Il DNA svela l’origine degli Etruschi?
Un altro caso di uso improprio dei risultati scientifici
Tomaso Di Fraia
Svelate finalmente le origini degli Etruschi grazie all'esame del DNA (Avvenire), Etruschi, svelato il mistero delle loro origini grazie all’esame del Dna antico: erano “cugini” dei Latini (Il Secolo d’Italia), Altro che orientali, gli Etruschi erano "cugini" degli Italici (La Repubblica), Etruschi, studio sul Dna svela le origini: «Cugini stretti dei Latini e non arrivati dall'Oriente» (il Messaggero). Questi e altri titoli simili in altri quotidiani il 25 settembre 2021 hanno segnalato i risultati di una ricerca condotta da un gruppo multidisciplinare di studiosi e pubblicata il giorno prima sulla rivista Science Advances col titolo The origin and legacy of the Etruscans through a 2000-year archeogenomic time transect, primo coautore Cosimo Posth[1]. Si può discutere sulla formulazione dei titoli dei quotidiani, specialmente perché sono un po’ riduttivi rispetto alla portata complessiva della ricerca. Tuttavia nel testo della maggior parte degli articoli si dà poi conto anche di altri aspetti. Ma allora perché nel titolo del pezzo che state leggendo ho voluto inserire un punto interrogativo? Tale interrogativo non investe la formulazione scelta dagli autori degli articoli, i quali hanno riportato in modo sostanzialmente corretto quanto è stato pubblicato sulla rivista scientifica. Del resto anche una rivista importante come Le Scienze ha pubblicato la notizia più o meno negli stessi termini. I dubbi dello scrivente sulle affermazioni sintetizzate nei titoli summenzionati nascono proprio dalla lettura dell’articolo scientifico e dunque è necessario chiarire il nocciolo del suo contenuto. Tre sono le tesi fondamentali sostenute da Posth e collaboratori: 1) lo studio del genoma di una serie di resti scheletrici trovati in vari siti etruschi permette di affermare che le loro caratteristiche genetiche corrispondevano a quelle degli altri popoli coevi (Latini e Italici) dell’Italia centrale e meridionale a partire dall’800 a. C. e fino all’inizio dell’era cristiana. 2) Inoltre una componente del genoma di Etruschi, Latini e Italici deriverebbe da antenati provenienti dalla steppa eurasiatica o Yamnaya (di qui in avanti YAM) durante l'età del bronzo, mentre sono assenti tratti genetici riferibili a una presunta origine anatolica, come sostenuto da una tradizione antica risalente ad Erodoto e anche da ricerche biochimiche relativamente recenti su individui moderni di Murlo e Volterra[2]. 3) Durante il primo millennio dell’era cristiana i discendenti degli Etruschi avrebbero subito una serie di importanti trasformazioni genetiche, per effetto di diversi processi migratori, tanto che i toscani odierni hanno un profilo genetico diverso da quello degli Etruschi storici, con le sole eccezioni di Volterra e del Casentino.
Ora, seguendo l’aureo criterio di distinguere i fatti dalle opinioni, vediamo se tale ricostruzione regge di fronte a un esame critico. Nella ricerca scientifica i “fatti” sono i risultati prodotti dalle analisi specialistiche, appurati oltre ogni ragionevole dubbio[3]; le “opinioni” sono invece le interpretazioni di tali dati, in tutti i casi in cui essi non permettano una lettura univoca. Ed è soprattutto a questo secondo livello che, come ho cercato di mostrare già in altri interventi[4], si pongono una serie di questioni cruciali.
Il primo problema è costituito dal numero dei campioni studiati, 82 in tutto, per un arco di tempo che va all’incirca dall’800 a. C. al 1000 d. C. Dei 48 campioni riferibili agli Etruschi storici, provenienti da 11 siti della Toscana e dalla sola Tarquinia nel Lazio (fig. 1A)[5], 40 formano un gruppo denominato “C.Italy_Etruscan”, that overlaps with present-day Spanish individuals in a principal components analysis (PCA) e che comprende the three genetic ancestries associated with Anatolian Neolithic farmers, European hunter-gatherers, and Bronze Age pastoralists from the Pontic-Caspian Steppe. Gli individui di questo gruppo mostrano around 25% ancestry from such a distal steppe-related source, mentre due individui, pertinenti a un gruppo di tre individui denominato C.Italy_Etruscan.Ceu, ha dato a higher proportion of Yamnaya-related ancestry (40%). Per questi due individui, rather than persisting across several centuries, this distinct ancestry profile might have arrived independently from northern regions into central Italy multiple times,
cioè si potrebbe pensare, secondo gli autori, a singoli o piccoli gruppi arrivati separatamente in Italia in tempi diversi e non ibridatisi con gruppi locali, altrimenti non si spiegherebbe la loro alta percentuale (40%) di ascendenza YAM. Dunque la componente YAM, nella percentuale del 25%, riguarderebbe un campione di 40 individui, di cui solo una parte sono stati datati mediante il radiocarbonio. Inoltre parecchie datazioni hanno una forchetta piuttosto ampia (anche 200 o 300 anni, v. fig. 1B) e ciò può far sorgere qualche dubbio sulla possibilità che i campioni etruschi in questione, geneticamente omogenei, coprano adeguatamente un arco temporale lungo otto secoli.
Fig 1. A: i siti da cui provengono i reperti studiati da Posth et Alii 2021, con il numero e la caratterizzazione dei vari campioni; B: datazione al radiocarbonio con intervallo di 2-sigma per ciascuno dei campioni datati. | Fig. 2 Mappa genetica e raggruppamenti delle popolazioni antiche e attuali considerate da Posth et Alii 2021 (L’acrostico WHG sta per Western Hunters-Gatherers, cioè Cacciatori-raccoglitori occidentali, mentre CHG per Caucasus Hunters-Gatherers, Cacciatori-raccoglitori del Caucaso) |
Tale dato, di per sé statisticamente alquanto debole, sembra tuttavia trovare sostegno in uno studio del 2019, secondo cui anche popolazioni latine dell’età del ferro e di Roma repubblicana mostrano un profilo genetico simile a quello appena illustrato per gli Etruschi[6]. Ora, anche ammettendo che tali dati riflettano una realtà storica pressoché omogenea durante ben otto secoli, non possiamo non porci alcuni problemi. A questo proposito Posth et Alii riconoscono che Ancient genomes from Italy are very limited, with only sparse data available from the Neolithic to the Roman Republic period, ma non ne traggono nessuna conseguenza, nel senso di chiedersi se l’arrivo e la presenza in Italia di gruppi umani con tratti genetici YAM non possano risalire ad epoche precedenti l’età del bronzo (ca 2300-950 a. C.).
Eppure questa non è soltanto una mera possibilità virtuale, perché già dal genoma dell’uomo del Similaun (Oetzi) si era visto che elementi YAM erano presenti in Italia prima del 3000 a. C.[7]
Per la verità un altro recentissimo studio, di Tina Saupe e collaboratori, Ancient genomes reveal structural shifts after the arrival of Steppe-related ancestry in the Italian Peninsula, ha cercato proprio di individuare le prime tracce della presenza in Italia della componente genetica YAM, arrivando alla conclusione: Our analyses show the expected signature of peri- and post-BA movements from Steppe-related populations across Italy: absent in Italian individuals from the N and Chalcolithic, emerging in the Early BA[8]. Tuttavia, nonostante l’asserita assenza di elementi genetici YAM in Italia durante il Neolitico e Calcolitico (o età del rame), a giudicare dai risultati illustrati nella fig. 3B, fra i nuovi campioni datati all’età del rame almeno due risultano possedere una sia pur bassa percentuale di tratti YAM[9]. Ma sull’anomalia costituita da tali campioni, oltreché dall’Uomo del Similaun, non viene condotta alcuna riflessione[10]. Inoltre sulla datazione proposta da Saupe et Alii per l’arrivo in Italia di ascendenze YAM grava l’ipoteca della scarsa campionatura di reperti delle stesse aree risalenti al Neolitico e all’età del rame, già segnalata sopra e riconosciuta dagli stessi autori (small sample size and limited geographical and chronological distribution). Dunque la diffusione in Italia di profili YAM può essere avvenuta in epoche precedenti rispetto al loro presunto arrivo durante l’età del bronzo e con modalità che ancora non siamo in grado di riconoscere attraverso l’archeologia. Infatti alcuni studi hanno suggerito che anche in società sedentarie, come quelle neolitiche della Linearbandkeramik nell’Europa continentale, in realtà potessero avvenire trasferimenti di gruppi e progressive formazioni di altre e diverse entità culturali[11]. Insomma per la preistoria non si può sostenere il paradigma secondo cui soltanto popolazioni strutturalmente nomadi (nel caso specifico i gruppi pastorali delle steppe euroasiatiche) sarebbero in grado di produrre significativi spostamenti di gruppi umani. Del resto l’etichetta “pastori nomadi”, applicata alle popolazioni cui si attribuisce la diffusione dei tratti YAM, è assai problematica se vista nella diacronia e anzi la dizione Bronze Age pastoralists from the Pontic-Caspian Steppe è decisamente fuorviante. Che cosa intendo dire? Come ho cercato di argomentare in un altro lavoro “… se si ipotizza che le migrazioni dalle steppe abbiano avuto inizialmente successo grazie all’organizzazione economica e sociale di popolazioni di allevatori nomadi, e grazie anche ad alcune loro particolari forme di aggressività, possiamo pensare che tale modello sia stato replicato e diffuso, su ampia scala e per un altissimo numero di volte, anche nelle fasi successive? La risposta, a mio avviso, non può essere che negativa, perché, ammessa e non concessa una più o meno grande diffusione iniziale di tali popolazioni, esse non hanno trasformato la struttura economica, produttiva e culturale delle popolazioni preesistenti, imponendo la propria, anzi sembra proprio che generalmente siano stati culturalmente assimilati. Se quindi i nuovi arrivati hanno tendenzialmente modificato il loro sistema economico e il loro modello sociale (come gli stessi neodiffusionisti riconoscono), sedentarizzandosi e abbracciando nuove attività produttive, a che cosa potrebbe essere attribuita la loro (presunta) forza espansiva dopo tali trasformazioni?” [12]
Un secondo problema, che può influenzare la rappresentatività dei campioni archeologici, è collegato alle varie forme che le diverse culture, e anche una stessa cultura nelle sue diverse componenti, possono avere scelto per il trattamento e la collocazione dei corpi dei loro estinti[13]. È evidente che certe modalità di conservazione dei resti scheletrici garantiscono una loro migliore conservazione, mentre altre rischiano di far deperire o distruggere in modo irreparabile i resti umani. E dunque solo una campionatura numerosa ed estesa, che copra le diverse epoche e culture preistoriche e i vari ambiti geografici coinvolti, può offrire indicazioni sufficientemente affidabili per caratterizzare intere popolazioni. Purtroppo tali cautele non sono espresse nello studio di Posth et Alii e anzi a p. 3 si afferma categoricamente these data resolve key questions regarding the genetic origins of Etruscan-related groups.
Ma soprattutto il problema che appare insormontabile è il fatto che nella documentazione archeologica dell’età del bronzo non vi sono tracce di penetrazione e successivo insediamento in Italia di nuovi gruppi umani provenienti dall’Europa centrale, né peraltro dall’oriente. È questo il motivo fondamentale per cui da almeno 40 anni gli archeologi, nella stragrande maggioranza, sostengono l’autoctonia della civiltà etrusca.
Tina Saupe et Alii, cercando qualche collegamento tra i costumi funerari YAM e la loro presunta penetrazione in Italia, evidenziano il fatto che durante l’età del rame le sepolture multiple in grotticella hanno rivelato, grazie all’aDNA, che “questi luoghi venivano preferibilmente usati per seppellire individui maschi strettamente imparentati, sebbene il significato sociale di questo fatto non sia chiaro. Sebbene le popolazioni calcolitiche dell'Italia utilizzassero camere sepolcrali naturali, tombe scavate nella roccia e tombe a fossa più che costruire monumenti megalitici del tipo visto lungo la facciata atlantica in un periodo precedente, sembra che l'importanza di seppellire insieme i maschi imparentati sia una caratteristica condivisa”[14]. Dunque l’unico collegamento alla presunta cultura YAM sarebbe la tendenza a seppellire insieme adulti maschi imparentati, un tratto troppo poco significativo per poter attestare una specifica influenza culturale.
Circa il testo dell’articolo di Saupe et Alii, nessun archeologo risulta aver elaborato la conceptualization, anche se tutti gli autori hanno partecipato alla fase di writing - review & editing[15]. Anche questo aspetto risulta piuttosto strano, giacché, se, come sembra, gli archeologi non sono intervenuti sui concetti chiave e/o sulla loro discussione, ciò può significare solo che essi condividono in toto quanto sostenuto dai genetisti in un campo che non è il loro, un atteggiamento francamente poco comprensibile.
Per quanto concerne gli aspetti linguistici non si può non osservare il modo, a dir poco disinvolto, in cui, nell’articolo di Saupe et Alii, è presentata la questione della diffusione delle lingue indoeuropee nella nostra penisola.
Since it is estimated that the split between Proto-Italic and descendant languages (e.g., Latin, Oscan, and Umbrian) took place during the second millennium BCE (36), their presence in Italy cannot directly be correlated with the at least one millennium-older movement of Yamnaya-related groups out of the Steppe. Instead, with the assumption that incoming steppe-related groups were responsible for the initial arrival of Indo-European languages in Europe, more evolved forms of Indo-European, including Italic, may have spread across Italy at a later stage[16].
Che alcune lingue indoeuropee si siano separate da un presunto proto-italico nel secondo millennio a. C. è in realtà soltanto un’ipotesi, a sostegno della quale viene citato soltanto un libro di David Anthony[17], le cui tesi sono molto controverse, così come è tutt’altro che scontato che le lingue indoeuropee siano state introdotte in Europa nel terzo millennio da popolazioni YAM[18].
Questa osservazione mi permette di ribadire quella che dovrebbe essere un’ovvietà metodologica, cioè la semplice avvertenza per cui, se si intende soltanto presentare, in poche battute, una questione estremamente complessa, è indispensabile almeno accennare agli eventuali aspetti controversi. Invece anche in questo caso tale cautela è completamente mancata e ciò implica varie responsabilità: quella dello specialista (in questo caso il linguista), quella dei coautori, che evidentemente non hanno saputo e/o voluto intervenire, e infine e soprattutto quella dei revisori anonimi dell’articolo[19]. Insomma, è triste constatare che non è stato osservato l’abbiccì deontologico delle procedure necessarie per la pubblicazione di una ricerca scientifica.
In conclusione, quali novità ha apportato lo studio di Posth et Alii per quanto concerne gli Etruschi? Sostanzialmente nessuna, se non la conferma per via genetica che la civiltà etrusca si è sviluppata interamente nella penisola italiana senza apporti genici di popolazioni esterne, accanto e/o in rapporto (economico e culturale) con le altre popolazioni coeve, anzitutto Italici e Latini, ma anche Greci e Fenici.
Per quanto concerne la pretesa espansione della cultura YAM è necessario un supplemento di indagine, che cercherò di sviluppare nel mio prossimo intervento.
Riferimenti bibliografici
Anthony D. W., The horse, the Wheel, and Language: How Bronze-Age Riders from the Eurasian Steppes Shaped the Modern World. Princeton Univ. Press, 2010.
Antonio M. L., Gao Z., Moots H. M., …, Coppa A., R. Pinhasi, J. K. Pritchard, Ancient Rome: A genetic crossroads of Europe and the Mediterranean, Science 366, 2019: 708-714.
Di Fraia T. 2020a Quis custodiet custodem? I rischi della globalizzazione nella ricerca scientifica, Naturalmente Scienza, settembre 2020, on-line.
Di Fraia T. 2020b “Mettere le brache alla storia”: una tentazione pericolosa. Il difficile rapporto fra genetica e archeologia, in A.M. Tosatti, S. Casini (a cura di), La lezione della cultura e del rigore. Studi di preistoria e protostoria dedicati a Renata Grifoni Cremonesi, Notizie Archeologiche Bergomensi 28, 2020: 169-186. https://www.researchgate.net/publication/349835874_Mettere_le_brache_alla_storia_una_tentazione_pericolosa_Il_difficile_rapporto_fra_genetica_e_archeologia_in_AM_Tosatti_S_Casini_a_cura_di_La_lezione_della_cultura_e_del_rigore_Studi_di_preistoria_e_pr
Furholt M., Mobility and Social Change: Understanding the European Neolithic Period after the Archaeogenetic Revolution, Journal of Archaeological Research, 2021.
https://doi.org/10.1007/s10814-020-09153-x
Heggarty P. Ancient DNA and the Indo-European Question, Blog post (comment on two genetic papers in Nature,11th June 2015), https://dlc.hypotheses.org/807, https://www.academia.edu/12960808/Blog_post_Ancient_DNA_and_the_Indo-European_Question_comment_on_two_genetics_papers_in_Nature_11th_June_2015_
Immel A., Terna S., Simalcsik A., …, Müller J., Nebel A., Krause-Kyora B., Gene-flow from steppe individuals into Cucuteni-Trypillia associated populations indicates long-standing contacts and gradual admixture. Scientific Reports 10, 2020: 1-8.
Posth C., Zaro V., Spyrou M. A., …, Bos K. I., Caramelli D., Krause J., The origin and legacy of the Etruscans through a 2000-year archeogenomic time transect, Science Advances, 7, eabi7673, 2021.
Saupe T., Montinaro F., Scaggion C., ..., Capelli C., Pagani L, Scheib C. L., Ancient genomes reveal structural shifts after the arrival of Steppe-related ancestry in the Italian Peninsula, Current Biology 31, 2021: 2576-2591.
[1] Posth et Alii 2021.
[2] Piazza et Alii 2007.
[3] Devo precisare che, essendo archeologo e non genetista, non posso discutere la validità delle complesse procedure applicate nelle analisi genetiche e quindi dei relativi risultati, validità che pertanto devo dare per scontata.
[4] Di Fraia 2020a, 2020b.
[5] Salvo errore, non viene fornita nessuna informazione sui criteri che hanno guidato la scelta dei campioni.
[6] Antonio et al 2019.
[7] Di Fraia 2020b.
[8] Saupe et Alii 2021.
[9] Nella fig. 3B di Saupe et Alii, di cinque campioni datati all’età del rame tre risultano contenere elementi YAM: uno da Gattolino e uno da Broion per i campioni oggetto dello studio, mentre il terzo, un campione di riferimento, è proprio Iceman, cioè la mummia del Similaun.
[10] Anche in alcune interviste ad autori dello studio di Posth et Alii non viene fatto alcun cenno a questi elementi contraddittori.
[11] Hofman 2016.
[12] Di Fraia 2020b, p. 175.
[13] Vedi ad es. le osservazioni di Furholt 2021.
[14] Saupe et Alii 2021:2586 (traduzione dello scrivente).
[15] Saupe et Alii 2021: 2587.
[16] Posth et Alii 2021: 7.
[17] Anthony 2010.
[18] Di Fraia 2004, 2021b; Heggarty 2015: 2, 4; Furholt 2021.
[19] Di Fraia 2020a.