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Sasso di Bosconero: una bella cima poco frequentata

Sasso di Bosconero: una bella cima poco frequentata

di Carla Ermoli e Leo Piacentini

 


È la terza estate che passiamo in Val di Zoldo (BL). Abbiamo già esplorato le zone più accessibili: i rifugi attorno alla Civetta e al Pelmo, i bivacchi ai piedi del Mezzodì-Pramper e del Tamer-S. Sebastiano. Ci siamo spinti anche più a Nord, nelle zone attorno al Giau e al Falzarego. Ma ci manca il Bosconero, il Sasso di Bosconero. L’abbiamo contemplato da quell’osservatorio speciale che è la forcella delle Ciavazole, sopra il passo Cibiana, e dallo stupendo balcone di mughi che costituisce il “Triol daré Copada”. Abbiamo percorso ai suoi piedi il sentiero botanico del Fagarè, siamo arrivati al piccolo e suggestivo laghetto delle streghe, da cui emergono rami scheletriti, travolti in occasione della lontana frana del 1966. Siamo stati anche al rifugio Casera di Bosconero, ristrutturato in anni recenti, dove ci ha accolto una giovane donna sorridente ed ospitale che nel 1999 era sola lassù tra le sue crode, di cui conosce, per averle praticate, le vie, i passaggi, le pareti di arrampicata. In un’altra occasione Gian, assieme a Roberto, era sceso giù per le Ciavazole, per risalire alla forcella del Matt e successivamente a quella della Toanella.

 

Canalone al foto del Matt Sasso Toanella
Canalone al forcella del Matt
Forcella delle Ciavazole con il ripido ghiaione

 

Ci aveva parlato di quella esperienza in modo entusiastico, dicendo che si trattava di una montagna eccezionale, solitaria, poco battuta, poco addomesticata, un po’ come la montagna “di una volta”. Una montagna, anzi un gruppo, che offriva non solo vie nuove a chi andava per rocce, ma anche al semplice escursionista che poteva godere di panorami inusuali, di silenzi, di selvatichezza.

 

Un altro pinnacolo
Un altro bel pinnacolo

 

Non si tratta di zone banali che possono essere affrontate con superficialità, piuttosto richiedono una discreta esperienza di montagna a causa dei ripidi ghiaioni, delle tracce di sentiero punteggiate solo da ometti, della scarsa frequentazione dei percorsi che ti possono ancora dare la sensazione di appartenere alla categoria dei primi esploratori dolomitici dell’Ottocento. Da queste parti esistono ancora i cosiddetti “viaz”, antichi sentieri non segnalati su cui si spingevano i cacciatori di camosci, per cenge esposte e passaggi che richiedono dimestichezza con la roccia. Di qui passa l’alta via n. 3, assai poco conosciuta, e così pure l’anello zoldano, un percorso circolare di sei giornate di cammino. Ma non c’è affollamento su questi monti che incutono rispetto nonostante non superino i 2500 metri, quasi un niente rispetto a vicini colossi dolomitici che oltrepassano i 3000.

Da una ventina di giorni mio marito ed io, assieme ad alcuni amici, siamo quassù, a Mareson, un piccolo e tranquillo paese dello zoldano. Leo ed io abbiamo deciso di salire sul Sasso del Bosconero spezzando in due l’itinerario che da Forno, e più precisamente dal lago di Pontesei, porta alla vetta. Si tratta di circa 1700 metri di dislivello che non ci sentiamo in grado di affrontare in una sola giornata. Così, dopo aver consultato le previsioni meteorologiche del centro di Arabba valide per tutte le Dolomiti, decidiamo di partire il 20 luglio, alle 16, in direzione del rifugio del Bosconero. Si tratta di un percorso facile e a noi ben noto. Lo zaino più pesante del solito, sui 7-8 chili, si fa sentire e così pure il caldo umido del bosco di pini neri. E’ un’estate pazza, discontinua; pochi giorni fa nella zona dell’Averau siamo stati sorpresi dal nevischio, oggi invece grondiamo di sudore. Si parte da poco più di 800 metri per giungere a poco meno di 1500. Dopo la ripida salita fra i pini c’è fortunatamente qualche tratto più morbido, attraversiamo una zona di faggi e poi più su di nuovo il sentiero si fa ripido quando passa per un bosco di abeti. Dopo circa un’ ora e trenta arriviamo al rifugio. Ci aspettiamo, data l’ora, poche persone, ma rimaniamo sorpresi. 

 

Rifugio di monte Bosconero
Rifugio Casera di monte Bosconero

 

Attorno al rifugio sono accampati in piccole tende una sessantina di ragazzi di scuola media, accompagnati da un gruppo di insegnanti. Veniamo poi a sapere che si tratta di un’ iniziativa promossa dal Provveditorato agli studi di Belluno. All’inizio siamo un po’ delusi da questo imprevisto affollamento; abbiamo timore che i ragazzi siano eccessivamente rumorosi. Dovremo ricrederci: alla 22,30 non si sentirà più una voce.

Nel dormitorio, posto accanto al rifugio, ci siamo Leo ed io, più un gruppo di nove tedeschi. Verso le 22,30 entrerà un’altra persona, forse un accompagnatore dei ragazzi, che distrattamente o per non far rumore non chiuderà del tutto la porta di ingresso. Così il freddo più intenso mi farà rimpiangere di non aver portato con me un berretto di lana.

La mattina dopo sveglia alle 6.15, così da poter partire verso le 7. Il nostro amico Gian non ha dormito al rifugio; intende partire molto presto da Pontesei così da raggiungerci lungo il percorso o in vetta. Percorrerà 1700 metri di salita in una sola giornata. Noi due partiamo da soli e in perfetta solitudine compiremo tutto il percorso fino al Sasso di Bosconero: circa tre ore di cammino a un passo normale. All’inizio passiamo accanto alle tende dei ragazzi che stanno svegliandosi proprio allora, sentiamo le loro voci e i loro primi commenti scherzosi. Fa fresco, il sentiero si presenta subito ripido e non spianerà mai. Per breve tratto passiamo fra gli abeti, poi fra i larici e infine fra i mughi; ben presto la montagna si fa aspra, dura. Alla nostra destra le Rocchette, di fronte il Sasso del Bosconero e gli Sfornioi, alle nostre spalle la Civetta. Già a bassa quota, verso i 1800 metri, comincia la salita su per i ghiaioni. Per fortuna siamo nel versante in ombra, il sole non ci ha ancora raggiunti e la temperatura è gradevole. Ho con me i bastoncini telescopici che apprezzerò particolarmente quando il ghiaione si farà sempre più ripido. Entriamo nel vallone che porta alla forcella della Toanella, sulle ghiaie il sentiero si trasforma in una semplice traccia, le pareti diventano sempre più incombenti.

 

Sasso della Toanella
Sasso di Toanella

 

Finalmente accanto alla Rocchetta spunta il Sasso della Toanella, forse il torrione più bello della zona, verticale, colorato, illuminato dalle prime luci. Leo ed io saliamo con fatica, avvertiamo la bellezza selvaggia, primitiva, la solitudine in cui siamo immersi. Non più un fiore né un filo d’erba. Solo sfasciumi, rocce, silenzio e fatica. Ogni passo è una breve conquista. Giungiamo infine alla forcella della Toanella; lassù a 2100 metri un po’ d’erba e dei massi sparsi qua e là. Le nubi arrivano fino a noi e si arrestano come respinte da una mano invisibile. Verso Longarone e la zona d’Oltrepiave non riusciamo a vedere granché.

 

Panorama Il Pelmo
Panorama vrso nord
Sullo sfondo il Pelmo

 

Il sereno è a Nord, verso Cortina, il Cadore, la Civetta e il Pelmo. Ci fermiamo per qualche foto e per respirare un po’. Guardiamo giù nel ghiaione, chiamiamo Gian a gran voce, ma nessuno ci risponde. Siamo sempre soli. Abbiamo qualche momento di esitazione, sappiamo che non esiste un sentiero vero e proprio che sale al Sasso del Bosconero, che solo degli ometti e un’ esile traccia ci guideranno alla cima. Vediamo un’enorme distesa di ghiaia, delle roccette spezzate e una traccia di sentiero in quota. E’ il viaz dell’Ors che porta alla forcella del Matt. A questo punto non conviene rimandare; ci ripromettiamo di salire con prudenza, seguendo le indicazioni e di tornare indietro nel caso in cui incontrassimo difficoltà superiori alle nostre capacità. Sappiamo che le roccette che incontreremo sono solo di primo grado e questo ci tranquillizza; ma una montagna aspra, affrontata da soli, al di fuori di sentieri ben segnalati (e per di più senza nemmeno il telefonino, al quale siamo stranamente allergici...), incute sempre un certo timore e un senso di rispetto. Ti riporta alla tua misura, piccola nei confronti di ciò che ti sovrasta, che ti appare forte e imponente.

Ripartiamo, metto nello zaino i bastoncini perché sulle roccette ho bisogno di avere le mani libere. Cerchiamo in continuazione gli ometti, non intendiamo perderli di vista. Saliamo per alcune roccette per evitare un tratto di ghiaie, poi la traccia si fa via via più evidente. Si attraversano alcuni punti leggermente esposti, dove occorre un po’ di attenzione e di prudenza a causa del brecciolino scivoloso e poi su, sempre più su fino ai sassi terminali; a un certo punto notiamo degli ometti assai più alti rispetto ai precedenti: siamo in cima; c’è una piccola croce, alta dieci centimetri, inserita in un cumulo di sassi.

 

Leo accanto a un ometto Carla e Leo sulla vetta
Leo accanto a un ometto della cima
Carla e Leo sulla vetta

 

Non c’è libro di vetta, solo 4 o 5 ometti messi qua e là in corrispondenza di vari punti di osservazione. Da quassù si dovrebbe vedere addirittura anche la pianura veneta, ma le nubi ce lo impediscono. Si intravedono (così mi pare) il Duranno, gli Spalti di Toro (nella zona d’Oltrepiave) mentre la vista può spaziare liberamente dalla Civetta, alla Marmolada, al Sella, al Pelmo, alle Tofane, alla Croda Marcora, al Cristallo, all’Antelao. Vicinissimi a noi, poco più bassi, le Rocchette e il Sasso della Toanella. Siamo soli in vetta per una buona mezz’ora. Alla fine, più giù, sentiamo una voce: è Gian che sta arrivando, in circa 4 ore è riuscito a superare 1700 metri di dislivello.

 

 

 

Carla con Giann appena giunto dopo un dislivello di 1700 m
Carla con Gian in vetta

 

 

Arriva piuttosto accaldato e sudato, ma appare soddisfatto dell’impresa. Ci racconta che ha visto poco più giù, accanto alla forcella, due camosci, una femmina con il suo piccolo e che ha sentito una specie di fischio, il richiamo della madre. Questo è l’anno in cui abbiamo visto, qui sulle Dolomiti, un grandissimo numero di animali. Nella zona del Settsass un branco di una trentina di camosci, marmotte verso la Croda da Lago, pernici sul Triol daré Copada; un cerbiatto vicino alla Staulanza addirittura ha attraversato la strada pochi metri davanti a noi mentre eravamo in macchina.

Dopo una breve sosta scendiamo con molta prudenza e attenzione per le roccette e il sentierino. Arriviamo alla forcella; questa volta alcuni tratti di ghiaione ci appaiono facilmente percorribili, altri con terra e brecciolino richiedono maggior attenzione e prudenza. Dopo circa due ore giungiamo al rifugio dove ci aspettano gli amici: Isella, Marida, Prospero, Marta, Mario e Rita. Comunichiamo loro la nostra gioia. Infine dal rifugio a Pontesei una tranquilla e gradevole passeggiata.

P.S. La salita al Sasso di Bosconero è generalmente classificata EE (escursionisti esperti) oppure F (alpinisticamente facile).

 

 

 

Un incontro speciale: il raro raperonzolo di roccia, Phisoplexis comosa Panorama durante la salita
Il raro raperonzolo di roccia, Phisoplexis comosa  Panorama dalla vetta