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La scorciatoia trofica

 

Piramide trofica    

La scorciatoia trofica

 

Fabio Fantini

 

Nella lettura di un testo di ecologia si finisce spesso con l’imbattersi in quella figura emblematica, vero tòpos iconografico della disciplina, che rappresenta i livelli trofici di un ecosistema con lo schema geometrico di una piramide a strati sovrapposti (figura a lato). Per i frequentatori di questo sito sarebbe superfluo dilungarsi in descrizioni. Mi limito, pertanto, a richiamare il concetto illustrato dalla forma piramidale dello schema: l’energia che fluisce in un ecosistema, in genere proveniente dal Sole, passa da un livello trofico al successivo con efficienza modesta, mediamente del 10%.

Rispetto al primo livello trofico, quello dei produttori che hanno impiegato l’energia solare per produrre biomassa, il livello trofico successivo, quello dei consumatori di primo ordine, ha una biomassa circa dieci volte più piccola e la stessa proporzione vale per l’energia in esso contenuta. Se si sale al livello trofico successivo, quello dei consumatori di secondo ordine, biomassa ed energia sono ridotte a un ulteriore 10% e corrispondono, all’incirca, all’1% di quelle dei produttori. Per ogni successivo livello trofico il calcolo si ripete con la stessa percentuale e non è difficile intuire che i consumatori di terzo ordine potranno contare su una biomassa dell’1‰ rispetto ai produttori, che i consumatori del quarto ordine su una biomassa dello 0.1‰ di quella dei produttori e così via.

La ridotta efficienza energetica deriva dalla non totale commestibilità degli organismi del livello trofico precedente, dal consumo metabolico di questi organismi, dalla inevitabile dispersione sotto forma di calore  che accompagna ogni trasferimento di energia. La sostanza di tutto ciò è che la biomassa va incontro a una serie di restrizioni successive a ogni passaggio di livello trofico.

Anche se esistono alcune eccezioni, dovute ad animali che predano in gruppo (e noi umani ne sappiamo qualcosa), in generale le dimensioni di un predatore sono superiori a quelle della preda. Non solo la biomassa disponibile decresce rapidamente, quindi, ma il numero di individui decresce ancora più rapidamente da un livello trofico al successivo. I grandi predatori sono pochi e spaziano su un territorio abbastanza ampio da imbattersi in un numero sufficiente di prede.

Da queste premesse si conclude che il numero dei livelli trofici presenti in un ecosistema è limitato, perché dopo pochi passaggi l’energia disponibile si riduce in modo drastico. Inoltre, il ridotto numero di individui del livello trofico immediatamente precedente renderebbe ardua la sopravvivenza di eventuali superpredatori costretti a cercare rare prede con grande dispendio energetico in territori molto estesi. Per quanto un ecosistema possa essere ampio ed efficiente nello sfruttamento dell’energia grazie alla biodiversità che ospita, raramente i livelli trofici presenti sono più di quattro o cinque, vale a dire fino a consumatori del terzo o quarto ordine.

 

Secondo principio della termodinamica e considerazioni di efficienza biologica vanno a braccetto per limitare il numero di livelli trofici negli ecosistemi. Esiste, però, una scappatoia per ridurre la dispersione di energia e anche per eludere il problema delle dimensioni crescenti degli individui nel passaggio al livello trofico successivo. Questa scorciatoia trofica è il parassitismo.

Sono specie parassite quelle che traggono nutrimento da un’altra specie, alla quale arrecano danno. Il parassitismo rappresenta una soluzione adattativa molto efficiente, almeno a giudicare dalla sua diffusione presso tutti i regni dei viventi (sì, esistono anche piante parassite). A rigore, il livello trofico di un parassita è immediatamente superiore a quello della specie parassitata, perché aumenta il numero di passaggi, attraverso la catena alimentare, attraverso i quali si attinge all’energia. Una specie parassita di un consumatore dell’ordine più elevato presente nell’ecosistema si trova a un livello trofico superiore.

Il numero delle specie parassite, se si tiene conto anche di quelle che lo sono solo in una fase della propria vita, è stimato come maggiore di quelle a vita indipendente. Per spiegare questa affermazione, a prima vista sorprendente, occorre tenere presente che il parassitismo evolve quando, nella rete di relazioni trofiche che modellano il flusso di energia nell’ecosistema, una specie trova una scorciatoia per accedere direttamente a risorse che un’altra specie, l’ospite, aveva elaborato per sé. Queste risorse sono facilmente e completamente utilizzabili, non richiedono dispendio energetico per il procacciamento né fatica metabolica per la rielaborazione. Il trasferimento di energia dall’ospite al parassita ha una resa ben superiore a quel 10% medio che caratterizza il passaggio tra livelli trofici, un fatto che consente alle specie parassite di sfruttare come ospiti popolazioni anche poco numerose e, di fatto, di aggiungere con poca fatica un ulteriore livello trofico all’ecosistema. Anche le specie apicali di una comunità, quelle che non hanno predatori, sono esposte all’attacco dei parassiti e ne possono soffrire in maniera considerevole. Quasi per un superiore senso di giustizia, nessuna specie della comunità, per quanto apicale, può considerarsi esente da aggressioni biologiche di qualche tipo, come gli agenti infettivi si preoccupano ogni tanto di ricordarci.

 

endoparassita

Le specie endoparassite, e a volte anche quelle ectoparassite, hanno strutture anatomiche e morfologiche semplificate, che le rendono inadatte all’esistenza autonoma. In compenso, le specie parassite sono caratterizzate da straordinaria prolificità, per fronteggiare con il grande numero di discendenti la difficoltà di passaggio dal confortevole ambiente offerto dall’ospite a quello dell’ospite successivo attraverso le avverse ostilità dell’ambiente esterno (figura a lato).

Poiché la fantasia delle soluzioni evolutive è praticamente infinita, esistono molte specie che sono parassite in una fase della vita e sono invece capaci di vita autonoma in altre fasi. Questo fenomeno è comune in molte specie di insetti olometaboli, cioè quegli insetti caratterizzati dal passaggio, attraverso più fasi, da larva ad adulto. Le larve hanno regimi alimentari e caratteristiche anatomiche assai differenti dagli adulti, spesso fino al punto da appartenere a un diverso livello trofico. Un esempio ben noto è costituito dagli imenotteri icneumonidi, una famiglia di vespe in cui la maggioranza delle specie depone le uova all’interno o sulla superficie di un ospite. Alla schiusa delle uova, le larve si nutriranno dei tessuti dell’ospite ancora vivo, anche se spesso paralizzato, mantenuti nel frattempo in buono stato di conservazione [i]. Da adulti, invece, gli icneumonidi si nutrono di linfa delle piante e di nettare. Un passaggio auspicato ma un po’ tardivo a una salutare dieta vegetariana, penserebbe con rammarico l’ospite che ne ha ospitato lo sviluppo larvale. 

  

Didascalie

(1) Questa figura, tratta da https://it.wikipedia.org/wiki/Piramide_ecologica, benché forse incompleta (manca l’indicazione dell’energia degradata sotto forma di calore da parte dei decompositori), fornisce un esempio paradigmatico della piramide dell’energia (e delle biomasse) rappresentata nei testi di ecologia.

 

(2) La sacca chiara che protrude dall’addome del granchio (A) è la parte esterna di un  parassita, il cui corpo è costituito da una massa filamentosa diffusa in tutto il corpo dell’ospite (B), dal quale assume senza fatica il nutrimento. È difficile immaginare che il parassita sia anche esso un crostaceo (genere Sacculina), la cui parentela con i cirripedi (C), crostacei sessili diffusi nei mari di tutto il mondo e noti come «denti di cane», è rivelata solo dalla somiglianza allo stato larvale.

 

Nota 

[i] A rigore, nel caso delle vespe icneumonidi si dovrebbe parlare di organismi parassitoidi, perché la relazione di parassitismo si conclude inevitabilmente con la morte dell’ospite, mentre nel parassitismo propriamente detto l’ospite è danneggiato dalla sottrazione di risorse operata dal parassita, che però non risulta fatale, almeno non nel breve periodo. Come relazione trofica, il parassitoidismo assomiglia in parte alla predazione, ben più del parassitismo vero e proprio.