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"Giulio Cesare"

 

Giulio Cesare

Sessant’anni fa. Riaprono le scuole

 

Liceale per caso. Il salto della pozzanghera

 

Luciano Luciani

 

A Roma, prima dei cambiamenti climatici, l’estate si spezzava d’improvviso, poco prima della metà di settembre, con furibondi temporali pomeridiani, brevi ma fitti di lampi e rabbiosi scrosci d’acqua che mettevano a dura prova la pazienza dei platani di via Nomentana. Tornava presto bello, il tempo, ma non era più quello di prima, magari migliore, ma diverso: più gradevole perché l’afa non ti prendeva più alla gola e la temperatura si faceva più fresca. Ti accorgevi all’improvviso che le giornate si erano irrimediabilmente accorciate. D’altra parte in casa la saggezza ciociara ci aveva sempre avvertito che “Fra le du’madonne ha da piove de prepotenza e l’acqua s’ha da risponne”. Era tempo di coprirsi di più, si avvicinavano a larghi passi i giorni della scuola e del rientro in classe. Sì, ma quale?

In quel preludio d’autunno del 1960 avevo di fronte un problema di non poca lena: la scelta del tipo di scuola superiore in cui continuare gli studi, decisione fino ad allora rimandata per via dell’esame di riparazione dall’esito incerto. Dietro quel ritardo c’era sì un calcolo scaramantico tipo “non dire gatto se non l’hai nel sacco”, ma pesavano anche non poche perplessità intorno al futuro dei miei studi e di conseguenza dell’orientamento che avrebbe preso in futuro l’intera mia esistenza. Scarse, scarsissime le informazioni e certo da casa mia non sarebbero arrivate dritte veramente utili. Ne sapevano poco i miei circa l’organizzazione degli studi nel dopoguerra: per loro era sufficiente che continuassi a studiare, qualsiasi indirizzo scegliessi, perché ora ce lo potevamo permettere. Quindi, come già era avvenuto per tutto quello che riguardava il sesso, meglio chiedere agli amici. Ne sapevano poco anche loro, ma almeno in quanto coetanei col mio stesso problema erano più coinvolti.

“Io”, ribadì sicuro Roberto, “m’iscriverò a Ragioneria. Cinque anni pallosi, ma poi, subito, un lavoro sicuro”.

Mapercaritàdiddio, pensavo, lunghe liste di numeri da sommare, sottrarre, incolonnare e poi ti ritrovi dietro lo sportello di una banca: piuttosto vado in seminario... Poi, la scuola è lontana, al Colosseo... Mi si prepara un lustro di levatacce all’alba e di rientri tardi, nel pomeriggio, quando avrei mangiato freddo e da solo. Insomma, alle mie piccole comodità ci tenevo!

Anche Francesco aveva le idee chiare e si sarebbe iscritto al vicino Liceo classico “Giulio Cesare”, forte anche dell’esperienza del fratello maggiore Antonio, brillante studente liceale. Non mi rimaneva che lo scientifico “Avogadro”, a due passi da casa ma del quale non conoscevo nessuno studente che potesse riportarmi esperienze interessanti circa i programmi, i professori, il clima complessivo di quell’Istituto dal nome strano, Avogadro? Inoltre mi preoccupava non poco quell’aggettivo “scientifico”, un territorio culturale da me sempre poco frequentato, di mala voglia e con scarso profitto. Avaro di soddisfazioni. “E poi”, argomentò Francesco, “al liceo scientifico c’è un sacco di disegno ornato e geometrico...” Oddio, oddio, oddio... Il disegno no, mai più... “ma al Classico”, chiesi,” c’è il disegno?” “Veramente, io mio fratello al ginnasio” non l’ho mai visto disegnare”. Allora aggiudicato, ho trovato la mia scuola. Non sarei mai più stato costretto a squadrare i fogli da disegno e avrei per sempre fatto a meno di righe, squadre e compassi. “E poi” aggiunsi per farmi coraggio “Giulio Cesare lo so chi è, l’ho visto al cinema (era vero! Con un enfatico Marlon Brando nella parte di Marco Antonio), quell’altro, quello che dà il nome allo scientifico, mi dici chiccazzè? “Ma c’è da studiare il greco antico” ribattè Francesco, poco disposto a rinunciare al ruolo “der mejo fico der bigonzo”. “Meglio il greco antico, meglio l’ebraico, meglio i geroglifici egiziani o il cinese mandarino del disegno” fu la mia risposta già degna del sentire di un antico stoico romano.

Un recente temporale rompi-estate aveva lasciato nel cortilotto condominiale una vasta pozzanghera limacciosa che occupava un largo tratto dell’area di solito destinata a furiose e interminabili partite di pallone. Se riesco a saltarla, mi dissi, mi iscrivo al classico, altrimenti chissà... Né troppo lunga, né troppo corta presi la giusta rincorsa, balzai e mi staccai da terra con inusitata leggerezza. Sotto i piedi vidi scorrermi come in un sogno, come in un film, tutta quell’acqua lutulenta. Volai lieve e senza sforzo mi ritrovai dall’altra parte. Coi piedi asciutti.

Era fatta. E accadde così che fui prima ginnasiale, poi liceale. Con tutto il bene e il male che ne sarebbero seguiti.

Ma questa è tutta un’altra storia.

 

Luciano Luciani

 

 

 

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