L’eleganza del monotremo
Riccardo Spedito (*)
La fauna australiana è ben conosciuta nel mondo per tutte le sue particolarità adattative. I marsupiali sono uno degli esempi più lampanti di come l’evoluzione endemica australiana sia sorprendentemente peculiare. Comunemente si tende ad associare la fauna del continente alla stranezza e all’eccezione, come se un canguro, un emù o un ornitorinco siano eccezioni evolutive e dunque vadano più o meno isolati dal resto del regno animale.
In questo elaborato si cercherà di scardinare l’idea per la quale ogni organismo debba per forza aderire al sistema evolutivo tradizionale. Senza rompere il nocciolo teorico del darwinismo, in quanto «non esistono “teorie dell’evoluzione” al plurale1, si cercherà di notare i limiti della teoria neodarwiniana classica. Questa, infatti, si basa principalmente sulla selezione naturale vista come unico agente implicato nell’adattamento. Nella biologia evolutiva bisogna invece tenere conto di molti fattori, alcuni dei quali stanno acquisendo importanza solamente in tempi recenti.
Spesso, le analisi di un organismo e della sua evoluzione sono accompagnate da un forte pregiudizio teorico. Si tende a fare aderire forzatamente la natura dell’organismo all’apparato teorico di riferimento dell’analisi. Questo accade in maniera indiscriminata, sia per gli organismi tradizionalmente ben conosciuti, sia per quelli con caratteristiche così particolari da risultare bizzarri. Per questi ultimi, però, risulta più evidente. Si dovrebbe costruire la teoria sull’organismo e non solo seguire l’indizio che la teoria fornisce per studiare più a fondo la natura degli esseri viventi. L’analisi qui proposta sarà condotta in quest’ottica.
Il caso dei monotremi, dell’ornitorinco in particolare, è uno dei più ostici. Il platipo2 (Ornithorhynchus anatinus), nota Stephen Jay Gould, «sfoggia una combinazione imbattibile di stranezze»3 che furono al centro del dibattito creatosi nei primi decenni dell’Ottocento sulla sua possibile viviparità, oviparità od ovoviviparità. A prescindere dalla posizione assunta, gli studiosi si rifiutavano di accettare i caratteri misti dell’ornitorinco, tanto mammaliani quanto rettiliani. La natura, in tempi pre-darwiniani, era classificata in categorie ben salde e fra loro non comunicanti. La tassonomia era molto rigida, e i monotremi costituivano un vero e proprio rompicapo. Sfuggivano a tutti i “tipi naturali” preesistenti alla loro scoperta. Se il pregiudizio era che al tempo esistessero solo uccelli, mammiferi e rettili fra i vertebrati, gli ornitorinchi e i tachiglossi rappresentavano un’anomalia della natura.
Il sostenitore dell’oviparità Etienne Geoffroy Saint-Hilaire ipotizzò di collocarli in un proprio ramo evolutivo che esulasse da mammiferi e rettili. Coniò allora il termine “monotremo”, con l’intenzione di identificarvi il ramo evolutivo unico e separato di ornitorinchi ed echidne4.
Classificazione scientifica
Regno Animalia |
La scoperta del neolaureato zoologo scozzese William Hay Caldwell sembrò mettere fine alle controversie nel 1884. Permise di categorizzare l’ornitorinco come un mammifero, seppur “strano”. Venne confermato che fosse un mammifero oviparo, anche se «liberato da un onere, l’ornitorinco si si trovò subito gravato da un altro[…] dovette addossarsi col suo osso dell’interclavicola il peso della primitività»5.
Non solo l’ornitorinco, ma anche l’echidna dovette portare sulle spalle (o meglio dire “sulla testa”6) lo stesso peso. L’evoluzionismo darwiniano salva i monotremi dall’essere considerati degli scherzi della natura. Fin dalla scoperta di Caldwell, però, l’evoluzionismo classico li ha comunque condannati allo stereotipo di esseri viventi primitivi, come se fossero l’anello mancante fra l’antenato mammaliano comune dei Sinapsidi e gli altri mammiferi moderni.
Ornitorinchi ed echidne, a discapito di cosa può suggerire la loro morfologia, non sono per nulla primitivi. Geoffroy, che comunque parteggiava per una categorizzazione tassonomica a sé dei monotremi, scrisse nel 1827 proprio in difesa di essi. Specificò che «quel che è sbagliato è il nostro modo di percezione, il nostro modo di percepire l’organizzazione dei monotremi, ossia la nostra decisione, presa a priori, di unirli a forza (violemment) ai mammiferi [con la parola violemment Geoffroy intende, ovviamente, “senza alcuna giustificazione concettuale”], di situarli nella stessa classe e, dopo le nostre delusioni e i nostri giudizi sbagliati, di far sentire le nostre ingiuste lagnanze, come quando ne parliamo come di mammiferi che sono essenzialmente e necessariamente fuori delle regole»7.
La contestazione di Geoffroy è molto acuta, anche se parte dalla categorizzazione errata dei monotremi. La famiglia dei monotremi è mammaliana, e la recente ricostruzione del genoma dell’ornitorinco ne è una notevole ulteriore corroborazione: «the egg-laying platypus is a remarkable species with many biological features unique among mammals. Our sequencing of the platypus genome now enables us to compare its sequence characteristics and organization with those of birds and therian mammals in order to address the questions of platypus biology and to date the emergence of mammalian traits. We report here that sequence characteristics of the platypus genome show features of reptiles as well as mammals» (L’ornitorinco è una specie notevole con molte caratteristiche biologiche uniche tra i mammiferi. Il sequenziamento del genoma dell’ornitorinco ci consente ora di confrontare le sue caratteristiche di sequenza e organizzazione con quelle degli uccelli e dei mammiferi euteri al fine di affrontare le questioni della biologia dell’ornitorinco e fino ad oggi l’emergere dei tratti dei mammiferi. Segnaliamo qui che le caratteristiche della sequenza del genoma dell’ornitorinco mostrano parentele coi rettili e imammiferi)8.
Sebbene Geoffroy non ragionasse in termini darwiniani e non conoscesse il genoma dell’ornitorinco, la sua attenzione per i tratti specifici dei monotremi ricorda l’attenzione della Eco-evo-devo Theory e dello strutturalismo di Gould. Il falso mito della primitività di echidne ed ornitorinchi è nato poiché si sono sviluppati in un modo particolare, avendo avuto molto tempo a disposizione. Sono un esempio di speciazione allopatrica molto antica, avvenuta conseguentemente alla separazione dell’Australia nel Giurassico. In particolare poi, i mammiferi prototeri (nati circa 166 milioni di anni fa), di cui fanno parte solo i monotremi, si sono sviluppati circa venti milioni di anni prima rispetto al resto dei teri (marsupiali ed euteri, differenziatisi circa 148 milioni di anni fa).
Antico, però, in termini darwiniani non vuol dire primitivo9. Il fatto che i monotremi abbiano avuto
più tempo per sviluppare dei propri caratteri non implica che si debba cambiare ogni funzione ed ogni parte del corpo per adattarsi. L’ornitorinco è uno spettacolare esempio, in quanto ha tenuto, selettivamente parlando, vecchi tratti poiché utili al suo stile di vita. La sua è una strategia evolutiva che non denota arretratezza, bensì marca con forza come la selezione non debba necessariamente progredire creando i tratti in virtù della loro funzione attuale. Anche Darwin notò che la natura ricicla certi tratti preesistenti10.
Grazie ai monotremi, il limite della teoria selettiva neodarwiniana classica si mostra con forza: non bisogna interpretare la gradualità evolutiva solo come una successione di costruzioni o modificazioni adattative ad opera della selezione naturale. Questo implicherebbe una certa dose di esternalismo, di funzionalismo e di adattazionismo. Piuttosto, la selezione naturale agisce più facilmente su ciò che è già presente nell’organismo e su più livelli interconnessi. La selezione, più che un architetto capace di creare tutto, è un bricoleur che modifica il materiale a sua disposizione, senza progetti a lungo termine11. Non si esclude, ovviamente, una forma attiva di adattamento in cui la selezione agisca direttamente sull’organismo inducendolo ad un cambiamento, ma non si dà per scontato che tutto vada così. Lo stesso Gould fa notare che esistono più tipi di adattamento.
Gould aderisce ad una spiegazione più strutturalista e storica della teoria darwiniana, entrando in contrasto con la concezione classica del darwinismo. Quest’ultima vede la selezione naturale come attore principale dell’adattamento ed inferisce erroneamente la possibile origine storica dalla funzione attuale di un organo. Nel saggio Le uova del kiwi e la campana della libertà, il paleontologo americano scrive chiaramente: «vorrei identificare questo errore di ragionamento con una frase che potrebbe essere un motto: l’utilità attuale non può essere messa sullo stesso piano con l’origine storica, ovvero, quando si dimostra che qualcosa funziona bene, non si è ancora risolto il problema di come, quando o perché quella tal cosa abbia avuto origine»12.
È necessario un piccolo appunto. Nonostante l’opportuna notazione di Gould sul funzionalismo tipico della concezione tradizionale, proprio nel saggio sul kiwi si mostra anche il limite teorico di una concezione strutturalista. Quest’ultima, come il funzionalismo, si incunea in una visione del darwinismo troppo legata ad un concetto. Così come da una funzione attuale è inopportuno inferire l’origine storica della stessa, è altrettanto inopportuno affidarsi principalmente all’evoluzione in chiave storica. La selezione, in una visione classica del darwinismo, non dovrebbe essere onnipresente. Allo stesso modo, la storia evolutiva di un organismo non dovrebbe essere usata come banco di prova ultimo in maniera così diretta.
Il caso delle uova dei kiwi, in quanto non disponiamo di evidenti prove empiriche13, mostra i limiti teorici di entrambe le teorie. Mancando le prove paleontologiche per inferire i cambi di dimensioni dei kiwi della Nuova Zelanda, si ricostruiscono le dinamiche facendo perno sulla propria concezione. In entrambi i casi, si lascia di sfondo un fatto altrettanto importante rispetto alla funzione, alla struttura o alla storia di un organismo: anche l’evoluzione, vista in chiave funzionale o storica, in un certo senso, “evolve”.
Nonostante Gould non consideri questo aspetto meta-evolutivo nella contingenza storica dell’evoluzione, egli riconosce, rispetto alla concezione neodarwiniana tradizionale, una pluralità di fattori agenti nel cambiamento. Pur non tenendo conto della flessibilità dell’evoluzione stessa, quest’ultima è analizzata su più livelli interconnessi e inscindibili fra loro (livello macro-, meso- e microevolutivo). Lo strutturalismo di Gould è pluralista e non nega l’azione della selezione naturale o i fenomeni di cambiamento attivo scaturiti da pressione selettiva ambientale. Rende solo evidente come la selezione naturale non agisca in modo onnipervasivo, ma sia sempre interrelata alla struttura organica individuale a tutti i livelli della gerarchia evolutiva.
Sebbene a Gould vada il merito di introdurre una teoria ampiamente pluralista, la sua concezione dell’evoluzionismo dipende troppo dalla contingenza storica particolare. Prende forma una visione dell’evoluzione in cui il grado di complessità può variare ed aumentare, senza delineare necessariamente un evoluzionismo graduale in cui l’organismo che segue è “più complesso” di quello che lo precede. Stabilendo un grado di semplicità minima dato dall’inizio della vita, il resto dell’evoluzione è necessariamente più complesso, ma la complessità non è necessariamente un trend evolutivo.
La visione di Gould però si arresta ad una evolvibilità che ha un punto fermo: la massima semplicità della vita primordiale. Se gli organismi semplicissimi si estinguessero, sarebbe un grave problema per tutta la vita. Se, invece, si estinguesse uno degli organismi più complessi, l’evoluzione proseguirebbe indisturbata verso altre strade e secondo altri solchi. Gould non considera che anche le condizioni in cui avviene l’evoluzione cambiano col tempo14: «non è detto che con il passare del tempo le potenzialità evolutive crescano progressivamente, possono anche diminuire, […], ma si tratta pur sempre di un’evoluzione dell’evoluzione. […]. Ciò che prima non era possibile ora lo è e viceversa. I muri di complessità, minima e massima, si spostano»15.
La storia è importantissima per una teoria evoluzionista, ma non bisogna sottovalutare come l’evoluzione si dirami flessibilmente, modificando il proprio corso in relazione ai cambiamenti ambientali, geologici, di specie, individuali e genici. La concezione di Gould è già una teoria estesa dell’evoluzione, ma se l’ultimo banco di prova è la contingenza particolare, si rischia di trasformare l’andamento evolutivo in una semplice descrizione di storie singolari ed imprevedibili. Proseguendo, si terrà implicitamente conto di queste notazioni epistemologiche.
Riguardo dunque i monotremi, questi organismi, all’apparenza semplicissimi, mostrano un gradiente di adattamento ed una flessibilità adattativa estrema. Proprio il “becco” dell’ornitorinco e la grossa testa del tachiglosso sono una schiacciante prova contro le accuse di primitività.
Il becco dell’ornitorinco non è un atavismo, ma un’invenzione specialistica dell’animale. Sebbene anche l’echidna, col suo muso lungo e appuntito, possegga tratti analoghi, la specializzazione del becco del platipo è molto evidente. Infatti, «il becco non è semplicemente una struttura cornea dura e inerte. La parte interna dura è ricoperta da una pelle morbida, la quale racchiude una notevole quantità di organi sensoriali»16. Già Everard Home, nel 1802, identificava il becco come un organo di grande importanza vitale.
Nel 1884, in concomitanza con le scoperte di Caldwell, il biologo evoluzionista Edward Bagnall Poulton scoprì gli organi di senso del becco. Sono numerose colonne di cellule epiteliali chiamate “aste di comando”, ciascuna delle quali è associata a dei trasmettitori neurali. Negli anni Ottanta del Novecento si poté poi notare quanto sia specifico l’adattamento dell’ornitorinco. Tramite esperimenti di neurofisiologia, si è scoperto che ogni singola asta di comando rimanda ad una precisa localizzazione nel cervello.
La notevole scoperta «permette di ipotizzare che la sequenza di attivazione di una serie di aste permetta all’ornitorinco di identificare grandezza e posizione di oggetti»17. Effettivamente, l’ornitorinco è dotato di due tipi di sensori simili ma con funzioni diverse: mentre dei sensori tattili sono uniformemente distribuiti su tutto il becco, le aste di comando sono degli elettrorecettori impiegati per la caccia, e si trovano in gran numero nelle estremità18. Ad oggi, avendo disponibile la mappa della corteccia cerebrale dell’ornitorinco, si ha la certezza che essa sia impegnata soprattutto dalla rappresentazione del becco.
Prima di analizzare le specifiche del tachiglosso, è opportuno soffermarsi su cosa dimostri l’analisi precedente. Il becco non è una stranezza, ma una soluzione elegantemente legata all’ambiente che di norma l’ornitorinco abita. Negli studi di fine Novecento a cura di Peter Temple- Smith e T.R. Grant sull’ambiente e la distribuzione degli ornitorinchi19, la straordinaria capacità adattativa emerge già dall’analisi quantitativa dell’ambiente ideale del monotremo acquatico. Nelle zone di vita degli ornitorinchi, i parametri biofisici illustrano la presenza di vegetazione ricca di salici (Salix sp., importati solo dopo l’Ottocento) e baobab, presentando notevoli modifiche nell’arco del secolo intercorso dalla scoperta dell’animale. Le radici dei salici hanno alterato il corso dei fiumi, creando dei banchi di terra consolidatasi su di esse fra una riva e l’altra. In Australia, inoltre, è stata introdotta la volpe, la quale ora è integrata come predatore degli ornitorinchi.
Il cambiamento ecologico è ampio. Se, come da stereotipo, il platipo avesse un’anatomia e un sistema organico primitivi, allora non sarebbe dovuto sopravvivere a cambiamenti così rapidi nell’arco di un secolo. Il becco invece gli permette di svincolarsi da queste nuove sfide, lasciandolo muovere agilmente sott’acqua. Essendo solito scavare tane nei pressi delle rive, inoltre, riesce a tollerare la presenza di un nuovo predatore. L’ornitorinco riesce a vivere anche in zone degradate dalla presenza massiccia dell’uomo: sono stati ritrovati esemplari persino nei pressi dell’area metropolitana di Sydney20, sebbene non si sappia ancora molto a riguardo.
Nel 2016 è stato pubblicato il resoconto di uno studio trentennale sugli ornitorinchi del Murrumbbidgee, fiume del Nuovo Galles del Sud21. Integra lo studio quantitativo dell’ambiente-tipo della specie con i dati dello sviluppo medio degli ornitorinchi in uno dei fiumi più grandi dell’Australia. La maggior parte delle analisi sembra essere complementare allo studio condotto da Temple-Smith e Grant. Segnati alcuni ornitorinchi, venivano catturati e rilasciati ad intervalli regolari per verificare le condizioni, l’attività e le abitudini. La percentuale di ricattura era scarsa, e spesso venivano catturati nuovi esemplari piuttosto che quelli precedentemente segnati.
Evidentemente gli strumenti adattativi del monotremo non si limitano alla sua struttura fisica semplice e bene adattata. Andando oltre la visione gerarchica a tre livelli di Gould, il platipo sfida la teoria darwiniana classica: reinventa sé stesso in base all’ambiente in cui si trova e lo modifica a sua volta. L’assenza dei denti all’interno del becco è ovviata con l’utilizzo dei ciottoli del fondale pluviale. Usando il proprio becco come setaccio, sonda e sensore tattile, localizza la propria preda e la insegue. I detriti che deglutisce assieme al proprio pasto sono poi utilizzati nella digestione. Sfrutta tutto ciò che ha a disposizione nell’ambiente, e al contempo modifica le proprie abitudini per adattarsi ad esso. Il sistema in cui si ritrova, inoltre, viene modificato dalla sua presenza, che riduce il carattere torrentizio dei fiumi e modella il loro fondo. Più che un relitto primitivo, l’ornitorinco presenta un grande ventaglio di possibilità adattative. La sua flessibilità ha permesso l’estensione della propria nicchia ecologica a quasi tutte le zone fluviali australiane. Dalle Alpi Australiane alle foreste pluviali del Queensland, l’apparente stasi degli ornitorinchi presenta un grado di evolvibilità molto alto per una specie così particolare.
La nicchia ecologica dell’ornitorinco è molto estesa, e offre un esempio di interazioni inscindibili fra loro: non ci sarebbe l’Australia fluviale conosciuta senza l’ornitorinco, che a sua volta sfrutta ciò che ha a disposizione per rispondere alle caratteristiche ambientali. In questo panorama di connessioni e funzioni reciproche fra organismo e ambiente, la selezione naturale non è l’unico attore. La contingenza e la casualità non hanno ruolo marginale, ma sono parimerito coinvolte nell’evoluzione e nello sviluppo dell’intera nicchia.
Come gli ornitorinchi, il tachiglosso o echidna dal becco corto è molto diffuso in tutta l’Australia. Quando Home, nello stesso periodo di analisi del platipo, poté analizzare l’anatomia dell’echidna, gli impose «quell’etichetta della primitività che ha sempre ostacolato una comprensione zoologica appropriata di tutti i monotremi»22. Lo studioso pose l’accento sulla struttura dell’animale, senza valutare la dimensione del cranio. Home riuscì comunque ad intuire le grosse dimensioni del cervello, ma non lo rese noto come peculiarità. Passa in secondo piano proprio il carattere che poteva contrastare la teoria della primitività.
Se l’ornitorinco si è liberato dalla primitività grazie al becco, l’echidna si riscatta grazie alla conformazione del proprio cervello. Mentre la neocorteccia degli insettivori basali (metro di paragone comune in quanto l’echidna somiglia ai formichieri per dieta e abitudini) è meno del 15% del peso totale della massa cerebrale, il tachiglosso ha una neocorteccia pesante il 43% della massa totale. Si colloca di poco sotto le proscimmie, la quale neocorteccia occupa il 54% del peso cerebrale23. Inoltre, mentre l’ornitorinco presenta una neocorteccia (48%) liscia, «la neocorteccia dell’echidna non è solo espansa e quasi sferica come nei primati, ma la sua superficie presenta anche un’abbondanza di circonvoluzioni, con solchi profondi e giri, che sono un criterio tradizionale dell’alto livello mentale nei mammiferi»24.
Fin da metà Ottocento, l’anatomia dell’echidna si opponeva con evidenza al preconcetto di primitività. Piuttosto che rinunciare allo stereotipo, però, gli scienziati ridussero l’importanza della conformazione cerebrale. Persino negli studi più recenti di fine Novecento si continua a negare l’evidente sviluppo dei tachiglossi, senza corroborare le ipotesi sulla presunta intelligenza inferiore dei monotremi. Negli stessi anni, rese pubbliche le mappe cerebrali dell’echidna e dell’ornitorinco, l’idea di primitività inizia però a vacillare25.
Tenendo conto del limite storico di Gould, gli si deve riconoscere il merito di analizzare lucidamente la condizione di esistenza dei monotremi: «i caratteri rettiliani dei monotremi registrano solo il fatto che essi si sono staccati molto presto dalla linea dei mammiferi placentali, ma il tempo della separazione non è una misura di complessità anatomica o di status mentale»26.
Per corroborare la tesi di Gould, come è stato fatto per l’ornitorinco, è necessario notare come il tachiglosso sia in piena interazione col proprio ambiente. Anche l’echidna caratterizza in modo cruciale l’ambiente stesso che egli abita. Diffuso in tutta l’Australia, riesce a vivere in ambienti freddi come le Alpi Australiane e in habitat caldi come i deserti dell’entroterra. Abita persino le foreste pluviali del continente. L’echidna fatica ad integrarsi solo nel sud più estremo dell’Australia, dove l’impronta antropica è più “profonda”.
La particolarità di questo monotremo è la postura e l’andatura più simile a quella rettiliana che mammaliana, anche se ha adottato abitudini notturne tipiche dei mammiferi di piccola taglia. L’importanza dell’interazione fra tachiglosso e ambiente si verifica nel suo impiego principale oltre alla ricerca dei formicai e al nascondersi in vista del giorno è un intrepido scavatore.
I dati riportati dallo studio di biologia sperimentale del 2016 mostrano la routine dell’animale27. Tramite accelerometro e GPS posti su un’echidna, si è scoperto che scavi mediamente per il 12% del proprio tempo. Lo studio stima che la popolazione australiana di echidna sia capace di scavare fino a 204 metri cubi di suolo all’anno. Considerata l’ampia espansione territoriale, il tachiglosso è uno degli agenti di cambiamento più piccoli e inaspettatamente importanti per il terreno australiano.
Se gli studi dell’ornitorinco risultano più difficili per la naturale bassa densità di popolazione della specie, quelli sull’echidna dal becco corto sono chiari: l’echidna dipende dal terreno così come l’Australia dipende anche dall’echidna. Ancora una volta, forse in maniera più espressiva e apprezzabile dei resoconti della recente ricerca, l’ambiente ha un ruolo fondamentale per l’adattamento dell’animale e viceversa.
Sullo sfondo dell’evoluzione si trovano molteplici fattori. Non sono presenti soltanto le più classiche analisi della selezione a livello individuale e genico, né solo l’ontogenesi e la filogenesi di più livelli gerarchici con analisi storica particolare e irripetibile. Sullo sfondo dell’evoluzione si trova anche l’ambiente, legato al processo di sviluppo dell’organismo. Ogni piano di sviluppo è tanto interconnesso da non potere essere separato in gerarchie.
Gould rappresenta un buon esempio di pluralismo darwiniano: la sua concezione di darwinismo, senza contraddire le fondamenta teoriche di quest’ultimo, allarga l’idea classica di evoluzione. È opportuno, però, dare più peso anche ad un altro elemento: il concetto ecologico di ambiente e la nicchia ecologica, ad esso collegata.
Già nella teoria degli equilibri punteggiati, proposta nel 1972 da Niles Eldredge e S.J. Gould, si nota come i cambiamenti morfologici macroevolutivi non dipendano solamente dalla selezione a livello genico ma siano frutto anche delle variazioni ecologiche. La biologia neodarwinista, verso la fine del Novecento, comincia a riallacciarsi ai concetti di ecologia28. Prima di allora, ecologia e biologia erano concepite come due ambiti, se non scollegati, quantomeno paralleli. Tuttavia, «questa dicotomia, come vedremo più avanti, forse non è necessariamente sempre così netta»29.
A prova di ciò si può notare che, nel 1895, Warming orienta già le sue ricerche eco-geografiche alla comprensione di ciò che ha causato la proliferazione, in un determinato tipo di condizioni ambientali, di alcune piante non filogeneticamente imparentate. Da allora, la concezione di ambiente prende forma in senso qualitativo, indagando in parte il rapporto organismi-ambiente, seppur in senso fisiologico. In seguito, il concetto prende anche forma quantitativa, tramite l’idea di ambiente come risultato della curva di tolleranza di un organismo ad una variabile ambientale (Shelford)30.
L’ambiente, in questi anni, è usato per intendere, in senso generale, il luogo in cui l’organismo si trova e dal quale è influenzato. Anche l’espressione nicchia ecologica in principio ha una valenza per lo più spaziale in Joseph Grinnel, il suo primo effettivo utilizzatore. Nei suoi lavori successivi, però, sembra che «i descrittori della nicchia siano sempre più le relazioni di ordine funzionale (quello che la specie fa nella comunità, il suo ruolo), mentre contano sempre meno le variabili di tipo spaziale (dove la si può trovare, il suo posto fisico, l’habitat)»31.
Nel tempo, facendo sempre più attenzione alla componente biocenotica, il concetto di nicchia ecologica si caratterizza. La nicchia non è solo la collocazione spaziale di un organismo od una specie, ma la loro dimensione spaziale, temporale e di interrelazioni organismo-ambiente.
L’attenzione all’unione di componente ecologico-ambientale e componente biologica, non considerate in senso additivo ma come una somma maggiore delle parti in cui si tiene conto delle interrelazioni reciproche, è bene espressa dal costruttivismo di Richard Lewontin. Dagli anni Settanta, egli si è spesso confrontato con le letture tradizionali «ipersemplicistiche»32 in modo critico. Riesce a dimostrare come le equazioni descriventi l’evoluzione, la base di studi della Sintesi Moderna, non siano parametri costanti e sperimentali ma anch’esse delle variabili soggette all’evoluzione. Non è possibile stabilire con calcoli additivi cosa sia appannaggio del gene e cosa sia appannaggio dell’ambiente. L’ereditarietà di un carattere dipende anche dall’ambiente e non solo dal genotipo. Inoltre, in queste relazioni non additive ma interattive, si deve necessariamente rivalutare il ruolo del fenotipo. Quest’ultimo non può essere il semplice prodotto di un’interazione genotipo-ambiente, ma è capace anch’esso di influenzare lo sviluppo in quanto un tutt’uno col genotipo.
Lewontin, al contrario della teoria sintetica neodarwiniana, accoppia il cambiamento ambientale al cambiamento individuale e di specie: ambiente ed individuo non sono divisi in due equazioni, ma coevolvono33. La reciprocità evolutiva è tale che «ogni cambiamento in una delle due variabili è funzione dell’altra»34.
Lewontin riassume il rapporto fra organismo e ambiente in quattro punti. Gli organismi, dunque: «“1) determinano quali elementi del mondo esterno vanno a costituire il loro ambiente e quali rapporti tra quegli elementi sono rilevanti per loro”; 2) “costruiscono attivamente il mondo che li circonda, nel senso letterale della parola”; 3) “alterano continuamente il loro ambiente”; 4) “[lo costruiscono grazie alla modulazione] delle proprietà statistiche delle condizioni esterne a mano a mano che queste condizioni entrano a fare parte dell’ambiente dell’organismo”»35.
Se si associano la concezione di coevoluzione e di nicchia ecologica come dimensione interattiva spazio-temporale dell’organismo, si comprende come i monotremi siano in toto animali del nostro millennio. Sempre stati “al passo” con l’evoluzione, sono tutt’altro che animali fossili. Nonostante gli ornitorinchi siano animali particolarmente riservati e quindi manchino alcuni particolari descrittivi, nelle abitudini dell’echidna emergono tratti di notevole importanza per l’ambiente36. La sua nicchia ecologica è sostanziale per mantenere il terreno ossigenato, modificandolo a favore di tutta la fauna e la flora australiana. Si potrebbe affermare altrettanto dell’ornitorinco nei riguardi delle zone fluviali, ma gli studi per corroborare i pochi dati accumulati sono tutt’ora in corso.
I monotremi, con soluzioni forse anti-convenzionali ma eleganti, sono stati capaci di comprendere l’ambiente a loro circostante e interagire con esso in rapporto di reciproco sostentamento. Nella loro apparente fissità morfologica si sono modificati e hanno influenzato per secoli l’Australia in assoluto silenzio.
Note
(*) Riccardo Spedito, studente dell'università "la Sapienza" di Roma, corso di laurea magistrale in Filosofia corso di "Filosofia e scienze del vivente"
1 Cit. Telmo Pievani, Introduzione alla filosofia della biologia, Laterza, Lecce 2005, p.3.
2 George Saw diede all’ornitorinco il nome di Platypus anatinus, mentre Johann Friedrich Blumenbach lo nominò, poco dopo, Ornithorhynchus paradoxus. Visto che nella nomenclatura vale tradizionalmente il primo nome, e visto che Platypus era già stato adottato per un insetto, il nome scientifico derivante è stato Ornithorhynchus anatinus. L’appellativo “platipo” rimane comunque come nome comune alternativo.
3 Cit. Stephen Jay Gould, Essere un ornitorinco, in Risplendi grande lucciola, trad. di Libero Sosio, Saggi, Feltrinelli,
Milano 1994, p.16.
4 Nei primi anni dell’Ottocento si conosceva solo il tachiglosso (Tachyglossus aculeatus): detto Echidna istrice o echidna dal becco corto, descritta accuratamente da un disegno del capitano Bligh nel 1789. Assomiglia ad un formichiere ma non è correlato alla sua specie. Abita tutta l’Australia. Il genere delle echidne dal becco lungo (Zaglossus), abitanti della Nuova Guinea, non era ancora stato descritto. Da qui, col termine “echidna” si intenderà sempre il tachiglosso.
5 Cfr. S.J. Gould, Essere un ornitorinco, in Risplendi grande lucciola, p.19.
6 Vd. infra, p.6.
7 Etienne Geoffroy Saint-Hilaire, 1827, cit. in Il capitano Bligh, proprio quello Bounty, di S.J. Gould in Risplendi grande lucciola, pp.24-25.
8 Cit. W. Warren, L. Hillier, J. Marshall Graves et al., Genome analysis of the platypus reveals unique signatures of evolution, in «Nature» 453 (2008), pp.175-183. DOI: https://doi.org/10.1038/nature06936 .
9 Cfr. S.J. Gould, Essere un ornitorinco, in Risplendi grande lucciola, p.20.
10 Cfr. Michael Ghiselin, in Introduzione alla filosofia della biologia di T. Pievani, p.158.
11 Cfr. François Jacob, in Introduzione alla filosofia della biologia di T. Pievani, p.167.
12 Cit. S.J. Gould, Le uova del kiwi e la campana della libertà, in Bravo Brontosauro, Saggi, Feltrinelli, Milano 1992, p.61.
13 Cfr. ivi, p.62.
14 Cfr. T. Pievani, Introduzione alla filosofia della biologia, p.208-210.
15 Cit. ivi, p209-210.
16 Cit. S.J. Gould, Essere un ornitorinco, in Risplendi grande lucciola, p.21.
17 Cit. ivi, pp.21-22
18 Cfr. Giovanni Rizzo, Ornitorinco: caratteristiche e curiosità, in «AnimalPedia» (14/06/2020). DOI:
https://www.animalpedia.it/ornitorinco-caratteristiche-e-curiosita-2920.html .
19 Cfr. T.R. Grant, Peter D. Temple-Smith, Field biology of the platypus (Ornithorhynchus anatinus): historical and current perspectives, in «Philosofical Transactions B» (29/07/1998), The Royal Society, pp.1081-1091.
20 Cfr. ivi, p.1087.
21 Cfr. Joanne Connolly, Sharon Nielsen et al., Distribuition and characteristics of the platypus (Ornithorhynchus anatinus) in the Murrumbidgee catchment, in «Australian Mammology» (01/2005). DOI: 10.1071/AM14039 .
22 S.J. Gould, Il capitano Bligh, proprio quello del Bounty, in Risplendi grande lucciola, p.24.
23 Cfr. ivi, p.26.
24 Cfr. ibidem.
25 Cfr. ivi, p.27-29.
26 Cit. ivi, p.29.
27 Cfr. Christofer J. Clemente, Christine E. Cooper, Philip C. Withers, Craig Freakley, Surya Singh, Philip Terrill, The private life of echidnas: using accelerometry and GPS to examine field biomechanics and assess the ecological impact
of a widespread, semi-fossorial monotreme, in «Journal of Experimental Biology» (2016). DOI:
https://jeb.biologists.org/content/219/20/3271.
28 Già Charles Darwin si interessa all’ecologia (il termine, tuttavia, è stato coniato solo dopo), studiando con attenzione l’ambiente coinvolto nell’evoluzione dell’organismo. Biologia ed ecologia, dopo di lui, si separarono e percorsero
strade parallele.
29 Cit. Saverio Forestiero, Ambiente, adattamento e costruzione della nicchia, in Life and Time: The Evolution of Life and its History, Cleup, Padova 2009, p.257.
30 Cfr. ivi, p.256.
31 Cit. ivi, p.258.
32 Cit. ivi, p.259.
33 Cfr. ivi, p.260.
34 Cit. ivi, p.261.
35 Cit. ivi, pp.261-262.
36 Vd. supra, pp.6-7.
Riferimenti
Clemente, Christopher J., Christine E. Cooper, Philip C. Withers, Craig Freakley: Surya Singh, e Philip Terrill. «The private life of echidnas: using accelerometry and GPS to examine field biomechanics and asses the ecological impact of a widespread, semi-fossorial monotreme.» Journal of Experimental
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