Uno storno per amico
di Stefania Bracci
Il titolare del “Caccia e pesca” cui stavo telefonando per sapere se aveva i bigattini mi stava dicendo: “se ha trovato uno storno non pensi di addomesticarlo… non è come un merlo, gli storni sono animali selvatici”.
È da questa frase che voglio iniziare per raccontare la straordinaria occasione di conoscenza che io e Marco, mio marito, abbiamo avuto 2 anni fa.
Non sono una studiosa della natura, ma forse proprio perché i mio lavoro è antropocentrico, amo molto ciò che non è “umano”, mi fa stare bene, e provo a ricambiare mantenendo inalterato da 58 anni un profondo senso di gratitudine e di rispetto.
Non sarà un racconto scientificamente corretto ma spero di passarvi un’emozione e di poter condividere qualche riflessione.
Marco arrivò in studio con una scatola in cui aveva messo il piccolo, caduto dal tetto della nostra casa. Lo aveva trovato al bordo della siepe, che guardava verso l’alto, strillando come un pazzo… strillava così forte che il gatto dei vicini, a meno di un metro di distanza, lo guardava tra l’imbambolato e l’interdetto... Aveva provato a rimetterlo sul tetto per vedere se qualcuno veniva a riprenderselo, poi aveva desistito e lo aveva portato in studio.
Promesso a Marco, e soprattutto a me stessa, che mettevo in conto che potesse non farcela, ci siamo recati all’“agraria” più vicina per acquistare il mangime adatto. Il negoziante ci ha detto che si trattava di uno storno e ci ha riforniti di una farina per insettivori.
Ben presto abbiamo scoperto di essere i genitori surrogati di un unico ed insaziabile tubo digerente. In quell’esserino decisamente brutto la presenza di zampe, bozze d’ali e di coda al momento non sembrava avere altra funzione se non quella di nascondere questa verità.
Non credo che gli uccelli diurni nutrano le loro nidiate dopo l’ora del tramonto, ma al momento questo primo indizio di “contaminazione” era l’ultima delle nostre preoccupazioni, presi come eravamo a cercare di capire quando e quanto cibo dargli.
Fortunatamente Marco equilibrava le mie ansie nutrizioniste: adottando la regola del poco e spesso, del dopo tramonto solo se la richiesta perdurava anche ad oscuramento completo della scatola, siamo riusciti a trovare la quantità giusta per farlo sopravvivere.
I giorni passavano e giorno dopo giorno quell’accrocchio sproporzionato e spennacchiato cominciava a prendere forma e a dare il giusto merito alle altre parti del corpo.
Passammo dalla farina primi giorni al pastoncino un po’ più energetico, che integravamo scrupolosamente con frutta secca. Lo storno perdeva il pelo e cominciava a mettere le prime piume, a tentare goffamente di uscire dalla scatola, a nutrirsi in posizione eretta, salendo sul dito
Integrammo pastoncino energetico e frutta secca con insetti appena cacciati, vermi, carne cruda, tutto nelle giuste proporzioni per evitare danni a breve, medio e lungo termine a reni, fegato e cuore, secondo i protocolli di ogni corretto svezzamento, qualunque sia il genere al quale faccia riferimento.
Lo storno cambiava le piume; metteva le maestre; volava in 1, poi in 2, poi in 3 stanze, poi in tutta la casa e in tutto lo studio. Anche gli atterraggi, come i decolli e le virate, erano sempre più sicuri e meno incidentati.
Se la storia si fermasse qui, a prove di volo e di assunzione di cibo, deporrebbe a favore della frase: “se ha trovato uno storno non pensi di addomesticarlo....” volare e cibarsi sono atti riconducibili al patrimonio genetico. D’altra parte in noi non c’era alcun intento di “addomesticare”: volevamo solo essere la sua opportunità perché potesse tornare a volare con i suoi simili e per questo avevamo preso contatti con la Lipu che lo avrebbe accolto appena autonomo.
Inoltre lui, da buon animale selvatico, non si sarebbe fatto di certo addomesticare indipendentemente dal nostro comportamento, conscio o inconscio.
Peccato però che mentre rispondevo che sarei passata nel pomeriggio a ritirare i bigattini, il selvatico storno stesse passando dalla mia testa (suo campo giochi preferito) sulla mia spalla per soffermarsi a dare tante beccatine sul collo e ritornare soddisfatto ad appollaiarsi sul polso destro, dove il movimento per spostare il mouse durante il mio lavoro in ufficio doveva davvero essere un grandissimo godimento, che accompagnava con sommessi gorgoglii, che avevano l’eco di una dolce ninna nanna.
Peccato che durante il primo periodo di svezzamento non mangiasse niente, nemmeno alimenti di cui si è mostrato subito molto goloso, se prima non li toccavo con il dito, li separavo e glieli offrivo. Il veterinario della Lipu spiegava che il mio dito era il surrogato del becco della sua mamma, che gli insegna cosa mangiare e cosa no. Io avevo la stessa funzione, guidarlo nella scelta e assicurargli che sì, quella cosa poteva mangiarla senza pericolo.
Peccato che nella seconda fase dello svezzamento fosse lui a portare a me, depositandolo sulla tastiera, quanto identificava come possibile cibo e ad aspettare paziente che glielo restituissi a conferma che sì, poteva mangiarlo.
In questo modo ha imparato a non ingoiare gommini, elastici, puntine e quant’altro avesse vaga somiglianze con qualcosa di già acquisito come commestibile.
Peccato che fosse lui a segnalarmi che scarseggiava l’acqua facendo la spola fra me e l’abbeveratoio o la vaschetta del bagno fino a quando non provvedevo. Gli storni amano moltissimo farsi il bagno e li avete mai visti quando corrono?
E la sua curiosità, la sua voglia di giocare, le sue continue sollecitazioni finalizzate a richiamare la nostra attenzione, la sua tenacia quasi prepotente nell’ottenerla, la sua ingenua e totale fiducia in noi, che trasferiva su chiunque entrasse nel suo spazio. Alla faccia di quello che avremmo voluto o non voluto, eravamo diventati noi i suoi gregari e con questo avremmo dovuto fare i conti, tutti quanti.
Era diventato a tutti gli effetti un animale “domestico”. Addomesticato no, se per addomesticare si intende addestrare l’animale ad assumere un determinato comportamento desiderato, attraverso la ripetizione di specifiche azioni. Domestico sì, se per domestico si intende il risultato di una straordinaria capacità di riparametrarsi, per trovare all’interno di un ambiente alieno al proprio habitat naturale quanto necessario alla propria sopravvivenza, al bisogno di gregarietà, al soddisfacimento di comportamenti sociali.
Noi non abbiamo fatto niente: ha sempre condotto lui il gioco. Noi abbiamo avuto solo il compito di osservare, cercare di capire e di intervenire con i minori danni possibili.
A questo punto, provocatoriamente, considerando anche la fastidiosa consapevolezza di un valore positivo attribuito ad addomesticare e di uno negativo associato a selvatico, vorrei chiedere a tutti i venditori di bigattini del mondo: in questa storia, secondo voi, chi è l’addomesticato e chi è l’addomesticatore? Chi ha avuto più da insegnare e chi più da imparare? ... e un bel bagno di umiltà?...
E a tutti i cacciatori del mondo: affidare quell’esserino ormai di famiglia alla Lipu ci ha richiesto uno strappo emotivo che forse vi farà sorridere. Ma il compito più difficile è nuovamente toccato a lui costretto ad un percorso inverso.
Ha impiegato 2 mesi per riacquistare la paura di noi umani e un altro mese per comportarsi senza “latenze e sospensioni” come i suoi simili. Quando ci hanno comunicato che era pronto per essere liberato insieme al suo gruppo era riaperta la stagione della caccia. Non nascondo che siamo stati davvero combattuti e con grande fatica siamo riusciti a che dire di sì, era giusto liberarlo, perché costringerlo a vivere all’interno di una voliera per quanto grande, era comunque una violenza. Non so se abbiamo fatto la scelta giusta ma mi auguro di avere fatto quella meno sbagliata.
E ancora oggi voglio credere che nonostante voi, lui sia lì, a disegnare nel cielo quelle incredibili, meravigliose nuvole che si muovono all’unisono.
Fermatevi un attimo e guardatevi dentro: ma davvero credete di essere così “importanti” per arrogarvi il diritto di sottrarre a noi, ai vostri figli e nipoti tanta immeritata bellezza?
Videostoria
Dopo tre settimane | Cresce: pastoncino energetico | è grande e si nutre da solo |
Al lavoro | è curioso di tutto | Ancora lavoro |
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Ultimi giorni prima dell’affido alla LIPU |
... un esempio di storni liberi alle prese con un albero di cachi
Una nuvola di storni si posa sulla quercia e parte a folate all’attacco di cachi maturi. Dopo una decina di minuti pochi passeri riprendono il campo desolati da tanta devastazione