Botanici del Rinascimento 9. Leonhart Fuchs
Silvia Fogliato
Tra i “padri tedeschi della botanica”, il più noto è indubbiamente Leonhart Fuchs (1501-1566), che ha anche avuto in sorte di donare il suo nome a piante amatissime: le fucsie. Era bavarese, quindi nato in una regione rimasta sostanzialmente fedele al cattolicesimo, ma, come quasi tutti gli altri botanici tedeschi del Cinquecento, anch’egli aderì al Protestantesimo, una decisione che condizionò le sue scelte pubbliche e private.
Caso non raro alla sua epoca – quando il corso di studi differiva profondamente da quello odierno e solo i più dotati potevano studiare - fu una specie di fanciullo prodigio. Già a 12 o 14 anni frequentò i corsi di filosofia e storia naturale all'Università di Erfurt. A sedici anni aprì una propria scuola che funzionò per un anno. Si trasferì quindi a Ingolstadt dove completò gli studi e nel 1524 ottenne il titolo di medico. Per due anni praticò la medicina a Monaco di Baviera, quindi rientrò a Ingolstadt, ma nei panni di professore di medicina. Sappiamo che teneva i corsi di materia medica (ovvero botanica applicata alla medicina), ma, anziché accontentarsi di commentare il buon vecchio Dioscoride, amava guidare i suoi studenti (di poco più giovani di lui) in escursioni botaniche nelle campagne, che si trasformavano anche in allegre scampagnate, visto che era previsto uno spuntino a spese della facoltà di medicina.
Forse già ad Erfurt, Fuchs era entrato in contatto con la Riforma di Lutero; nel 1528 decise di lasciare la cattolica Baviera e di diventare il medico di un principe luterano, Giorgio di Brandeburgo-Ansbach. L'anno successivo scoppiò un'epidemia di peste, contro la quale il giovane medico si distinse per l'efficacia delle sue cure. Scrisse anche la sua prima opera (1530), Errata recentiorum medicorum ("Sugli errori dei medici più recenti"), in cui propugnava il ritorno ai semplici contro gli indecifrabili medicamenti compositi prescritti dai suoi colleghi; è dunque già visibile il collegamento tra lo studio delle piante e la preoccupazione per la salute dei suoi pazienti.
Fu ancora un principe protestante, Ulrico di Württemberg, la svolta definitiva alla sua vita. Desiderando riformare l’università di Tubinga in senso umanistico, secondo i dettami di Melantone, nel 1533 vi chiamò Fuchs ad assumere la cattedra di medicina; attivamente coinvolto nella vita universitaria, egli rimase a Tubinga fino alla morte ed ebbe anche incarichi istituzionali, ricoprendo per ben sette volte il ruolo di rettore. Con la sua numerosa famiglia, si trasferì a vivere nella Nonnehaus (“casa delle suore”), un grande edificio che prima della Riforma e della requisizione dei conventi ospitava una comunità di beghine. Annesso alla casa c’era un grande giardino, dove Fuchs intorno al 1535 creò un hortus medicus, ovvero un giardino dei semplici, dove amava coltivare anche le piante esotiche che molto lo incuriosivano. Anche se è considerato uno dei primi orti botanici, di fatto si tratta di un giardino privato, simile a quelli tenuti da molti medici e farmacisti del tempo; ma probabilmente Fuchs vi ammetteva volentieri i suoi allievi e certamente i pittori che illustrarono la sua opera più famosa, De historia stirpium commentarii insignes ("Notevoli commenti sulla storia delle piante"), pubblicato nel 1542.
Un erbario figurato che farà scuola
Come Herbarum vivae eicones di Brunfels è un erbario figurato in cui sono presentate, in ordine alfabetico, le piante medicinali e le loro virtù, con dotti riferimenti alla letteratura classica, in particolare a Dioscoride, Galeno e Plinio. Ma Fuchs risolve l’eterno problema del corretto riconoscimento delle piante accompagnando ogni specie con un’illustrazione dal vero, dettagliata ed affidabile. Più che nei testi, sui quali torneremo tra poco, è proprio nella qualità delle illustrazioni che consiste la principale novità di quest’opera che segna un ulteriore passo avanti per realismo e precisione rispetto alle immagini sia di Reuwich per Gart des Gusendheit sia di Weiditz per Herbarum vivae eicones.
Per la loro realizzazione il botanico diresse una piccola équipe di artisti, che lavoravano in stretto contatto con lui sotto la sua supervisione: il pittore Albrecht Meyer disegnava le piante dal vero, ritraendone i particolari nelle diverse stagioni; il copiatore Heinrich Füllmaurer trasferiva i disegni su tavole di legno; l'incisore Vitus Adelphus Spreckle incideva le matrici e colorava le incisioni ad acquarello (il libro era stampato in bianco e nero, ma in alcuni esemplari, più costosi, le xilografie erano successivamente colorate a mano). Fuchs riteneva così importante il loro contributo che, per la prima volta nella storia del libro, volle non solo che i loro nomi fossero ricordati nel testo, ma che tutti e tre fossero ritratti nella pagina che conclude il volume. Fece invece ritrasse se stesso, con una sontuosa pelliccia di volpe (allusione al suo nome che in tedesco significa appunto volpe), subito dopo il frontespizio.
L'eccezionale qualità delle illustrazioni di De historia stirpium è frutto di tre circostanze: il perfezionamento dell'arte della stampa, che ormai permetteva di stampare da matrici di legno duro (xilografia) con incisioni di notevole qualità e finezza; l'ideale del naturalismo, diffuso dal Rinascimento, che propugnava una riscoperta diretta della natura, da studiare di per se stessa e non come specchio del creatore; l'esigenza pratica di dotare gli studenti di medicina e i medici praticanti di uno strumento che permettesse finalmente un riconoscimento univoco.
Le tavole del testo di Fuchs sono importanti nella storia dell'illustrazione botanica, perché in qualche modo ne fissano le convenzioni che - con minime modificazioni - rimarranno invariate per secoli: la pianta viene disegnata intera, con tanto di radici, nel momento del suo massimo rigoglio, completa di fiori in boccio, fiori sbocciati, frutti. Le illustrazioni di De historia stirpium in effetti costituirono un modello, molto imitato quando non semplicemente riprodotto con vere operazioni di pirateria editoriale. A oltre due secoli dalla loro realizzazione, saranno ancora utilizzate nel 1774 in un'opera di Salomon Schinz.
Un peperoncino latino
L'opera è meno innovativa per i contenuti. Fuchs - anche se dichiarava di partire dalle proprie esperienze di medico e da conoscenze dirette - per la descrizione delle piante note e delle loro proprietà si rifaceva quasi totalmente ai testi classici; del resto, una delle sue aspirazioni era che gli studenti e i medici potessero identificare con certezza le piante descritte dagli antichi, in primo luogo Dioscoride. Su questa strada commise anche errori, ad esempio identificando piante tedesche con piante mediterranee che semplicemente non conosceva.
?Il libro descrive 497 piante, accompagnate da 517 illustrazioni e ordinate in ordine alfabetico sulla base del nome greco. Ogni voce ha una struttura ricorrente da cui ben si può notare il carattere prescientifico dell'opera:
• Nomina: i nomi della pianta in greco, latino e tedesco, spesso con note etimologiche e dotte;
• Genera: le differenti varietà (noi oggi diremmo le specie), con i caratteri distintivi ricavati essenzialmente dagli autori classici;
• Forma: descrizione (aspetto generale, fusto, foglie, fiore, frutto) in genere molto sintetica;
• Locus: l'habitat della pianta (ripreso essenzialmente dagli autori classici);
• Tempus: il momento migliore in cui va raccolto per gli usi medici e farmacologici;
• Temperamentum: le caratteristiche "umorali" della pianta (in base alla teoria dei quattro umori: sanguigno, flemmatico, bilioso, malinconico);
• Vires: poteri medicamentosi, tratti dall'esame di Dioscoride, Galeno, Plinio e altri autori classici. È la sezione più ampia, che può occupare anche qualche pagina.
Talvolta si aggiungono le proprietà dei principali preparati ricavati dalla pianta o da sue parti, eventualmente accompagnati da ricette e indicazioni pratiche.
Tra le circa cento specie descritte per la prima volta, De historia stirpium contiene anche la più antica descrizione di alcune piante americane: il mais (chiamato Turcicum frumentum), quattro varietà di peperone o peperoncino, alcuni tipi di zucche, un fagiolo americano, una specie di Tagetes. È curioso che anche in questo caso Fuchs assimili queste piante a specie descritte dagli autori classici e non sembri conoscerne la provenienza: le zucche e il fagiolo americano sono semplicemente inseriti nei generi corrispondenti del vecchio mondo; il Tagetes (chiamato già con il nome latino Tagetes indica) è assimilato a una specie di Artemisia (e il nome è forse collegato alla divinità etrusca Tages). Il caso più divertente è quello del peperoncino, identificato con una pianta descritta da Plinio con il nome siliquastrum, grazie al fatto che la bacca è grande (siliquastrum significa letteralmente “con un grande baccello”). Quanto al mais, Fuchs deve rassegnarsi ad ammettere che gli antichi non lo conoscevano (è descritto nell'ultima parte del volume, dove egli elenca le specie prive di nome greco), ma pensa che arrivi dalla Grecia, ai suoi tempi sottomessa ai turchi (donde il nome Turcicum frumentum, il nostro granoturco).
Pur con questi limiti, il testo è un caposaldo della nascente botanica e ottenne un immediato successo, tanto che già l'anno successivo l'autore ne predispose un'edizione ridotta (quindi più maneggevole e meno costosa) in lingua tedesca, Neue Kreüterbuch (1543). Di entrambe le versioni e delle traduzioni che ne vennero ricavate in olandese, francese, tedesco, spagnolo uscirono ben 39 edizioni nel corso della vita dell’autore (che morì nel 1566). Quanto alle incisioni, furono largamente riprodotte e plagiate per almeno duecento anni.
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Un fiore rosa fucsia
Come molti botanici prelinneani, Fuchs deve il suo ingresso nell’Olimpo dei dedicatari di un genere botanico al buon padre Plumier, che nel suo Nova plantarum americanarum genera (1703) celebrò i big della botanica dedicando loro molte delle nuove piante che aveva scoperto nei suoi viaggi nelle Antille. Fuchs, insieme a Mattioli, era probabilmente il botanico più celebrato del suo tempo; bisognava dunque scegliere una pianta degna di tanto personaggio. La scelta di Plumier cadde sulla magnifica Fuchsia triphylla flore coccineo (oggi Fuchsia triphylla).
Qualche anno dopo, nel 1725, un altro naturalista francese (come Plumier, anche lui frate minimo e provenzale), padre Louis Fueillée, descrisse un'altra specie che aveva visto in Cile, presumibilmente F. magellanica. La prima ad arrivare in Europa fu però F. coccinea, descritta nel catalogo dei Kew Gardens nel 1788 da William Aiton; l'introduzione è attribuita a un misterioso capitano Firth. In ogni caso F. coccinea è di origine brasiliana, non è rustica e a lungo fu coltivata come pianta da serra. Più o meno negli stessi anni deve essere arrivata anche F. magellanica (nei testi dell'epoca c'è una certa confusione tra le due specie) che invece è rustica e si naturalizzò abbastanza presto nelle isole britanniche.
Altre specie arrivarono in Inghilterra negli anni venti e trenta dell'Ottocento, dando vita a una voga che da allora non ha fatto che crescere; un'introduzione importante è F. fulgens che è all'origine di molti ibridi. Tra i primi ibridi orticoli, 'Venus Vitrix', del 1840, la prima cultivar con calice bianco. Da quel momento la fucsia divenne una delle piante più amate, mentre sempre più specie e ibridi venivano introdotti nelle serre e nei giardini. Attualmente, le varietà si contano a migliaia.
Il vecchio Fuchs ha avuto anche l'onore di battezzare un giovanissimo colore: nel 1859 il chimico francese François-Emmanuel Verguin produsse sinteticamente una nuova anilina che chiamò fuchsina, per il colore simile a quello di certe fucsie; anche se poco dopo il nome fu cambiato in magenta, per celebrare la battaglia di Magenta del 4 giugno 1859, il color fucsia è rimasto; e come la pianta da cui prende il nome, ha molti cultori.
Bibliografia
FUCHS, L. (1542), De Historia Stirpium commentarii insignes, in officina Isingriniana, Basileae.
BRINKHUS, G. (2001), Leonhart Fuchs (1501–1566), Mediziner und Botaniker, Stadtmuseum Tübingen, Tübingen.
SCHLAGBAUER, A. (2002), Leonhart Fuchs (1501-10. Mai 1566), in Lebensbilder aus dem Ries vom 13. Jahrhundert bis zur Gegenwart, a cura di W. D. Kavasch, G. Lemke e Albert Schlagbauer, Verlag Rieser Kulturtage, Nördlingen, pp. 78–87.
SPRAGUE, T. A. ? NELMES, E. (1931), The Herbal of Leonhardt Fuchs, «The Journal of the Linnean Society of London», vol. XLVIII, n. 325, October 1931, pp. 545-642.
ZUCCHI, L. V. (2003), Brunfels e Fuchs: l'illustrazione botanica quale ritratto della singola pianta o immagine della specie, in «Nuncius: Annali di Storia della Scienza», Anno XVIII, 2003, fasc. 2, pp. 411-465.