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La ruota, il sole e il Natale

 

 

   

La ruota, il sole e il Natale

 

Tomaso Di Fraia 

 

 

Nel corso di un mio recente lavoro[1] mi sono imbattuto in una questione che a suo tempo avevo affrontato nella serie di articoli dedicati a Culture, lingue e geni e pubblicati su Naturalmente[2].  Si tratta della dibattutissima controversia sulla patria originaria dell’antenato comune delle lingue indoeuropee (IE), cioè il cosiddetto Protoindoeuropeo (PIE), e sulle vie e i momenti di diffusione delle varie lingue da esso derivate. Quanto alla patria originaria, oggi vi è solo un generico accordo sull’idea che dovesse trovarsi in un’area intermedia fra l’Europa e l’India, mentre la comunità scientifica è divisa circa il processo (o i processi) che ha portato alla formazione e alla diffusione delle lingue IE. Se si esclude l’ipotesi della continuità paleolitica, elaborata dal linguista Mario Alinei[3], le principali teorie che ancora oggi si fronteggiano sono fondamentalmente due. La prima, elaborata dall’archeologa Marija Gimbutas[4] e accolta a suo tempo da un certo numero di archeologi e linguisti, collocava la patria originaria del PIE nella Russia meridionale, caratterizzata da ambienti steppici e abitata da allevatori seminomadi, con sepolture a tumulo (kurgan). Tali popolazioni, grazie anche all’addomesticamento e all’uso del cavallo da monta e/o da traino, tra la fine del V e l’inizio del IV millennio a. C. secondo la Gimbutas si sarebbero espansi e diffusi in gran parte dell’Europa. Oggi, soprattutto sulla base di recenti studi archeogenetici [5], l’inizio di tale espansione è stato spostato in avanti di circa un millennio e i suoi sviluppi collegati soprattutto alla diffusione della Cultura della Ceramica a cordicella nella prima metà del III millennio a. C.

 

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[1] Di Fraia 2020a.

[2] Di Fraia 2000-2004.

[3]) Alinei 1996, 2000. Secondo Alinei l’Europa sarebbe stata occupata da popolazioni parlanti IE fin dal Paleolitico, cioè con la prima colonizzazione del continente. Tale teoria è stata condivisa da pochissimi linguisti e archeologi, ma quasi completamente ignorata dalla stragrande maggioranza degli stessi linguisti (Di Fraia 2014).

[4]) Gimbutas 1973a, 1973b.

[5]) In realtà tali studi sono pesantemente inficiati da campionature ancora troppo esigue e con una limitata copertura geografica; inoltre alcune interpretazioni appaiono semplicistiche e sensazionalistiche (Di Fraia 2020a, 2020b).