza si può dire che chi si comportava bene a scuola si comporta bene anche a distanza, invece chi si comportava male a scuola si comporta ancor peggio a distanza, a parte quelli che si sono dati alla latitanza. Sul piano tecnologico anche i più volonterosi e capaci hanno avuto qualche difficoltà, per i numerosi cambi di piattaforma e soprattutto perché la maggior parte usa lo smartphone invece del computer, così che alcuni strumenti risultano difficili se non impossibili da gestire. Sul piano didattico molti studenti sembrano apprezzare la possibilità di interagire con gli insegnanti ad orari molto elastici, soprattutto nel chiedere precisazioni con le chat, e sembrano molto insofferenti al palinsesto delle video-lezioni fissato rigidamente come fosse l’orario delle lezioni in presenza. Considerando che il docente non può facilmente controllare se a risultare “presente-on-line” sia lo studente o il suo smartphone, alcuni gironzolano per casa, mangiano il panino, vanno fuori a portare il cane, fumano, e fanno cento altre cose che ritengono nel loro diritto essendo in casa propria. Abusiva è considerata la presenza in video del docente nelle loro abitazioni, a maggior ragione se con piattaforme extra-istituzionali o addirittura in violazione sfacciata della privacy. Ad oggi, anche dove le scuole hanno attivato piattaforme istituzionali per le lezioni in streaming, molto spesso rimane in attività di appoggio il “gruppo-classe-wzap”, il che significa che i docenti hanno i numeri di telefono degli allievi, e viceversa, una colossale commistione tra pubblico e privato su cui però l’istituzione scolastica ha fatto conto quando ha spinto per la partenza immediata delle attività a distanza, ben sapendo che molte scuole il registro elettronico ce l’avevano solo sulla carta. Dal lato server il palinsesto delle video-lezioni procede quasi sempre sul modello TV, unidirezionale da trasmittente a ricevente, insegnanti che parlano a mezzobusto per la loro “ora” e poi cedono la parola al successivo mezzobusto, senza nemmeno porsi il problema della “ricreazione”, merenda, servizi, ed altri eventi domestici. Ragion per cui molti allievi (specie alle medie) collegano il telefono alla video-lezione e si eclissano, tanto lo streaming non ha alcun feedback audio-video, se no la banda passante comincerebbe a suonare la ritirata. Ogni tanto il docente attiva il microfono di qualche allievo chiedendo riscontro della presenza, come quando in classe richiama all’attenzione quelli che durante la spiegazione a mezzobusto dalla cattedra giocano col telefono sotto il banco, ma invano. Il bello è che in certe scuole hanno perfino fatto consigli di classe straordinari on-line per prendere provvedimenti contro gli allievi che si defilano adducendo motivi tecnologici (“s’è interrotta la connessione”, “ho finito i giga”, s’è scaricata la batteria”). Se alla ripresa di settembre la scuola sarà ancora così verrà da pensare che il coronavirus non è stato abbastanza virulento.
Verso la fine del lockdown
Nemmeno può passare sotto silenzio il riferimento della ministra Azzolina agli studenti con problemi (“avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità”), che rimanda subito a BES, DSA, PFI, PDP, PEI e docenti di sostegno per non parlare di quelli di potenziamento. In questo frangente costoro sono stati i primi ad eclissarsi (non dal percepire lo stipendio), e nessuno s’è ricordato di loro fino al documento del 15 maggio o alla predisposizione della relazione finale. Non hanno occupato banda passante, neanche per il noising che sono soliti fare in presenza.
Si sono invece fatti sentire i genitori, con argomenti legittimi e fondati o proteste propagandistiche, ma pur sempre con l’aria di sapere cosa devono fare gli operatori della scuola. A parte quelli che il primo giorno di sospensione tramite la rappresentante di classe hanno “mandato a dire alle insegnanti di non poltrire e che bisognava subito dare i compiti perché i bambini arrugginiscono”, a Bologna un comitato di genitori è arrivato ad organizzare raccolte di firme e un flash-mob contro la dirigente perché non erano stati distribuiti i tablet, e a niente è valso l’argomento della preside “ma i nostri ragazzi avevano il libro di testo“. Questa sì è una spinta al rinnovamento della didattica, il coronavirus richiede tablet, non il cambio-penna.
Anche in questa situazione di emergenza si conferma che la scuola è il luogo dell’arbitrio totale esercitato da tutte le componenti, dai vertici alla base, utenza e insegnanti, non esclusi sindacati ed associazioni di categoria. Se la mission del Bravo Dirigente è non scontentare nessuno, tanto varrebbe reclutare i dirigenti dai percorsi per manager della pubblica amministrazione anziché dalla carriera docente, ci sarebbero molte meno recriminazioni tra gli insegnanti e molti meno atteggiamenti di rivalsa verso gli ex colleghi tra i dirigenti. Chissà quale politico avrà coraggio di mettere mano in questo vespaio per tentare di raddrizzane le innumerevoli storture, prima di tutto ricondurre ogni componente a esercitare il proprio ruolo senza sconfinamenti, potare drasticamente i tentacoli della burocrazia, ripensare l’apparato normativo in chiave di semplificazione.
Avviandomi a concludere, parliamo di questa manfrina degli esami di stato, che non sarebbero validi o addirittura incostituzionali se fatti on-line totalmente o parzialmente. A parte che ci sono stati esami di laurea effettuati via web su cui nessuno ha avuto da dire, sempre on-line ci sono stati interrogatori di ben altra portata, processi per mafia ove si doveva garantire la sicurezza di collaboratori di giustizia. Vuoi vedere che gli esami di stato, passati ogni anno con percentuali bulgare in base a scritti ed orali su cui sarebbe più dignitoso tacere, non potrebbero essere resi validi on-line per decisione politica?
Nel Paese dei condoni tombali, degli scudi fiscali, dei ravvedimenti operosi, ove si parla di “peccati e pentimenti” anziché “dei delitti e delle pene”, per qual motivo una situazione eccezionale non potrebbe giustificare anche i maturi col debito, con una bella benedizione on-line Urbi et orbi?