Lettera aperta
16 giugno 2020
Patrizia Bettini, Giancarlo Cerini, Sergio Cicatelli, Franca Da Re, Italo Fiorin, Gisella Langé, Franco Lorenzoni, Daniela Marrocchi, Elisabetta Nigris, Carlo Petracca, Franca Rossi, Maria Rosa Silvestro, Rosetta Zan
RIPARTIRE CON LA SCUOLA DI BASE
1 – PENSARE IN GRANDE, PER SETTEMBRE E OLTRE
Nelle ultime settimane si sono succeduti gli interventi e le prese di posizione della politica, dell’opinione pubblica, degli operatori scolastici e dei cittadini, sul tema della riapertura delle scuole. I documenti degli esperti che sono stati chiamati a offrire consulenza al Ministro hanno adombrato soluzioni diverse, dal reperimento di spazi aggiuntivi, alla riduzione della numerosità dei gruppi per consentire un congruo distanziamento fisico, agli ingressi scaglionati, alla didattica mista presenza/distanza, fino alla riduzione del tempo scuola.
Indubbiamente la riapertura richiede di reperire soluzioni immediate, da collegare ai diversi scenari epidemiologici in evoluzione, inerenti gli aspetti strutturali e organizzativi, ma è sulle pratiche pedagogiche che noi vorremmo invece centrare l’attenzione, non solo per il breve periodo, ma soprattutto oltre l’emergenza, affinché dall’esperienza della scuola al tempo della pandemia si tragga insegnamento. Soprattutto su questa scommessa le riflessioni che seguono intendono aprire un sentiero e un dibattito tra il personale della scuola, tra i decisori politici e nell’opinione pubblica.
L’educazione, bene prezioso
Ci piace iniziare il documento sulla piena ripresa del servizio scolastico a settembre con la stessa frase utilizzata dai responsabili dalla scuola francese in queste settimane: “l’educazione dei nostri ragazzi è il bene più prezioso della nazione” e dunque il futuro della scuola è una questione primaria per la Repubblica. Se poi ci rivolgiamo, come intendiamo fare in questo documento, alla scuola di base italiana, quella descritta nelle Indicazioni nazionali (2012), l’affermazione diventa ancora più impegnativa, perché la formazione dei futuri cittadini tra i 3 e i 14 anni (ed oggi dovremmo dire a partire dall’esperienza dei nidi d’infanzia fino a comprendere il biennio di obbligo fino ai 16 anni), rappresenta una svolta decisiva per immaginare il paese che avremo nei prossimi 5-10 anni.
La sfida inedita e inaspettata del Covid-19 ci mette a dura prova. Certo, alla fine “andrà tutto bene”, come hanno scritto e disegnato i nostri allievi, ma gli scenari sociali, lavorativi, economici, personali restano assai precari e sono destinati ad accompagnarci nei prossimi anni. I debiti che stiamo contraendo in questi mesi sono altrettanti oneri sulle spalle delle nuove generazioni, quelle che frequenteranno nei prossimi anni le nostre scuole: hanno il diritto ad avere una formazione di qualità e noi abbiamo il dovere di garantire questo diritto.
Le risorse, con generosità
Almeno il 20% di tutte le risorse straordinarie messe a disposizione dei bilanci (europeo, nazionale, locale) dovrebbero essere, secondo noi, destinate alla istruzione pubblica se si vuole realmente assicurare alle future generazioni la qualità della loro formazione da cui discende, nei prossimi anni, lo sviluppo economico e sociale del Paese. Non si tratta di una richiesta esosa o irrealistica, se si considera che l’Italia destina all’istruzione solo il 6,9% della spesa pubblica e si colloca incredibilmente da più anni all’ultimo posto, fra i 37 paesi dell’Ocse. Sono quanto mai sorprendenti le comparazioni: USA (11,4%), Gran Bretagna (12,2%), Messico (16,4%), Cile (17,4%), Israele (12,9%).
Questa premessa, per ricordarci che non basterà ripristinare a settembre ciò che non è potuto accadere nella primavera di quest’anno, cioè la regolarità delle lezioni scolastiche. Non è solo questo che serve per i prossimi dieci o vent’anni. Se si vuole una “ripartenza storica” della scuola è questo il momento di investire adeguate risorse finanziarie sul sistema educativo, altrimenti saranno vanificate tutte le proposte, le aspettative e le soluzioni che da più parti in questo momento vengono avanzate. Vogliamo prendere sul serio questo impegno. Lo deve assumere la nostra comunità nazionale.
2 – UN CURRICOLO ESSENZIALE, MA AVVINCENTE
I saperi che contano
La scuola del futuro richiede una profonda riflessione sugli orientamenti curricolari. L’esigenza di perseguire i saperi indispensabili in una stagione di ampia disponibilità di conoscenze, la necessità di riscoprire il valore della collaborazione e della coesione tra le persone, l’urgenza di assicurare la sostenibilità ambientale e sociale, sono fattori che ci invitano a ripensare le finalità dei curricoli scolastici, per meglio definire il perimetro della proposta educativa.
In questa ottica le Indicazioni nazionali (2012) offrono chiavi interpretative ancora attuali, riassumibili nella prospettiva del “nuovo umanesimo”, dell’educazione ad una cittadinanza responsabile, dell’equilibrio tra cultura tecnico-scientifica e cultura umanistica. Questi temi sono stati poi rilanciati nel documento “Indicazioni nazionali e nuovi scenari” (2018), che prospettano sfide di rilievo per l’istruzione di base.
Non si può ignorare l’Agenda 2030, che rappresenta uno scenario di riferimento ineludibile per il prossimo decennio. L’educazione alla cittadinanza (oggetto anche di un recente intervento legislativo: legge 20-8-2019, n. 92) diventa occasione per approfondire il valore etico della conoscenza, per fare dialogare le diverse discipline e si traduce in uno sfondo integratore che dà senso all’insegnare e all’apprendere di oggi e di domani.
Occorre, quindi, saper cogliere meglio i nuovi bisogni formativi espressi dalla società e dai giovani di oggi.
Che cosa inserire nel curricolo di base?
I temi generali prima ricordati guidano il rinnovamento curricolare, insieme ad aspetti che hanno maggiore specificità. La scuola di base è fortemente impegnata nello sviluppo dell’alfabetizzazione funzionale delle nuove generazioni; nel farlo con metodologie efficaci e coinvolgenti promuove una indispensabile funzione di alfabetizzazione culturale e sociale. Le conseguenze per il curricolo sono evidenti: occorre abbandonare una visione enciclopedica delle discipline di studio e inoltrarsi verso un curricolo essenziale che metta al centro i contenuti e gli strumenti fondamentali del conoscere, che promuova processi e metodi per l’apprendimento, che sviluppi competenze per la vita.
Delineare un curricolo essenziale non significa fare “meno” scuola, ma andare più in profondità, utilizzando meglio tempi e spazi disponibili. La revisione del curricolo richiede anche di espandere la proposta educativa nelle esperienze fuori della scuola, nel contatto con i beni culturali e ambientali di ogni comunità, nelle occasioni di incontro e conoscenza attraverso le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie.
Una scuola per l’inclusione
Nel ripensare i curricoli scolastici non si può ignorare quanto è successo nei mesi del confinamento domestico: più della metà di bambini e ragazzi portatori di disabilità sono rimasti isolati, privi di ogni connessione, spesso mettendo in gravi difficoltà le famiglie. Sono stati dunque particolarmente penalizzati, perché privati dell’incontro quotidiano con i compagni ed esclusi da ogni stimolo culturale e didattico. Sono state tuttavia attivate numerose e molteplici azioni virtuose in cui gli insegnanti, talvolta in collaborazione con operatori sociali o servizi presenti nel territorio, hanno individuato modalità efficaci non solo per assicurare il loro diritto allo studio, ma anche per mantenere contatti vitali e significativi con il gruppo classe e l’insieme dei docenti.
È da queste pratiche di inclusione, capaci di ricalibrare proposte didattiche personalizzate, intrecciandole e armonizzandole con le attività dell’intera classe, che si deve ripartire, ribadendo ancora una volta che l’insegnante di sostegno deve essere considerato sempre come insegnante dell’intera classe. La strada maestra per un’inclusione efficace consiste nel lavorare sul contesto: è l’intero gruppo docente che deve farsi carico e collaborare attivamente perché nessun alunno sia lasciato indietro.
3 – UNA DIDATTICA DELL’IMPREVISTO?
Ritornare alle competenze
La situazione di emergenza e l’esperienza della Didattica a Distanza (DAD) hanno portato alla luce la varietà di approcci, anche virtuosi, dei docenti, ma hanno anche messo in risalto alcune contraddizioni rispetto alle Indicazioni Nazionali, come il richiamo a un ‘programma’ da completare, o un’idea riduttiva di valutazione.
Abbiamo constatato che la didattica a distanza, pur tra i tanti meriti, ha enfatizzato la trasmissione di conoscenze e l’insegnamento tradizionale, ha sostituito la lezione ex cathedra con la lezione
online. Abbiamo anche rilevato in alcuni casi un carico eccessivo di compiti sotto l’ansia di non finire il programma e la preoccupazione di restare indietro. Ci siamo accorti che la didattica per competenze paradossalmente spesso non ha trovato spazio nella DAD.
Abbiamo anche dovuto constatare che in molti casi si sono riversate sulla DAD le carenze della didattica in presenza, che la distanza ha amplificato e appalesato. I docenti che già ordinariamente proponevano ai loro alunni percorsi attivi, collaborativi, di scoperta, si sono ingegnati di farlo anche nell’emergenza, sovente con esiti felici, che inducono a riflettere sull’opportunità di fare tesoro di questo patrimonio di creatività anche per il futuro.
Rinnovare la didattica
Da questa constatazione deriva la necessità di realizzare una profonda revisione non solo del curricolo, ma anche e soprattutto di promuovere una profonda innovazione della didattica ossia del fare scuola di ogni giorno. Una innovazione che si incardini fortemente sui seguenti principi:
a. perseguire la qualità dell’insegnamento non attraverso l’esaustività, bensì la profondità dei contenuti proposti all’apprendimento degli allievi;
b. aumentare non solo il “bagaglio conoscitivo” (la testa piena) quanto piuttosto il “potenziale conoscitivo” (la testa ben fatta) ossia la capacità di conoscere in modo autonomo e consapevole;
c. insistere non solo sulle conoscenze dichiarative, ma anche su quelle procedurali e immaginative che sviluppano rispettivamente metodologie plurime di accesso ai saperi e di transfer creativo degli stessi;
d. problematizzare l’insegnamento nella consapevolezza che la conoscenza si genera da un interrogativo da cui muove la ricerca motivante della risposta;
e. contestualizzare l’apprendimento attraverso le testimonianze presenti nel territorio, nella
comunità di appartenenza e nella sfera emotiva e affettiva degli alunni;
f. sviluppare il pensiero divergente come risposta alla dinamicità dei saperi e della stessa società che richiede continui cambiamenti;
g. curare la padronanza del linguaggio, strumento essenziale nella sovrabbondanza delle conoscenze e nello sviluppo del pensiero;
h. incentivare i processi di autonoma ricerca e organizzazione delle conoscenze affinché gli alunni imparino ad imparare.
i. promuovere esperienze di cittadinanza attiva, che responsabilizzino gli alunni a partecipare alla vita della comunità, prendendosi cura del bene comune.
Promuovere la valutazione formativa
Ci siamo anche resi conto in questo periodo di emergenza che la valutazione tende ad accertare la quantità di conoscenze di cui l’alunno si è impossessato e che tale accertamento si traduce, come richiesto dalla normativa, nell’assegnazione di un voto. La valutazione è inevitabile nelle azioni umane come nell’apprendimento, ma è importante che sia prima di tutto una valutazione formativa e proattiva. Una valutazione che fornisca all’alunno informazioni sul suo processo di apprendimento; che indichi gli aspetti da migliorare e le modalità per ottenere il miglioramento; che motivi l’alunno ad apprendere attraverso l’apprezzamento dei progressi effettuati, anche se
piccoli; che incoraggi l’autovalutazione e che, infine, si trasformi in una indicazione dei livelli di apprendimento raggiunti. A questi principi deve ispirarsi anche la sostituzione dei voti con i giudizi sintetici, previsti dalla legge n. 41 del 6 giugno 2020. Si tratta di un’operazione importante e complessa nello stesso tempo che non può essere risolta con il mero passaggio da una modalità all’altra quanto piuttosto con il coinvolgimento delle scuole nella elaborazione e "messa in prova" dei nuovi strumenti attraverso un’innovazione guidata che conduca anche alla elaborazione di una nuova cultura della valutazione, quanto mai necessaria nella scuola del futuro e non solo della scuola prima
4 – L’EDUCAZIONE DIFFUSA
I saperi per una cittadinanza consapevole
L’esperienza della DAD ha messo anche in evidenza i limiti di una scuola autoreferenziale, che non sempre sa dialogare con la società e che spesso si chiude rispetto alle tante risorse socioeducative, culturali, scientifiche che il territorio mette a disposizione (musei, biblioteche, parchi, aree di patrimonio culturale, centri di aggregazione sociale …).
La ripartenza a settembre costituisce perciò una grande occasione per ripensare a lungo termine la scuola e il suo mandato, sia per quanto riguarda la predisposizione e utilizzo di spazi fisici che possono costituire ambienti di apprendimento idonei allo sviluppo di abilità e competenze differenziate, sia rispetto alla progettazione di un curricolo multidimensionale. La città può trasformarsi in una comunità educante e educativa, in cui gli allievi si aprono al mondo e vengono accompagnati alla conoscenza della realtà che li circonda (come chiaramente suggeriscono i Nuovi Scenari delle Indicazioni Nazionali, MIUR 2018). Inoltre, in questo modo gli alunni potranno concentrarsi sul significato che le attività scolastiche possono assumere nella loro esperienza personale e nel loro contesto culturale.
La città educativa
La scuola che pensiamo per il futuro, per gli anni oltre la prossima ripartenza, non può sottrarsi a considerare – in coerenza con le esperienze più avanzate in ambito internazionale - la città come aula didattica decentrata in cui il curricolo può essere pensato come un continuum dentro e fuori le mura scolastiche, in cui dare corpo all’integrazione fra saperi informali (acquisiti in ambiti informali e non formali) e saperi formali (sviluppati nel contesto scolastico) che è garante di un apprendimento significativo e duraturo.
Sia le attività in classe che quelle svolte fuori dalla scuola faranno riferimento a tutti i campi di esperienza/ambiti disciplinari, evitando il rischio di gerarchizzazioni erronee fra attività che per brevità definiremo prevalentemente “cognitive” da un lato e attività motorie/espressive dall’altro. Alcune attività potranno essere uguali per tutti i ragazzi di una stessa classe, alcune invece potranno essere opzionali o differenziate a seconda degli interessi personali (come in molti paesi europei), dei piani individualizzati, ma anche delle risorse presenti sul territorio.
5 – L’EDILIZIA SCOLASTICA: UN “PONTE” TRA LE GENERAZIONI
Un patrimonio da ricostruire e curare … a lungo termine
Il rinnovamento a lungo termine dell’azione educativa e didattica discende dalla ricerca teorica delle idee e dei principi innovativi, ma non può prescindere dalle condizioni strutturali e organizzative in cui le azioni si svolgono. Esiste una “pedagogia del contesto” come contenitore della “pedagogia pensata”. In quale contesto strutturale oggi le nostre scuole agiscono? Come ci dicono da troppi anni le indagini governative e non governative sullo stato di salute delle nostre scuole, la situazione è al limite dell’emergenza: edifici troppo datati, patrimonio invecchiato e bisognoso di radicali trasformazioni, tipologie architettoniche per lo più legate ad una idea ottocentesca di istruzione, scarsità di servizi accessori (mense, spazi verdi, laboratori, palestre), norme di sicurezza spesso disattese, questioni non risolte di responsabilità e competenze.
È necessario un impegno pluriennale consistente per rinnovare il nostro parco scuole.
Un habitat educativo
Le ragioni dell’emergenza e della sicurezza non devono comunque offuscare l’esigenza di un rinnovamento radicale delle architetture scolastiche del nostro paese, coerenti con l’idea di benessere formativo, di innovazione didattica, di qualità delle relazioni educative. Vorremmo una scuola dove tutti i soggetti coinvolti sentono di poter abitare, perché la vita della scuola non è solo preparazione per il futuro, ma è soprattutto “qui e ora”. I bambini trascorrono gran parte della loro esistenza a scuola e la scuola è in un certo senso un loro habitat.
Occuparsi della scuola come habitat significa occuparsi della qualità delle esperienze che vi vengono fatte, vuol dire accogliere i bambini come persone nella loro unità mente-corpo- affettività, significa riconoscere e promuovere la dignità di ognuno in ogni momento. Vorremmo spazi in cui i bambini e i ragazzi possano abitare con il loro corpo e le loro menti, ma anche dove si stimoli lo spirito esplorativo e di sperimentazione. Gli spazi dovranno essere pensati in modo da essere duttili, componibili e multifunzionali per potersi adattare meglio agli itinerari didattici che si andranno a delineare con i diversi gruppi di apprendimento dentro e fuori la scuola.
Un patrimonio da ampliare … a breve termine
Pensare al futuro non significa ignorare il presente. Negli scenari che si prospettano per settembre diventano urgenti la ricognizione sincera di tutti gli spazi ora disponibili negli edifici attuali, la loro piena funzionalizzazione, interventi di edilizia leggera in spazi adiacenti e/o limitrofi all’edificio scolastico (creazione di tensostrutture, locali realizzati con materiali rimovibili, come è stato fatto in occasione dei recenti terremoti), il reperimento di spazi disponibili nelle città. Comuni e Province (in genere) sanno bene quello che c’è da fare e che si può fare: devono essere messi nelle condizioni di poterlo fare, con procedure semplificate e sicurezza di investimenti. Ma serve anche – è necessario ribadirlo - un progetto a lungo termine per ripensare gli spazi delle scuole perché le nuove generazioni possano vivere in ambienti decorosi, pensati per loro, funzionali allo sviluppo armonico dei talenti, alla cooperazione, al laboratorio.
Uno spazio “sicuro” con gli scenari possibili
I comitati di esperti dovranno essere molto espliciti nel prefigurare gli spazi necessari per accogliere con sicurezza gli allievi, gli insegnanti, il personale. È auspicabile che gli esperti prendano in considerazione scenari variabili per quanto riguarda sia l’evoluzione dell’epidemia, sia la sua distribuzione nel territorio.
In presenza di una fausta evoluzione del contagio, oppure nelle zone a bassa incidenza dello stesso, potrebbe essere sufficiente agire prudenzialmente sul numero delle classi troppo affollate, riportandole alla media nazionale (la media nazionale, comunque, si assesta sui 19,06 allievi per classe di scuola primaria, 21,3 per la scuola dell’infanzia, 20,9 per la scuola secondaria di primo grado)1. Ciò consentirebbe di mantenere il tempo scuola ordinario con presumibili incrementi contenuti di organico.
Se si dovessero verificare, invece, situazioni che richiederanno vigilanza, attenzione e la necessità di mantenere il distanziamento, senza comunque interrompere le attività, sarebbe necessario istituire ovunque gruppi di apprendimento ridotti. Ciò comporterebbe la necessità del reperimento di spazi alternativi e di incremento sensibile di organico all’infanzia e nel primo ciclo e una probabile riduzione del tempo scuola e forme miste di presenza/distanza nel secondo ciclo.
Nel caso più infausto di necessità di chiusura totale, magari temporanea e intermittente, sarebbe necessario avere a disposizione con tempestività assistenti familiari, mediatori culturali, diffusione capillare di dispositivi digitali ed efficienza delle connessioni.
5. L’ORGANIZZAZIONE DELLA SCUOLA DI BASE
Dalla classe ai gruppi di apprendimento
Le esigenze straordinarie dei prossimi mesi, se legate al mantenimento del distanziamento fisico, ci invitano a riscoprire il valore di una organizzazione didattica più flessibile, che faccia riferimento all’idea di gruppi di apprendimento di piccole dimensioni (intorno ai 10-12 unità). Tale soluzione consente di dedicare un’attenzione specifica ai bisogni degli alunni, ai loro stili di apprendimento, alle esigenze di personalizzazione dei percorsi e, dunque, una migliore cura del loro apprendimento.
E’ evidente che questa misura richiede un temporaneo ampliamento di personale da realizzare in primis attraverso la piena utilizzazione di tutti i docenti a disposizione della scuola (organico curricolare, organico di sostegno, organico di potenziamento, cui si aggiungono anche specialisti per la scuola primaria) secondo una logica di team teaching, auspicabile anche per la scuola secondaria di primo grado mediante una diversa configurazione delle cattedre e l’integrazione di alcuni percorsi disciplinari.
In secondo luogo, è inevitabile fare ricorso a supplenze temporanee che restano in vita solo per il periodo necessario. Non è da escludere, inoltre, il ricorso a personale educativo, esperti, tuto
1 Focus “Principali dati della scuola – Avvio Anno Scolastico 2019/2020”, MIUR,
2020.pdf/5c4e6cc5-5df1-7bb1-2131-884daf008088?version=1.0&t=1570015597058
operatori del terzo settore, opportunamente qualificati e tutelati sul piano delle responsabilità “in vigilando”.
È auspicabile, comunque, in questo settore evitare disposizioni e orientamenti di dettaglio e, invece, rimettere alle scuole, nel loro pieno esercizio dell’autonomia organizzativa e didattica, la facoltà di reperire soluzioni adeguate al contesto e di trovare le giuste integrazioni tra docenti titolari, specialisti, docenti di sostegno e supplenti in modo da assicurare una equilibrata alternanza nei gruppi di apprendimento.
Al di là dell’emergenza, una organizzazione del gruppo classe come quella prefigurata, del resto alla primaria già da molto tempo possibile dal punto di vista normativo e organizzativo, consentirebbe una virtuosa pluralità di proposte possibili per l’individualizzazione, il recupero e il potenziamento.
Tempo per vivere, tempo per apprendere
L’organizzazione del tempo scuola in Italia, se paragonata a quella di altri Paesi, presenta varie criticità, non tanto per la sua quantità, quanto per la sua distribuzione nell’arco della giornata, della settimana, dell’anno scolastico. Si stenta a percepire un tempo disteso, in funzione dell’apprendimento, o una giornata educativa, in funzione della successione equilibrata di momenti di relazione, di impegno, di socialità. Spesso i modelli organizzativi, in balia delle pressanti richieste di genitori, di enti locali, di insegnanti, optano per tempi compressi, generalmente antimeridiani, molto lontani da una corretta considerazione ergonomica.
Ora, le esigenze di “economizzare” i tempi di presenza a scuola degli allievi, se non ben controllate, rischiano di rendere ancora più critica questa situazione. Tra l’altro, circa il 42% degli allievi frequenta il tempo pieno nella scuola primaria; quasi l’83% il tempo antimeridiano e pomeridiano nella scuola dell’infanzia statale, il 13% il tempo prolungato nella scuola secondaria di primo grado (dati MIUR 2019)2. È necessario salvaguardare una corretta distribuzione del tempo scuola come tempo di cura, di accoglienza, di studio, offrendo una giornata educativa “integrata”, con la fruizione del pasto a scuola, momenti di attività sociale, sviluppo di esperienze opzionali e a scelta dei ragazzi.
Nell’immediato, occorre in ogni modo evitare una riduzione del tempo scuola fruibile dai ragazzi delle scuole di base (la didattica a distanza mostra dei limiti per queste età), così come occorre evitare il ricorso dei doppi turni. Già in questo periodo di pandemia gli allievi sono stati costretti a un tempo scuola ridotto, pensare di ridurre ancora per il prossimo anno l’ora di lezione o l’orario settimanale significherebbe protrarre un periodo di “povertà educativa” che verrà a vanificare persino la realizzazione del Piano di Apprendimento Individualizzato e del Piano Integrato degli Apprendimenti, pur richiesti dalla legge n. 41 del 6 giugno 2020.
2 Le iscrizioni al primo anno dei percorsi di istruzione e formazione Anno Scolastico 2019/2020, MIUR, Giugno 2019 https://www.miur.gov.it/documents/20182/2155736/Le+iscrizioni+al+primo+anno+dei+percorsi+di+istruzione+e+for mazione.pdf/38d3ba49-1d5d-fda5-c282-3efec2f1695d?version=1.1&t=1561644835282
6 – LA GOVERNANCE DELLA SCUOLA E NEL TERRITORIO: DUE COMUNITA’ IN DIALOGO
Un’alleanza con il territorio
La situazione di emergenza che ci accompagnerà nei prossimi mesi richiede uno sforzo congiunto di tutta la comunità scolastica, in un rapporto di piena collaborazione con le comunità locali. Appositi protocolli o patti educativi vanno sottoscritti tra la scuola e le diverse rappresentanze del territorio, sia istituzionali che associative, per la comune definizione di interventi e di competenze integrate.
All’interno della scuola, la situazione di emergenza richiede uno straordinario spirito di solidarietà tra tutte le componenti, in una ottica di piena cooperazione, di sviluppo di lavoro collaborativo, attraverso una organizzazione che scopra il valore funzionale dei gruppi di lavoro, dei responsabili di aree o progetti, delle figure di staff. La nuova situazione mette in risalto la funzione di leadership educativa del dirigente scolastico, chiamato ad orientare la propria comunità, a rassicurare gli operatori (sul piano della sicurezza, della responsabilità, della “tenuta” del sistema), a valorizzare al meglio ogni professionalità. Non si tratta di rafforzare le linee di comando di fronte al pericolo esterno, ma di costruire una vera comunità educativa e professionale.
Un “cantiere didattico” dentro la scuola
Bisogna assumere la consapevolezza che non sarà possibile rinviare a settembre gli impegni che solitamente sono propedeutici all’avvio del nuovo anno scolastico. In queste settimane dovrà essere prefigurata e predisposta tutta l’organizzazione educativa e didattica del nuovo anno scolastico ipotizzando modelli organizzativi flessibili che partano dall’analisi dei bisogni e delle risorse specifiche di ciascuna realtà.
Ogni scuola, pertanto, deve poter disporre di risorse significative, tempestive ed adeguate per:
a) far fronte a tutte le problematiche di sicurezza e di prevenzione;
b) arricchire le proprie dotazioni di arredi, di attrezzature, di tecnologie, di connessioni;
c) compensare il maggior lavoro che si prospetta per tutti gli operatori;
d) realizzare attività di informazione e formazione in servizio, sui protocolli sanitari e di sicurezza, sugli aspetti organizzativi e sulle innovazioni didattiche possibili.
Una formazione vera
Un’ attenzione particolare va dedicata alla formazione iniziale dei docenti e al loro sviluppo professionale continuo che, in un momento di ripensamento del modo di fare scuola, può ricevere un rinnovato stimolo e una motivazione rinvigorita. La formazione permanente dei docenti, da inserire obbligatoriamente negli impegni di servizio del personale, rappresenta la condizione indispensabile per accompagnare un processo di profondi cambiamenti come quelli che si prospettano per i prossimi anni. L'esperienza realizzata nel corso dell'introduzione delle Indicazioni nazionali (2012) si presenta come un possibile punto di riferimento per qualificare la formazione in servizio, nella direzione di:
- circolarità tra ricerca, formazione, pratica didattica, riflessività professionale;
- raccordi con le sedi scientifiche, universitarie, associative e professionali;
- attivazione di figure, esperti, tutor, espressi anche dal mondo della scuola, per garantire una supervisione professionale continua sul campo;
- valorizzazione del lavoro educativo in équipe e della cultura pedagogica espressa dalla scuola.
Una nuova cultura dell’educazione alla responsabilità
Da ultimo, ma non ultimo, è urgente porre la questione di una sorta di “scudo penale” per dirigenti scolastici e insegnanti sulla sicurezza alunni. Una didattica come quella prefigurata, con alunni che si muovono negli spazi del territorio e della scuola, deve portare con sé un atteggiamento diverso, di tutta la società, verso possibili infortuni e malattie degli allievi. Nessun docente si accollerebbe a cuor leggero la responsabilità di accompagnare i propri alunni in altri contesti extrascolastici, progettati e conformati per la normale convivenza delle persone, con la presenza delle situazioni di rischio che quotidianamente i minori affrontano con le proprie famiglie (gite domenicali all’aperto, visite a monumenti, passeggiate nel centro cittadino…) con la prospettiva di dovere rispondere di persona di fronte a eventi spesso imprevedibili, che possono accadere nonostante l’attenta vigilanza.
Nel nostro Paese, al contrario di altri, poco si riflette sulla necessità di educare precocemente, sin dalla primissima infanzia, i bambini alla responsabilità, all’autocontrollo e all’autoregolazione dei propri comportamenti, alla prefigurazione delle conseguenze dei propri atti. Si punta eccessivamente sul controllo degli adulti, sull’attenzione quasi maniacale ai possibili pericoli nel contesto, piuttosto che sull’educazione all’autonomia e alla responsabilità. Ciò ha conseguenze talvolta drammatiche, poiché l’autonomia presume proprio l’interiorizzazione dei corretti comportamenti, al di là del controllo esterno, attraverso l’assunzione di responsabilità personale.
Autonomia e responsabilità sono le dimensioni che caratterizzano l’agire competente, ma sono anche ciò che identifica le persone e i cittadini capaci di contribuire positivamente alla comunità in un contesto democratico e solidale.