Sul filo dello zero
di Luciana Bussotti
La gita scolastica volgeva ormai alla fine. Rientrati dalla Francia, percorrevamo l’autostrada nei pressi di Genova già immersi nel buio. I ragazzi erano stranamente silenziosi. Il crollo dell’euforia per loro si stava facendo sentire; dopo tante notti trascorse praticamente in bianco, chi sonnecchiava con le teste che ciondolavano (qualche coppia appena formata, che non avrebbe retto al rientro nella normale routine scolastica, ne approfittava per giustificare quell’appoggiarsi sulla spalla del lui o della lei di turno) chi giocava a carte, ma niente cori, prese in giro dei professori, scherzi rumorosi...
Qualcuno ha messo una cassetta di Benigni, quella con Adamo-o, Abele-e... ma pochi la seguono. Anche noi prof cominciamo a rilassarci: il peggio è passato, nessuno si è fatto male, non abbiamo perso nessun studente, abbiamo visto cose interessanti (i ragazzi le avranno viste?); ora tutta la stanchezza accumulata assieme alla tensione per le responsabilità ci piomberà sulle spalle, ma siamo stati fortunati e abbiamo imparato a conoscere meglio alcuni dei nostri studenti. Bilancio positivo.
Sta piovendo, ma poco importa; anche in questo abbiamo avuto fortuna: l’uggiosa pioggia di una mattina si era trasformata in neve all’arrivo a destinazione, il Parco di Monterey, alle spalle di Barcellona, con grande goduria degli studenti; per il resto, il tempo ci aveva assistito. Sì, perché la scelta di Istituto di piazzare le gite tra l’ultima settimana di febbraio e la prima di marzo, le rendeva sempre a rischio, in particolare quelle di tipo naturalistico che organizzavo io.
Mi piace guardare dal finestrino anche la notte; quel tratto di strada mostra a intervalli degli scorci, con luci sulle colline o giù, vicino al mare. Guardo anche i finestrini dell’altra corsia e mi sembra che ci sia qualcosa di strano. Mi alzo per osservare meglio: nevica! Torno al mio posto, controllo meglio: piove! A sinistra, versante monte, nevica, a destra, versante mare, piove! Se ne accorgono anche i ragazzi.
In pratica il pulmann sta percorrendo la linea dello zero termico. Ce ne parlano in televisione, ci dicono l’altitudine a cui si verificherà il passaggio da neve (acqua solida) a pioggia (acqua liquida), ma non avrei potuto mai immaginare di trovarmi su quello spartiacque*. Eppure ai concetti metereologici corrispondono situazioni reali: stavamo percorrendo un’isoterma, quella dello zero termico, appunto. Ottima e comprensibilissima lezione di scienze.
*E‘ vero che ai concetti corrispondono realtà, ma la terminologia e il relativo contenuto non sono mai banali. Qui nel racconto semplificando ho fatto coincidere l’isoterma a cui la neve si scioglie con lo “zero termico”. Per la correttezza riporto la definizione ripresa da Wikipedia
Lo zero termico è il dato meteorologico che indica l'altitudine alla quale la temperatura nella libera atmosfera è (o sarà, nel caso di una previsione) di zero gradi Celsius. Al di sopra di tale altitudine la temperatura è generalmente inferiore allo zero (tranne nei casi di inversione termica).
Il dato dello zero termico è indicato in metri di altezza sul livello del mare, ed è significativo solo se riferito ad aree geografiche ristrette…
Il dato dello zero termico è di fondamentale importanza nei bollettini nivometeorologici per poter determinare il pericolo di valanghe e il limite delle nevicate nel caso di precipitazioni (tale limite è collocato a 300 / 600 metri al di sotto della quota dello zero termico).
Isoterme
Si dicono quelle linee sulle carte del tempo che uniscono i punti della terra e del mare che hanno la stessa temperatura; ad es. isoterma 0°C.