COVID 19: Delta e Omicron
di Riccardo Mansani
Da quando è arrivata la variante Omicron nessuno parla più della Delta né, a mia conoscenza, si tenta di spiegare che fine abbia fatto quest’ultima. È pertanto legittimo domandarsi cosa ne sia successo.
Da non biologo, ma da ex ricercatore con qualche infarinatura di biologia molecolare alle spalle, mi vengono in mente due ipotesi che mi piacerebbe sottoporre all’attenzione degli esperti:
1) La variante Delta continua ad infettare. È indebolita dal vaccino (al quale risulta più sensibile) ma è sempre presente e operante sebbene la sua presenza risulti “mascherata” dal “fenomeno” Omicron” che essendo determinato da un virus estremamente più contagioso risulta più “spettacolare” tale da mascherare la fenomenologia dovuta a Delta. In questo caso i due virus condividerebbero una stessa nicchia ecologica che risulterebbe sufficientemente ampia da contenerli entrambi. Se così fosse non si vede ragione per cui uno stesso soggetto non possa venire infettato contemporaneamente da entrambi i virus, cosa che non mi sembra mai stata menzionata nelle cronache di questa pandemia.
2) In qualche modo la variante Omicron ha “spostato” la Delta inibendole la possibilità di infettare. In questo secondo caso parrebbe che la nicchia ecologica comune alle due varianti non sia sufficientemente ampia da contenerle entrambe. Si sarebbe così scatenata una competizione tra le due varianti vinta dalla Omicron che avrebbe portato (o progressivamente porterebbe) alla estinzione della Delta.
Quale delle due ipotesi appare più accreditabile? Oppure: esistono altre possibilità? Mi piacerebbe avere una risposta da esperti con i quali mi scuso per il linguaggio approssimativo e per eventuali ingenuità contenute nel tentativo di esporre il mio dubbio.
Risponde
Fabio Fantini
Secondo me, le domande di Riccardo sono interessanti e non ci sarebbe niente di male a proporle nel sito.
La mia risposta:
Delta, omicron… e le altre, che fine hanno fatto le altre? Pur nell’uso politicamente rispettoso dell’alfabeto greco, che ha imposto di tralasciare qualche lettera imbarazzante, sono state catalogate almeno una dozzina di varianti, forse più un
campionamento che un elenco esaustivo. Le varianti si producono in continuazione, solo alcune si affermano e sono di interesse clinico. Possiamo interpretare questo fatto come una competizione tra varianti, e allora finirebbe col valere il
principio di esclusione di Gause con l’affermazione della variante più efficiente. Oppure possiamo immaginare, più che una competizione tra varianti virali, la competizione tra ospite e parassita, con quest’ultimo che mette in campo la propria
abilità proteiforme per sopraffare le difese dell’ospite. Una visione non esclude l’altra, naturalmente.
In quanto a previsioni, sarei prudente. Al contrario di una reazione chimica con un composto aromatico, dove magari si possono prevedere statisticamente le percentuali di prodotti sostituiti in posizione orto, meta o para, perché i reagenti
non mutano caratteristiche con il tempo, la variabilità dei sistemi viventi rende problematica una previsione non di massima, sempre aperta a qualche eccezione.