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La nuova etologia di Dominique Lestel

 

Dominique Lestel

La nuova etologia di Dominique Lestel

 

Per una discussione sul rapporto uomo/animale

 

Maria Turchetto

 

 

Dominique Lestel è uno studioso multiforme e originale: un “etologo-filosofo” che nel campo dell’etologia ha lavorato sulle “scimmie parlanti”, ossia sui tentativi di insegnare un linguaggio simbolico a scimmie antropomorfe [1]. Questo particolarissimo campo di ricerca lo ha portato, da un lato, a sviluppare una critica radicale all’etologia main stream; dall’altro, ad approfondire la questione del rapporto uomo/animale. Di questo autore è stato tradotto in italiano soltanto un articolo [2], per altro molto utile perché rappresenta una sintesi assai chiara della “rifondazione” metodologica dell’etologia che propone. Da questo articolo e da alcuni altri testi vorrei partire per esplorare due concetti chiave che Lestel introduce: quello di “animale singolare” e quello di “comunità ibride uomo/animale”. Entrambi i concetti consentono di affrontare con un approccio almeno in parte nuovo la questione – in qualche modo “filosofica” – del rapporto uomo/animale.

 

L’animale singolare

 

Nell’articolo citato, Lestel definisce la propria metodologia attraverso una serie di contrapposizioni tra il proprio approccio, definito – vedremo perché – “bicostruttivista”, e l’etologia main stream, caratterizzata da un approccio definito “realista-cartesiano”. Riprenderò qui, in modo sintetico, alcune delle contrapposizioni proposte, avvertendo che potrei rendere un’idea eccessivamente schematica e semplificata della posizione epistemologica di Lestel, che in realtà è assai avvertita e fine.

Alcune contrapposizioni non richiedono particolari spiegazioni. La prima, ad esempio, che oppone la tesi l’animale è determinato dalla sua genetica del paradigma realista-cartesiano a quella bicostruttivista la genetica dell’animale costituisce un vincolo tra gli altri, risulta in linea con le attuali posizioni della biologia, fortemente critiche nei confronti del determinismo genetico. Si tratta qui, in particolare, di evitare la posizione secondo cui la “libertà” sarebbe tutta dalla parte dell’uomo, mentre l’animale esibirebbe solo comportamenti “condizionati”. In realtà, ciascun animale (uomo compreso) possiede uno spazio di libertà più o meno ampio, tra vincoli più o meno rigidi, di cui certuni incontestabilmente genetici senza per questo che si possa attribuire loro un posto di eccezione. Di qui un’altra contrapposizione: per l’approccio realista-cartesiano, l’animale segue sempre delle routines comportamentali, mentre per l’approccio bicostruttivista l’animale innova e inventa.

Ne segue un’ulteriore opposizione, “filosoficamente” più interessante: l’approccio realista-cartesiano segue il paradigma dell’animale-macchina – secondo cui il comportamento dell’animale è sempre causale e suscettibile di spiegazione meccanicistica; l’approccio bicostruttivista segue invece il paradigma dell’animale-ermeneuta – secondo cui l’attività dell’animale si costituisce attraverso delle procedure di interpretazione. L’animale, in altri termini, non dà semplicemente risposte (standardizzate) a stimoli, suscettibili in quanto tali di una spiegazione deterministica in termini di cause ed effetti; l’animale interpreta il mondo che lo circonda, gli altri viventi e se stesso – ed anche eventualmente le interpretazioni degli altri viventi con cui condivide la vita. L’osservatore interpreta le interpretazioni dell’animale, le quali sono influenzate dall’interazione dell’osservatore: proprio per questo Lestel parla di bicostruttivismo, per sottolineare l’inevitabile intreccio di due “costruzioni di senso”, quella dell’osservatore e quella dell’osservato.

Di qui un’altra opposizione di carattere metodologico: l’approccio realista-cartesiano utilizza la finzione dell’osservatore inesistente, mentre l’approccio bicostruttivista intende valorizzare l’interazione osservatore-osservato. Ovviamente l’etologia main stream non ignora che l’osservatore influenza l’osservato, ma affronta il problema dandosi procedure volte a limitare al massimo tale “contaminazione”. Per Lestel, al contrario, il problema non è evitare l’interazione tra osservatore e osservato, ma spiegare piuttosto perché essa ha luogo e quali sono i meccanismi in gioco. Ciò comporta una diversa tecnica di rapporto con l’animale: si tratta di stimolare la creatività dell’animale, sul presupposto che gli animali non hanno semplici competenze, definite per ciascuna specie e catalogabili in modo esaustivo, ma capabilities che si attualizzano e si sviluppano nell’interazione con i contesti, non definibili né numerabili a priori. Questa diversa prassi di osservazione privilegia gli “animali singolari”, quelli che “non fanno quel che dovrebbero”, le cui competenze non sono riducibili a quelle della specie di appartenenza.

Un’altra opposizione filosoficamente interessante è quella tra la posizione dell’approccio realista-cartesiano secondo cui l’animale non ha storia e quella bicostruttivista secondo cui ogni animale si trova all’incrocio di tre storie: filogenetica, culturale, individuale. Non esiste soltanto una storia biologica – il percorso evolutivo di formazione di una specie – che ci consegna l’animale con caratteristiche note e immutabili. Questo modo di pensare, ampiamente ricorrente nell’etologia main stream, rinvia a ben vedere a una logica essenzialista predarwiniana – per usare l’espressione di Ernst Mayr [3] – ossia all’idea che i singoli viventi non siano che “esemplari” della specie anziché individui singolari. In realtà da tempo si ammette che gli animali sociali diano luogo a culture diverse nei differenti gruppi per le peculiarità dei contesti e dei percorsi storici attraverso cui si formano. A sua volta, la convergenza della storia biologica e della storia culturale conduce ciascun animale alla possibilità di modulare individualmente i comportamenti.

Ho parlato di opposizioni “filosoficamente interessanti” a proposito delle ultime due che ho riportato – il paradigma dell’animale-macchina contrapposto al paradigma dell’animale-ermeneuta, la tesi l’animale non ha storia contrapposta a quella per cui  ogni animale si trova all’incrocio di tre storie. La stessa terminologia impiegata da Lestel richiama in effetti alcune posizioni sostenute all’inizio del Novecento dallo storicismo tedesco e che hanno largamente influenzato il pensiero europeo del secolo scorso. Negativamente, a mio parere, perché si tratta di posizioni che ponevano uno iato incolmabile tra “scienze della natura” e “scienze della cultura”. Per Dilthey – uno dei più noti esponenti di tale corrente filosofica – “la natura è muta per noi” [4], esterna e in quanto tale suscettibile di spiegazione (erklären) in termini di cause ed effetti; mentre le vicende dell’uomo, dotato di libertà e di motivazione, non sono suscettibili di spiegazione causale ma di comprensione (verstehen), riproducendo in noi stessi ed interpretando i motivi dell’agire. In quest’ottica, l’ermeneutica è appannaggio dell’uomo, così come la storia è appannaggio dell’uomo, poiché la natura si ripete uguale a se stessa…

Senza dubbio l’etologia main stream con cui polemizza Lestel ha considerato i viventi non umani alla stregua di “natura muta per noi”, attribuendosi la posizione dell’osservazione oggettiva, cioè la “posizione di chi è al di sopra del mondo per osservarlo” [5], che Lestel non esita a definire “colonialista”: “il pensiero del sopra, il rifiuto di concedere un posto reale all’Altro (che sia non-umano o non-occidentale) […], l’autismo istituzionale che accompagna questi atteggiamenti e la postura razionalista (o pseudo-razionalista) che li legittima costituiscono delle caratteristiche fondamentali delle società occidentali. Questi atteggiamenti si radicano nel progetto epistemologico delle scienze europee” [6].

Anche senza generalizzare troppo, come tende spesso a fare Lestel, la cui vis polemica è notevole, non c’è dubbio che una parte cospicua della cultura europea novecentesca ha mantenuto ferma la separazione tra scienze della natura e scienze della cultura – o “scienze dello spirito”, come le definiva la tradizione crociana. Ed è interessante osservare come ciascuna delle “parti avverse” l’abbia sostenuta torcendo il bastone dalla propria parte. Benedetto Croce, ad esempio, degrada le scienze della natura a “pseudoconcetti” e considera le scienze dello spirito (di fatto, la sola filosofia concepita come etica ed estetica) come unico sapere autentico. Ma a ben vedere il neopositivismo di area anglosassone non è lontano da queste posizioni che contrappone in forma assiologicamente ribaltata, contrapponendo il “vero” (verificabile e falsificabile) sapere delle scienze esatte alle “chiacchiere” degli storici e degli umanisti [7]. Da questo punto di vista Lestel ha ragione quando sottolinea che “una disciplina come l’etologia è particolarmente interessante e i filosofi fanno male a snobbarla” [8]. L’impostazione “bicostruttivista” che l’autore propone rappresenta indubbiamente un ponte tra i due campi del sapere.

 

Le comunità ibride uomo/animale

 

Altre proposte metodologiche avvicinano ulteriormente scienze della natura e scienze della cultura. In Les origines animales de la culture, Lestel si chiede se le “scienze dell’animale” possano ragionevolmente trasformarsi in “scienze sociali” [9], precisando che già l’espressione “scienze dell’animale” suona strana nel linguaggio comune ed è assente in ambito accademico – al contrario dell’espressione “scienze dell’uomo” – per la semplice ragione che l’animale viene subito pensato come categoria biologica, nonostante l’etologia utilizzi in realtà da tempo concetti prossimi a quelli delle scienze umane.

Particolarmente significativi in questo senso, secondo l’autore, sono gli studi di primatologia sviluppati in Giappone a partire dagli anni ’50 che hanno messo in evidenza le complesse strutture parentali presenti presso certe scimmie (ad esempio, l’organizzazione matrilineare dei macachi giapponesi [10]): una prospettiva centrale nelle ricerche antropologiche, ma che la primatologia occidentale, molto più orientata alla zoologia, ha a lungo trascurato.

Questa proposta di avvicinare lo studio delle società umane a quello delle società animali richiede un importante chiarimento. Essa potrebbe infatti evocare il programma della sociobiologia alla Wilson, che senza dubbio rivendica una “riunificazione” delle due discipline attraverso “lo studio sistematico delle basi biologiche di ogni forma di comportamento sociale” [11], indicando tuttavia un percorso opposto. Wilson pensa infatti a un primato della biologia – declinata soprattutto in termini di determinismo genetico – sulla sociologia, mentre al contrario Lestel propone un massiccio utilizzo di strumenti sociologici, etnologici, psicologici (“ermeneutici” anziché “deterministici”, se mi si passa la semplificazione) nel campo dell’etologia.

Ma non si tratta semplicemente di operare metodologicamente in modo analogo nello studio dell’uomo, da una parte, e dell’animale, dall’altra. La proposta di Lestel è, per certi aspetti – e segnatamente per lo studio dell’uomo – più radicale e investe l’oggetto stesso delle scienze sociali, in quanto “tutte le società umane sono anche società animali”. Sostenere questo, continua l’autore, “sembra un truismo; eppure è assente dalla letteratura sociologica. La letteratura dedicata alle società umane e quella dedicata alle società animali sono d’accordo su questa reciproca esclusione. Società umane e società animali devono essere studiate e comprese indipendentemente le une dalle altre. Gli etnologi o i sociologi si interessano alle prime, gli etologi alle seconde. Non esiste uno spazio universitario dove si possano studiare uomini e animali insieme, perché siamo intimamente convinti che le società degli uni e quelle degli altri siano soggette a dinamiche intrinsecamente differenti. C’è bisogno di sviluppare un’autentica eto-etnologia che studi come umani e animali vivano insieme” [12].

La nozione di “domesticazione”, secondo l’autore, è insufficiente a dar conto del rapporto sociale che si instaura, in modi diversi nelle diverse società, tra uomini e animali e che non è semplicemente utilitaristico. Certo, le comunità ibride sono “innanzitutto comunità di interessi. Questi possono essere molto semplici, come nel caso in cui l’animale fornisce un servizio in cambio di nutrimento e protezione. Ma queste comunità di interessi non sono mai riducibili a questa dimensione, ciò che le distingue da simbiosi, parassitismi e altri commensalismi” [13]. Per riprendere una ben nota espressione di Kant, l’animale non è mai considerato esclusivamente come mezzo. Per citare ancora Lestel, “una comunità ibrida uomo-animale è un’associazione di uomini e animali, entro una data cultura, che costituisce uno spazio di vita per gli uni e gli altri, in cui sono condivisi interessi, affetti e senso” [14].

Un esempio di rapporto non semplicemente utilitaristico tra uomini e animali è, ovviamente, il caso degli animali da compagnia. Possedere un animale “di famiglia” è una pratica presente in tutte le popolazioni umane, così diffusa – sostiene Desmond Morris [15] – da poterla paragonare per estensione a quella della religione. Anche l’estrema diversità degli animali implicati in questo tipo di associazione con l’uomo è notevole: ancora Desmond Morris cita il caso degli Indiani d’America presso i quali si trovano alci, bisonti, lupi, orsi addomesticati, a volte nutriti al seno dalle donne quando vengono raccolti molto piccoli. Le relazioni con gli animali da compagnia sono cariche di senso e di emozioni tra individui appartenenti a specie diverse in cui l’individualità dei protagonisti conta più delle specie implicate: si tratta di “associazioni di individui singolari, uomini o animali che siano […]: le relazioni tra gli umani e i cani si stabiliscono sempre tra un certo uomo e un certo cane” [16].

Anche alcuni ricercatori stabiliscono legami comunitari particolarmente forti con gli animali che studiano. È senza dubbio il caso dei primatologi, ma anche di coloro che studiano gli elefanti, alcuni mammiferi marini o “altri animali che hanno una certa complessità cognitiva e che è possibile avvicinare frequentemente per lunghi periodi di tempo creando una certa familiarità” [17]. Le condizioni che consentono la formazione di comunità ibride sono infatti la prossimità spaziale e la continuità temporale: “nessuno ha mai stabilito relazioni privilegiate con un’effimera, proprio perché effimera; né con una balena blu la cui taglia e il cui modo di vivere escludono l’intimità con l’umano” [18].

Esistono poi situazioni di “vicinanza” in cui, pur non creandosi rapporti di familiarità, si stabiliscono comunque relazioni specifiche con gli uomini e con altri animali – ad esempio, le complesse e non banali relazioni tra lupi, pecore, cani e uomini.

Come si vede, la nozione di “comunità ibrida” è assai più estesa rispetto all’idea del rapporto tra uomini e animali domesticati.

 

 

Note

 

[1] Una sintesi di queste ricerche è contenuta in D. Lestel, Paroles des singes. L’impossible dialogue homme-primate, La Découverte, Paris 1995.

[2] D. Lestel, Pensare con l’animale, in Discipline filosofiche, n. 1, 2009, pp. 153-170.

[3] Ernst Mayer, uno dei massimi studiosi dell’evoluzione, contrappone “essenzialismo” a “popolazionismo”. Secondo Mayr l’essenzialismo – che presume l’esistenza di forme essenziali per ogniclasse di viventi, trattando le differenze individuali come deviazioni dalla norma rappresentata appunto da tali forme essenziali – ha dominato il pensiero occidentale per millenni. L’approccio popolazionista – che sostiene che una classe non è altro che l’astrazione concettuale di numerosi individui unici – sarebbe stato introdotto da Darwin e rappresenta in biologia una svolta radicale.

[4] “La natura è muta per noi, e soltanto grazie alla forza della nostra immaginazione, di tanto in tanto, vola su essa un barlume di vita e intimità [...]. perciò la natura ha per noi l'espressione di una pace sublime. Invece, tutti i nostri affetti sono presenti e viventi nel gioco delle interazioni sociali, poiché percepiamo in noi stessi, dall'interno, nella più vivace animazione, gli stati in base ai quali il sistema sociale si costruisce. Ma le leggi secondo cui si svolgono queste interazioni delle unità psico-fisiche nella società ci sono sconosciute, mentre quelle della interazione di particelle materiali nella natura si spiegano dinanzi a noi in una sempre più grande interazione sulla base delle relazioni spaziali e delle leggi del movimento” (W. Dilthey, Lo studio delle scienze umane, sociali e politiche, Napoli 1975, pp. 102-103).

[5] D. Lestel, Pensare con l’animale, cit., p. 168.

[6] Ibidem.

[7] Penso in particolare a K. Popper, Miseria dello storicismo, Feltrinelli, Milano 2013.

[8] D. Lestel, Pensare con l’animale, cit., p. 169.

[9] Cfr. D. Lestel, Les origines animales de la culture, Flammarion, Paris 2001, p. 301 e ss.

[10] Ivi, p. 304 e ss.

[11] E. O. Wilson, Sociobiologia. La nuova sintesi,

[12] D. Lestel, L’animal singulier, Seuil, Paris 2004, p. 16.

[13] Ivi, pp. 21-22.

[14] Ivi, p. 19.

[15] D. Morris, The animal contract. Sharing the Planet, 1990

[16] D. Lestel, L’animal singulier, cit., p. 21.

[17] Ivi, p. 22.

[18] Ibidem.