L’esplorazione floricola del Sudafrica 1. Primi contatti
Silvia Fogliato
Nel regno della biodiversità vegetale
In base alla distribuzione delle specie vegetali, gli studiosi di fitogeografia suddividono la superficie del globo in sei regni floristici, di estensione molto diseguale, ciascuno dei quali è caratterizzato da una flora relativamente omogenea. Il più vasto è il regno oloartico, che copre l’intero emisfero boreale al di sopra del 30° parallelo; ne fanno parte l’America settentrionale fino al Messico, l’intera Europa (inclusa ovviamente l’Italia), il Nord Africa mediterraneo, larga parte dell’Asia. Il più piccolo, ma anche quello con una maggiore concentrazione di endemismi, è il regno capense (o sudafricano): l’unico compreso nei confini di una singola nazione, il Sud Africa, e il solo formato da una singola regione floristica, quella del Capo (Cape Floristic Region, CFR) con circa 9000 specie di piante vascolari, 69% delle quali endemiche, ovvero presenti solo qui, distribuite su una superficie di 78,555 km² (grosso modo quella della Repubblica Ceca). È la massima concentrazione di biodiversità vegetale al di fuori dei tropici.
La regione floristica del Capo occupa una fascia costiera caratterizzata da clima mediterraneo, larga da 80 a 150 km ed estesa da ovest a est dalla foce del fiume Olifants, sulla costa atlantica della Provincia del Capo Occidentale, a Port Elizabeth, sulla costa dell'Oceano Indiano della Provincia del Capo Orientale.
Due sono le formazioni vegetali dominanti: il fynbos e il renosterveld. Il fynbos (termine afrikaans che significa “boscaglia fine”, in allusione alle foglie aghiformi di molte specie) è in un certo senso l’equivalente sudafricano della macchia mediterranea ed è caratterizzato da arbusti sempreverdi, solitamente a basso sviluppo, con foglie sottili, rigide e dure. Le famiglie più rappresentate sono le Proteaceae, le Ericaceae e le Restionaceae. Molto cospicua anche la presenza di bulbose (geofite), che nella regione del Capo trovano la massima concentrazione mondiale.
Là dove le precipitazioni scendono a 200-600 mm annui, al fynbos, con il quale condivide molte specie, si sostituisce il renosterveld (un’altra parola afrikaans che potrebbe significare “campi dei rinoceronti”). A dominare sono ancora gli arbusti, ma di dimensioni minori, con foglie grigio-verdi, a cominciare dall’Asteracea Dicerothamnus (sin. Elytropappus) rhinocerotis, il “cespuglio dei rinoceronti” che potrebbe aver dato il nome a questa formazione.
Se dalla regione floristica del Capo ci spostiamo verso l’interno, incontriamo altri ambienti con flore peculiari: nella porzione più orientale degli altopiani, le praterie temperate del veld; in quella più occidentale, il semi-desertico Grande Karoo e il più fertile Piccolo Karoo, regno delle succulente; la savana del Kalahari e del nordest; a ovest, al confine con la Namibia, l’arido Namaqualand che con le piogge primaverili si trasforma in un caleidoscopio di fiori. Allargando lo sguardo all’intero Sudafrica, il numero totale di specie sale a 20.000, quasi metà delle quali endemiche.
Un inizio in sordina
I primi europei a raggiungere il Sudafrica, verso la fine del XV secolo, furono i portoghesi. Ma per loro era solo una tappa verso la vera meta, le Indie, e, vista la tempestosità di quei mari (Bartolomeu Diaz, il primo a toccare il Capo di Buona Speranza nel 1488, l'aveva più realisticamente battezzato Capo delle Tempeste), vi attraccavano solo occasionalmente, preferendo scali più tranquilli, come l’isola di Sant’Elena o il Madagascar.
A fare della costa sudafricana uno scalo sempre più abituale furono piuttosto gli olandesi, a cui ci riporta anche la prima attestazione documentata di una pianta sudafricana. Carolus Clusius (1528-1609), all’epoca prefetto dell’Orto botanico di Leida, in Exoticorum libri decem (1605), sotto il nome Carduus generis elegantissimi cujusdam caput pubblicò il disegno e la descrizione di un’infiorescenza secca di Protea neriifolia. Era una di quelle ricercate curiosità che i marinai riportavano in patria dai loro viaggi; secondo Clusius, era stata raccolta nel 1597 nella baia di Antongil Bay nella costa nord-orientale del Madagascar nel corso di una spedizione diretta a Giava. Visto che si tratta di un endemismo della Provincia del Capo, il racconto è certo frutto di confusione. L’infiorescenza sarà stata invece raccolto in qualche luogo della costa sudafricana, durante una sosta in cerca di acqua potabile.
Nei primi trent’anni del Seicento le segnalazioni di piante sudafricane introdotte nei giardini europei incominciano a moltiplicarsi; si tratta per lo più di bulbose, il che non stupisce visto che erano le più adatte a superare indenni i lunghi viaggi per mare. La più antica segnalazione spetta ancora a Clusius che nel 1605 ricevette e riuscì a far fiorire i bulbi di una specie di Ornithogalum, da lui chiamata O. aethiopicum (termine che non significa etiopico, ma già genericamente africano). Li avevano raccolti alcuni marinai “in quell’estremo e celebrato promontorio dell’Etiopia [ovvero dell’Africa] comunemente chiamato Capo di Buona Speranza”.
Lo stesso anno in G. Rondelletti... methodicam Pharmaceuticam Officinam Animadversiones, il botanico fiammingo Mathias de L’Obel (1538-1611) pubblicò l’immagine e la descrizione di due piante sudafricane: la prima, che egli chiama Narcissus aphricanus [sic] bifolius, fiorì in un giardino della Zelanda, ma poi morì per il gelo dell’inverno; la seconda, Narcissus aphricanus folio rotundiore, non giunse a fioritura. Oggi sono identificate, rispettivamente, con Haemanthus coccineus e H. sanguineus.
Che gli olandesi siano i protagonisti di queste primissime e sporadiche introduzioni è confermato da un curioso documento, il Florilegium di Emanuel Sweerts (1552-1612), ovvero il catalogo che questo vivaista e commerciante di piante di origine olandese allestì per la fiera di Francoforte del 1612. Nell’assortimento di 560 tra piante e bulbose che proponeva ai suoi clienti, nelle tavole 66 e 67 ne sono illustrate cinque che, a detta di Sweerts, provenivano dal Sudafrica; alcune sono indecifrabili, ma con buona probabilità si riconoscono Boophone disticha e Drimia altissima.
Sono invece quattro, e perfettamente riconoscibili, le bulbose sudafricane, o meglio capensi, coltivate nei giardini romani e presentate dal gesuita Giovanni Battista Ferrari (1584-1655) in De Florum Cultura libri iv (1633): Amaryllis belladonna, Brunsvigia orientalis, di nuovo Haemanthus coccineus e la specie che prenderò il nome dall’autore, la bizzarra Ferraria crispa.
Negli stessi anni, anche nei giardini del re di Francia fioriva qualche sudafricana. Lo sappiamo grazie a Canadensium plantarum aliarumque nondum editarum historia (1635) di Jacques Philippe Cornut (1606-1651), che, al di là del titolo, è in qualche senso il catalogo delle piante esotiche coltivate dai giardinieri reali Jean e Vespasien Robin. Le specie di origine sudafricana citate sono cinque: Gladiolus aethiopicus flore coccineo, ovvero Chasmanthe aethiopica; Narcissus pumilio indicus polyanthos (Ammocharis o Cybistites longifolia), Narcissus japonicus rutilo flore (Nerine sarniensis), Ornithogalum luteovirens indicum (Albuca canadensis), Sisynrichium indicum Robini (Romulea rosea). A questa esile lista, in cui si nota palesemente che sulla provenienza geografica delle esotiche le idee erano poco chiare, si aggiunge Zantedeschia aethiopica, ovvero la calla, che compare nel primo catalogo del Jardin du Roi di Parigi (1644 circa).
È ancora olandese la persona a cui è accreditata la prima raccolta intenzionale, in un certo senso “scientifica”, di piante sudafricane. Nel gennaio 1624 si imbarcò alla volta di Giava, dove avrebbe servito come missionario, il giovane teologo Justus Heurnius (1587-1652); laureato in teologia ma anche in medicina, era figlio e fratello di medici e doveva possedere una discreta conoscenza in campo medico ed erboristico. Ad aprile, la nave fece scalo al Capo di Buona Speranza per caricare acqua e viveri; le operazioni si prolungarono per alcuni giorni e in Heurnius si risvegliò l'interesse per la botanica. Non conosciamo i dettagli, ma a giudicare dalle specie raccolte dovette esplorare le pendici della Table mountain dove raccolse, disegnò e descrisse alcune specie, probabilmente scelte tra quelle che apparivano più curiose ed esotiche.
A maggio il viaggio riprese e a luglio Heurnius sbarcò a Giava, dove iniziò con energia la sua attività missionaria. Appena possibile, ebbe cura di inviare al fratello Otto, medico a Leida, i disegni e le descrizioni delle piante sudafricane (forse accompagnati da esemplari essiccati). Otto passò testi e disegni a un amico, il filologo Jan Bode à Stapel (1602-1636), più noto con il nome latinizzato Stapelius, che decise di includerne dieci nella sua mega edizione di Historia plantarum di Teofrasto. Non sappiamo se fossero tutte le piante inviate da Justus, o se Stapelius avesse operato una scelta. Grazie all'ottima qualità dei disegni e delle descrizioni sono state tutte identificate con un buon grado di probabilità: Morella serrata, Haemanthus coccineus, Manulea rubra, Cotyledon orbiculata, Micranthus tubulosus, Centella villosa, due specie di Oxalis (probabilmente O. versicolor e O. purpurea var. alba), Kniphofia uvaria e Orbea variegata. Nella preparazione della stampa, tra queste due ultime specie dovette avvenire un curioso scambio: di Orbea variegata (pianta celebre per l’odore di carogna dei suoi fiori) si dice planta plane inodora "pianta praticamente senza odore", di Kniphofia uvaria invece flos foetidi odoris est "è un fiore dall'odore fetido". Attraverso questa strada tortuosa, Justus Heurnius si è guadagnato l'onore di essere il primo europeo a raccogliere e descrivere piante sudafricane in un testo a stampa.
Ma non senza qualche confusione: scambiando l’autore con il curatore, Linneo dedicò non a lui, ma a Stapelius il nuovo genere Stapelia, ribattezzando Stapelia variegata quella che Heurnius aveva denominato Fritillaria crassa caput Bone Spei ("Fritillaria grassa del Capo di Buona Speranza"); Linneo creò il genere in Species Plantarum (1753), assegnandogli due specie: S. variegata (che è appunto la "fritillaria crassa" di Heurnius) e S. hirsuta; a inizio Ottocento, la prima è stata trasferita a un altro genere e si chiama Orbea variegata (anche se, per ironia della sorte, per nove persone su dieci continua ad essere la Stapelia per antonomasia). All’ingiustizia di Linneo cercò di riparare Robert Brown, che nel 1810 separò da Stapelia alcune specie e creò in onore del missionario olandese il genere Huernia; tuttavia il diavolo ci mise la coda ed egli sbagliò la grafia, invertendo la seconda e la terza lettera del suo cognome (errore che secondo le regole della nomenclatura botanica va rispettato).
Dal viaggio di Justus Heurnius doveva passare ancora un quarto di secolo prima che la VOC (la Compagnia olandese delle Indie orientali) decidesse di stabilire una base permanente al Capo di Buona Speranza, segnando il vero inizio dell’esplorazione anche floricola del Sudafrica. A quelle poche, casuali e sporadiche introduzioni, succedettero scoperte su scoperte, che già nel corso del Settecento, grazie agli Orti botanici di Leida e Amsterdam, si tradussero in un flusso inarrestabile di nuove piante, cambiando per sempre il volto dei giardini europei. Ne riparleremo nelle prossime puntate.
Bibliografia e sitografia
M. L. Charters, Flora of Southern Africa, http://www.calflora.net/southafrica/
H. F. Glen, G. Germishuizen, Botanical exploration of southern Africa, 2. ed., “Strelitzia” n. 26, Pretoria 2010
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M. Gunn, L. E. W. Codd, Botanical Exploration of Southern Africa, Balkema, Cape Town 1981
M.C. Karsten, Heurnius and Hermann, the earliest known plant collectors at the Cape. I. Justus Heurnius, “Journal of South African Botany”, 1963, Vol. 29, pp. 25-32
J. Manning, Field guide to wild flowers of South Africa, Struik Nature, Cape Town 2009