Classificare le piante 7: Pena e l’Obel
Un'amicizia e un sodalizio intellettuale
Silvia Fogliato
Quasi negli stessi anni in cui in Italia Cesalpino elabora il proprio sistema di classificazione delle piante, a Londra esce Stirpium adversaria nova (1570 o 1571), opera a quattro mani del francese Pierre Pena e del fiammingo Mathias de l’Obel. I due, protestanti, hanno trovato nell’Inghilterra elisabettiana un clima più favorevole rispetto a quello dell’Europa continentale sconvolta dalle guerre di religione.
Prima di illustrare i contenuti del libro e capire quanto è importante nella nostra piccola storia della classificazione delle piante, facciamo un passo indietro per conoscere i due autori, anche se di loro e del loro sodalizio umano e intellettuale sappiamo meno di quanto vorremmo. Pierre Pena era provenzale, nato probabilmente intorno al 1535; Mathias de l’Obel (o de Lobel, o alla latina Lobelius) era un fiammingo di Lilla, nato nel 1538. Nella tarda primavera del 1565, a un mese di distanza l'uno dall'altro, i due si immatricolarono a Montpellier per seguire le lezioni del grande Guillaume Rondelet (1507-1566). Dato che conosciamo male la giovinezza di entrambi, non sappiamo se si conoscessero già, e avessero addirittura erborizzato insieme in Germania, in Svizzera e in Italia, o se si incontrassero qui per la prima volta. Certo è che da quel momento divennero inseparabili. Nonostante la sua rozzezza di modi e le lacune della sua formazione accademica (il suo latino era privo di eleganza e non sempre ineccepibile), Rondelet fu così colpito dell'acume di de l'Obel che gli lasciò in eredità i suoi scritti botanici.
Di nuovo, non sappiamo esattamente cosa successe dopo la morte di Rondelet (1566): forse gli amici si fermarono ancora nel Midi ad esplorare Linguadoca e Provenza, forse conseguirono la laurea (mancano i registri di questi anni), forse partirono dopo pochi mesi. Di nuovo, abbiamo una data certa: nel 1570 erano sicuramente in Inghilterra, e vi si trovavano da qualche anno (almeno dal 1568). Lo ricaviamo proprio da Stirpium adversaria nova, pubblicata dallo stampatore Thomas Purfoet (o Purfoot) gli ultimi giorni del 1570 o i primi del 1571. Il curioso titolo si rifà agli adversaria, i libri dei conti sui quali i negozianti annotavano giorno per giorno entrate e uscite. Vuole essere dunque un registro delle piante (circa 1200) viste e raccolte per esperienza diretta soprattutto in Provenza e in Linguadoca, ma anche nel corso di altri viaggi: tra il 1562 e il 1563 infatti l'Obel da solo o meno probabilmente insieme a Pena aveva visitato l'Italia settentrionale e aveva conosciuto tutti quelli che contavano nella botanica italiana.
Una classificazione “naturale” e induttiva
La novità di Stirpium adversaria nova non sta nel metodo: abbondano ancora i riferimenti eruditi ai botanici dell'antichità, con le solite polemiche feroci sull'identificazione delle specie di Dioscoride e soci; né tanto meno nell'accuratezza delle descrizioni: Tournefort noterà che è quasi impossibile identificare le piante quando mancano i disegni. A parte un'insolita attenzione all'habitat (di ogni specie è indicato, in genere, il luogo di raccolta e l'ambiente), a essere nuovo il modo di organizzare le piante. Gli autori si sono infatti proposti di raggrupparle “secondo natura", in base a evidenti somiglianze morfologiche, così che il molteplice venga ricomposto nell'uno: "Quest'ordine si sviluppa uno e identico a se stesso, conduce dai semplici più vicini ai sensi e più familiari a quelli più sconosciuti e compositi, seguendo un percorso di somiglianze e familiarità, grazie al quale, per quanto possibile, le piante vengono a corrispondersi sul piano universale e particolare attraverso la varietà e l'immensità".
È lo stesso intento di Cesalpino (l'Obel lo conobbe in Italia, e forse ne fu influenzato), ma attuato in modo assai diverso, quasi opposto. Come Cesalpino, l'Obel si rifà ad Aristotele, ma mentre l'italiano muoveva dal generale al particolare (partendo da considerazioni generali sulla natura, ovvero l'essenza, dei vegetali, per poi giungere a categorie specifiche, con approccio deduttivo), il fiammingo parte dall'osservazione del molteplice per giungere all'uno (con approccio induttivo, dal particolare al generale). E se i ragionamenti filosofici avevano indotto Cesalpino a scegliere come criterio di classificazione gli organi riproduttivi (in particolare i frutti e i semi), l'osservazione diretta delle piante induce l'Obel a scegliere l'organo più immediatamente percepibile: le foglie.
Oggi noi sappiamo che, per convergenza evolutiva, piante geneticamente molto lontane che vivono negli stessi ambienti possono avere aspetto simile; le foglie, da questo punto di vista, sono particolarmente ingannevoli. Ciò non toglie che quello di l'Obel (e Pena) sia stato il primo tentativo di raggruppare le piante per affinità naturali, giungendo a individuare una sorta di "famiglie". Almeno un risultato viene raggiunto: anche se solo sulla base della diversa struttura delle foglie, vengono chiaramente distinte le monocotiledoni (con foglie, in genere allungate, caratterizzate da nervature parallele) e le dicotiledoni (con foglie distinte in picciolo e lamina, caratterizzate da nervature reticolate).
?Non mancano le confusioni, i vicoli ciechi e le incongruenze: ad esempio, le monocotiledoni con lamina fogliare ampia, come Arum, finiscono tra le dicotiledoni. Trifogli, Oxalis e Hepatica, che hanno foglie a tre o quattro lobi, sono raggruppate insieme; piante prive di foglie verdi, come Orobanche, finiscono insieme ai funghi. D'altra parte, anche i criteri di classificazione sono incongruenti: così, ninfee, loti, Caltha e Hydrocharis stanno insieme perché condividono l’habitat: sono tutte piante che fluttuano sull'acqua.
Tuttavia, a sfogliare il testo di l'Obel, abbiamo l'impressione che un ordine inizi a delinearsi. Non più piante in ordine alfabetico, né raggruppate in base alle virtù terapeutiche o agli usi pratici, oppure disposte dall'alto in basso (dagli alberi, le essenze più nobili, fino alle erbe, le più effimere e insignificanti, come in Teofrasto). L'Obel e Pena procedono esattamente al contrario: si parte dalle forme più semplici, più comuni, cioè dalle graminacee, per giungere via via a forme più articolate e complesse. I gruppi non hanno nome (se non quello di una specie più nota e familiare, molto lontanamente paragonabile al "genere tipo" della tassonomia odierna) e manca anche un'esposizione teorica dei criteri seguiti; tuttavia, ciascun gruppo è corredato di tabelle o schemi ad albero che evidenziano visivamente i rapporti tra le diverse "stirpi". Accanto alle piante medicinali o utili all'uomo, acquistano diritto di cittadinanza anche le "erbacce".
Ma chi ha scritto quest’opera?
È oggetto di discussione quale sia stata il ruolo rispettivo dei due autori nella raccolta dei materiali e nella redazione di Stirpium adversaria nova: c'è chi giudica il contributo di Pena insignificante, chi al contrario vorrebbe attribuirgliene quasi l'intera paternità. Sta di fatto che poco dopo la pubblicazione, le strade dei due si divisero: Pena tornò in Francia, abbandonò del tutto la botanica e la scrittura (non risulta aver pubblicato nient'altro) per dedicarsi a una lucrosa attività di medico specializzato nella cura della sifilide.
All'opposto, Mathias de l'Obel, anch'egli rientrato in patria, divenne un botanico militante e un attivo pubblicista. Per qualche anno visse ad Anversa ed entrò a far parte della scuderia di Christophe Plantin. Scrisse un supplemento degli Adversaria, Stirpium Observationes, che nel 1576 fu pubblicato da Plantin, insieme a una riedizione dell'opera prima, in un'edizione assai curata accompagnata da quasi 1500 xilografie, sotto il titolo Plantarum seu stirpium historia (nel cui frontespizio compare solo il nome di l'Obel). Nel 1581 seguì la versione in fiammingo, con il titolo Krydtboeck. Queste vicende mi sembrano confermare il ruolo secondario di Pena nella redazione di Stirpium adversaria nova: se davvero fosse stato un botanico così geniale e innovativo, come mai non si è più occupato di botanica? se avesse scritto gran parte di quell'opera, non avrebbe in qualche modo reagito al tentativo di l'Obel di appropriarsene?
Che almeno il sistema tassonomico basato sull'osservazione delle foglie si debba a l'Obel, è confermato a mio parere da un'altra impresa editoriale plantiniana. Poiché le opere di botanica illustrate avevano un grande successo di mercato, sempre nel 1581 l'editore pensò di pubblicare in un solo volume più di 2000 xilografie ricavate dalle opere di Dodoens, Clusius e l'Obel; la redazione venne affidata a quest'ultimo che riorganizzò le illustrazioni disponendo le piante secondo la sua classificazione e corredò ciascuna tavola con un nome polinomio e un rimando alla pagina relativa di Plantarum seu stirpium historia; in una successiva edizione, fu aggiunto un indice in sette lingue che rese l'opera fruibile agli studenti di botanica dei principali paesi europei. Il volume, pubblicato con il titolo Icones stirpium, fu senza dubbio un grande successo editoriale, oltre che l'opera più nota di l'Obel, e nonteleki mancò di influenzare Linneo, che lo cita ripetutamente.
Dopo essere stato per qualche anno medico di Guglielmo il taciturno a Delft, l'Obel forse alla fine degli anni '80 ritornò in Inghilterra dove entrò al servizio di lord Zouche come curatore del giardino di Hackney, nei pressi di Londra, allora il più importante del paese, che univa alle funzioni di orto botanico quello di giardino di piacere. Nominato più tardi giardiniere del re Giacomo I (un incarico del tutto onorifico), egli sarebbe rimasto in Inghilterra fino alla morte (1616), esercitando un essenziale ruolo di intermediazione tra la botanica continentale, più avanzata sul piano teorico, e la più empirica botanica inglese. Inizialmente amico del più noto botanico inglese di fine Cinquecento, John Gerard, nel 1596 scrisse la prefazione della sua prima opera, Catalogue of Plants. L'amicizia si ruppe quando l’anno dopo, riscontrando il Great Herball dell'inglese, l'Obel individuò non solo più di mille errori, ma ampi plagi delle sue stesse opere.
Due generi per due botanici
Se Pena, al contrario di l'Obel, è stato quasi dimenticato, almeno sul versante della nomenclatura botanica i due amici hanno avuto diritto a pari onori: non solo ad entrambi è stato dedicato un genere, ma l'uno e l'altro hanno avuto la ventura di tenere a battesimo un'intera famiglia.
Non stupisce che l'omaggio sia partito in primo luogo da Plumier, egli stesso provenzale (è anche una delle nostre poche fonti sulla vita di Pena), che nel suo Nova plantarum americanarum genera onorò i due amici con i generi Penaea e icones; nessuno dei due corrisponde però ai generi attuali: la Penaea di Plumier è una Polygala e la sua Lobelia venne rinominata Scaevola da Linneo. Infatti lo scienziato svedese in Species plantarum (1753) preferì conservare le due denominazioni ma le attribuì ad altre piante.
Penaea dà il nome alla piccolissima famiglia delle Peneaceae, che comprende solo sette generi e una ventina di specie, limitate alle aree meridionali e sudorientali della provincia del Capo in Sud Africa. Sono arbustini caratteristici della tipica formazione vegetale del fynbos, affine alla nostra macchia mediterranea, con piante adattate a condizioni semiaride con piogge invernali. Il genere Penaea comprende quattro specie: P. mucronata, P. cneroum, P. acutifolia, P. dahlgreenii; sono piccoli arbusti con fusti quadrangolari e foglie coriacee, alternate o opposte, e infiorescenze terminali di piccoli fiori poco vistosi, con tubo fuso e quattro lobi più o meno appuntiti, gialli, rossastri o bianchi. Non avendo particolare pregio estetico, non sono stati finora introdotti in coltivazione.
Tutto il contrario della notissima e diffusissima Lobelia erinus, la più coltivata delle Lobeliae, fin troppo sfruttata in giardini e fioriere. Il genere Lobelia, assegnato ora alla famiglia Campanulaceae, ora a una famiglia propria (Lobeliaceae) è presente in tutti i continenti, tranne l'Antartide; comprende più di 400 specie, che stupiscono per la grande varietà di forme e dimensioni: si va dalle erbacee annuali alle perenni, incluse alcune palustri, agli arbusti. Al di là delle enormi differenze di aspetto generale, di portamento, di rusticità, tutte sono accomunate dalle foglie lanceolate e dai fiori tubolari bilabiati, spesso con fioriture spettacolari e prolungate dai colori vibranti, che le hanno rese popolari nei giardini.
Le più note sono senza dubbio l'erbacea L. erinus, una perenne di origine sudafricana che noi coltiviamo come annuale nelle aiuole e sui balconi, e le grandi perenni rustiche nordamericane, la rossa L. cardinalis e l'azzurra L. siphilitica, entrambe a loro agio sui bordi dei laghetti. ?Ma accanto ad esse ci sono le sorprendenti Lobeliae arbustive del Sud America e dell'Asia orientale, come L. tupa; e le ancor più stupefacenti Lobeliae giganti dell'Africa e dell'arcipelago delle Hawaii. Qui, dove sono arrivate circa 13 milioni di anni fa forse dall'Asia, forse dall'America meridionale, grazie al clima favorevole e al fertile suolo, si sono rese protagoniste di un'eccezionale differenziazione genetica, grazie alla quale le Lobelioideae sono divenute il gruppo di angiosperme dominanti nelle isole, con sei generi (Lobelia e cinque generi endemici) e 125 specie endemiche.
Bibliografia
P. Pena, M. de l'Obel, Stirpium adversaria nova, Londini : Excudebat prelum Thomae Purfoetii ad Lucretiae symbolum 1571
M. de l'Obel, Plantarum seu Stirpium Historia. Cui annexum est adversariorum volumen, Antwerpiae : Plantin 1576
M. de l'Obel, Icones stirpium, seu plantarum tam exoticarum, quam indigenarum, Anvers: Ex officina Plantiana, Apud Viduam et Ioannem Moretum, 1591
A. Louis, Mathieu de l'Obel, 1538-1616 : épisode de l'histoire de la botanique, Gand-Louvain, Story-Scientia, 1980
E.L. Greene, Landmarks of Botanical History, Stanford, Stanford University Press, 1983
L. Legré, Pierre Pena et Mathias de Lobel, Marseille, H. Aubertin & G. Rolle, 1899
E. Morren, Mathias de L'Obel, sa vie et ses oeuvres; 1538-1616, Liége, Bovery, 1871
A. Pavord, The naming of names, New York, Bloombsbury USA 2005?