Li chiamavano Norcini
Luciano Luciani
Li chiamavano Norcini perché provenivano in gran parte dalle zone della Valnerina umbra, Norcia e Cascia, e godevano di qualche fama perché erano i più esperti nell’uccisione, macellazione e lavorazione delle carni del maiale. Nella Roma controriformista, poi, rappresentavano una lobby potente e rispettata: quella che si ritrovava nella Confraternita dei Santi Benedetto e Scolastica, sorta nella città dei papi poco più di quattrocento anni fa e depositaria, oltre che di pingui interessi commerciali ed economici, anche di abilità e competenze veterinarie che seppero ampliarsi pure alla cura di non pochi malanni propri della condizione umana. I norcini, per esempio, non solo ingessavano e fasciavano braccia e gambe rotte, ma, chirurghi empirico-pratici, erano in grado di compiere delicate operazioni alla cataratta, di intervenire nella calcolosi vescicale, nella riduzione e nel contenimento delle ernie e anche, ohimè, nell’evirazione di giovinetti musicalmente ben intonati per permettere loro di mantenere peculiari, fanciulleschi e/o femminei, timbri canori: stiamo parlando delle cosiddette “voci bianche” o dei “castrati dell’opera”. Una pratica vergognosa, vietata dalla legge del tempo, ma così ampiamente diffusa da suscitare le rimostranze di un bizzarro moralista come Tommaso Garzoni (1549 – 1589) che ne La Piazza universale di tutte le professioni del mondo scrive “questi castradori… che stiano pur tra le montagne di Norsia a suo piacere, ché gli uomini del piano non si curan dei loro servizi, perché aman più presto d’esser becchi che castrati.”
Particolarmente vocati alle attività chirurgiche di basso e medio livello gli abitanti di Preci, oggi piccolo paese di poco più di 700 abitanti in provincia di Perugia, nell’alto medioevo e nei secoli successivi castello del territorio di Norcia al confine tra Umbria e Marche. Da tempo, la ricerca storica, e non solo quella locale, si interroga sulle ragioni dello straordinario numero di questi operatori della salute tutti concentrati in un’area ristrettissima: sono circa duecento i nomi di questi cerusici, per oltre trenta dinastie di medici, alcuni dei quali destinati a una fama non solo territoriale ma nazionale e oltre. Non furono poche, infatti, le istituzioni sanitarie, le Università e le corti europee che si avvalsero delle loro abilità, competenze, manualità e velocità d’esecuzione tali per cui nel XVI secolo, il loro periodo d’oro, i “preciani” potevano vantare una percentuale di riuscita dei loro interventi intorno al 90%. Alcuni nomi di nursini e preciani? C’è solo l’imbarazzo della scelta: Girolamo Marini che all’apice della carriera si presenterà come “Professore di Chirurgia e Litotomo dell’Archispedale di S. Spirito in Sassia”; oppure Antonio Benevoli “Cerusico, e Maestro nell’Insigne Spedale di Santa Maria Nuova della Città di Firenze”, o anche Giuseppe Maria Bechettoni che si fregerà dei titoli di “Dottore in Filosofia e Medicina, Chirurgo Litotomo e Oculista dell’Illustrissimo, ed Eccelso Senato di Bologna”. Senza dimenticare Durante Scacchi, nato a Preci nel 1540, fondatore della scuola dei dottori preciani, autore del celebre Subsidium Medicinae; suo fratello Cesare, la cui fama arrivò sino alla corte dei Tudor dove fu chiamato per operare di cataratta agli occhi nientemeno che la regina Elisabetta I d’Inghilterra; Orazio Cattani, fino al 1620 al servizio del Sultano nella lontana Costantinopoli dei turchi ottomani; Diomede Amici che nel 1696 fu primo chirurgo a Venezia; Girolamo Bacchettoni che dal 1726 insegnò oculistica presso l’università di Innsbruck; Arcangelo Mensurati che nella prima metà del XVI secolo fu al servizio dell’Arciduca d’Austria e, infine, Alessandro Catani (o Cattani) il più celebre tra i medici venuti da Preci, prolifico autore di testi di medicina, dal 1744 al servizio presso la Corte di Napoli come chirurgo della Casa reale. E come spiegare la “densità” di una tale presenza scientifica e tecnica? Probabilmente con la presenza in loco di un’antica (X secolo) abbazia benedettina, quella di Sant’Eutizio nella cui fornitissima biblioteca erano presenti non pochi trattati di medicina, coerenti con la Regola che al suo capitolo 36 prevedeva infirmorum cura omnia adhibenda. Non è quindi fuori luogo pensare che le tecniche dell’arte della medicina, praticata per lungo tempo dai benedettini si siano a poco a poco trasferite dai religiosi, impossibilitati a esercitarle dai dettati del Concilio lateranense del 1215 che negava loro l’attività chirurgica, agli abitanti di Preci. Questi, già esperti nella macellazione dei suini, impararono presto e dettero vita a una vera e propria scuola medica locale di medici empirici che, pur prescindendo dalla preparazione universitaria, appresero con facilità metodica e procedimenti, aggiungendo anche nuovi strumenti chirurgici di loro invenzione realizzati per migliorare la qualità degli interventi operatori.