Medici e pazienti: un rapporto difficile
Luciano Luciani
Prima non passava settimana che le cronache nazionali non riportassero la notizia di pesanti aggressioni ai medici e agli infermieri nelle corsie o nel pronto soccorso degli ospedali o addirittura sulle ambulanze, al punto da dover ricorrere a veri e propri presidi delle forze dell’ordine. Poi è arrivata la stagione del contagio Covid-19 ed ecco farsi strada la narrazione, giusta per carità ma svolta come al solito in maniera un po’ retorica, dei medici eroi: noi, col Poeta, in direzione ostinata e contraria, continuiamo a pensare “beato quel popolo che non ha bisogno di eroi”. E comunque, per dirla tutta e vera, non possiamo negare che una larga corrente di diffidenza, se non di vera e propria disistima, percorra da sempre la storia dei rapporti tra pazienti e medici. Non si contano nei proverbi e nei modi di dire propri della cultura popolare le espressioni di questo malanimo. Il romanesco “Il medico è come il boia, se paga pe’ esse’ ammazzati” mette il dito nella piaga: i professionisti dell’arte sanitaria sono accusati innanzitutto di essere venali, come d’altra parte ammette la stessa Scuola Medica Salernitana (XI sec.): “Segua il medico questa regola professionale: dica: paga, paga! quando il malato esclama ahi, ahi!” Una diffidenza nutrita di sfiducia che nella letteratura giunge sino al Novecento; è il poeta crepuscolare Guido Gozzano che definisce i medici riuniti a consulto della sua tisi “vecchi saputi” e delle loro diagnosi, aggiunge il poeta “Sorriderei quasi, se dopo non fosse mestieri pagarli.”
E bastasse tirare fuori dei quattrini… Perché non di rado i terapeuti sono così inetti e incapaci da giustificare il popolare e proverbiale “medico di Valenza, larghe falde e poca scienza”. È l’ignoranza che connota i medici: al punto da muovere l’indignazione di Leonardo da Vinci (1452 – 1519), secondo il quale essi non sono altro che “i distruttori della vita”, mentre per il filosofo tedesco Gottfried Leibniz (1646 – 1716) “un grande medico uccide più gente di un grande generale”. Neppure il celebre commediografo e attore francese Moliere (1622 – 1673) risparmia strali ai professionisti della salute: “Ne deve aver ammazzata di gente per essere diventato così ricco”. D’altronde non circola un po’ dappertutto la battuta per la quale “gli errori dei medici li nasconde la terra”? E ricordo che a Roma l’appellativo di “dottor Spiccialetti” è da sempre affibbiato a quei medici un po’ troppo solerti nel liberare posti in corsia e certo non per le loro abilità diagnostiche e terapeutiche. E se ci si pensa bene poi, il famoso detto “Dove entra il sole non entra il medico” - che corrisponde al latino “Medicus curat, Natura sanat” - non esalta solo le virtù curative della Natura, ma finisce per azzerare quasi tremila anni di pratica medica. Insomma, sempre per seguire un antico adagio popolare “Se vuoi viver lieto e sano / dai dottori sta’ lontano.” In fondo, come scrive, questa volta con una certa delicatezza, l’autore del Satyricon, Petronio (27 – 66), il misterioso prosatore di età neroniana,”Medicus nihil aliud est quam animi consolatio”: Il medico non è altro che una consolazione dell’animo. Insomma, un effetto placebo.
Un millennio e mezzo più tardi, sempre a Roma, non sono stati fatti significativi passi in avanti nella considerazione dei medici da parte del popolo: così, accanto al medico condotto o al chirurgo, detto anche cerusico, troviamo il medico “da borsa”, quello cioè che è capace solo di spremere i suoi pazienti; quello “da cavalli”, solito a prescrivere cure gagliarde ma spesso letali; il medico “da succiole”, ignorante e inetto che vale poco o nulla: come le castagne bollite che i ragazzini romani erano usi succhiare senza nemmeno sgusciarle. Ed è Giuseppe Gioacchino Belli (1791 – 1863), il cantore ottocentesco della plebe romana, a estendere a tutto il sistema sanitario del suo tempo l’inveterata sfiducia popolare verso i medici e la medicina: “nun sai c’a lo spedale ce se more?”