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Il giardino del principe

 

 

Il giardino del principe 

 

Marco Perisse©

 

Dal verziere delle erbe officinali all'hortus conclusus medievale e fino al parco rinascimentale e all'orto botanico, in Italia si può osservare fin dal Medio Evo la continuità d'uso del giardino con più funzioni: da quella empirca della farmacopea, allo studio accademico; dagli aspetti allegorici a quelli scenico-ornamentali, molto spesso legati all'apparato simbolico.

In epoca alto-medievale domina l'allegoria religiosa: i giardini della Genesi, quelli del Vangelo e l’Apocalisse di Giovanni sono i modelli di riferimento ai quali si aggiunse l'archetipo dell’ hortus conclusus, locuzione biblica tratta del Cantico dei Cantici. Si suole attribuire l'origine del modello costruttivo del giardino monastico, con aiuole rialzate di forma quadrata o rettangolare contenenti verdure e fiori in una sistemazione a scacchiera, nel poemetto Liber de cultura hortorum di Walafrid Strabo, monaco di Reichenau vissuto nel IX secolo. L’impianto ideale di un monastero carolingio é una microcittà cinta di mura, nella quale i luoghi di preghiera e di lavoro sono equamente distribuiti e già esiste la differenziazione tra orto e giardino. Nel primo i monaci faticano nella semina e raccolta di verdure, ortaggi ed erbe medicinali (semplici), nel secondo si dedicano al giardinaggio come forma di preghiera e contemplazione del creato. C'è uno spazio che attiene al mondo fisico e uno alla sfera metafisica (Ora et labora), seppure l'aspetto dell'abbazia sia ancora quello delle fattorie fortificate della campagna romanizzata e messa a coltura, le villae rusticae. Del resto, nelle città medievali, sul retro delle case sorgevano angusti orti in cui si coltivavano erbe aromatiche, ortaggi, a volte vigneti e frutteti. Sono sempre giardini delimitati da un muro di cinta per impedire furti, razzie e danneggiamenti. Ma già i cistercensi sovrappongono gli aspetti utilitaristici con quelli simbolici del giardino, specchio di una natura feconda ordinata dagli uomini pii e laboriosi, contrapposta al disordine tenebroso della natura selvaggia.

 

Il giardino nato dall'atto creativo umano agevola la natura che offre fiori e frutti, erbe medicamentose, ombra e profumo. Diviene un elemento architettonico: una natura consapevolmente modellata. Il termine, jardin in francese, deriverebbe dal franco gard (da cui anche l'inglese garden), il cui significato é appunto “chiuso” rispetto al mondo esterno e alle sue insidie. San Bernardo di Chiaravalle descrive il giardino come un gioco di nascondersi e cercarsi tra amante ed amato, cioè tra creatura e Creatore. È uno spazio in cui si tesse il rapporto tra uomo e Dio: di qui il chiostro delle abbazie. L'hortus conclusus medievale é un'allegoria, una rappresentazione dell'armonia del creato. I suoi alberi sfamano e dissetano, eppure la sua forma quadrata deve riflettere i quattro angoli dell’universo, la Gerusalemme celeste. È con-cluso in quanto racchiude mondo terreno e ultraterreno. È sussistenza ed é anche la via eletta per incontrare il principio divino da cui sgorga la vita. Il suo centro é costituito da un albero (della vita) oppure da un pozzo o fontana (fonte di sapienza, simbolo del Cristo e dei quattro fiumi del Paradiso). I piccoli giardini dei monasteri medievali si strutturavano secondo la regola di San Benedetto, padre del monachesimo occidentale, con quattro spazi coltivati: gli orti; i frutteti (pomaria); i giardini alberati (viridaria); e gli erbari (herbaria). Al centro del chiostro l'albero genesi della vita, o la fonte, da cui si irradiavano i sentieri d'acqua irrigante, a loro volta reminiscenza dei quattro fiumi biblici. Lo spazio é diviso geometricamente da aiuole di forma quadrata o rettangolare ciascuna destinata a una specifica coltivazione e separate da vialetti coperti da pergole a volte usate per la vite.

 

In epoca rinascimentale, invece, nel giardino principesco ispirato dagli umanisti, e intriso di influenze neopagane, si intrecciano ormai naturale e soprannaturale e il “gioco” della ricerca di Dio si é in parte trasferito su un piano più profano come percorso di iniziazione - il platonico conosci te stesso - e mondano nel quale da quell'amore fraterno e spirituale che i greci chiamavano agape, per distinguerlo dall'eros sensuale, si strizza l'occhio anche a quest'ultimo facendo ricorso alla mitologia per rappresentarlo.

In Italia viene pure valorizzato, nel XVI secolo, il patrimonio botanico delle specie esotiche che affluiscono dall'America disvelatasi agli europei. Nella penisola erano già nati i primi orti botanici del mondo, a loro volta figli di quei simpliciari nei quali monasteri e abbazie coltivavano verdure nonché piante officinali per le loro farmacie. Un primissimo orto accademico é alla scuola medica medievale di Salerno tra il XIII e il XIV secolo. Nel Granducato di Toscana per iniziativa dei Medici si fondano nel XVI sec. i giardini botanici che sviluppano la tendenza protoscientifica di classificazione accanto ai tradizionali utilizzi medicinali; oppure soddisfano intenti ostentativi e diversivi di svago aristocratico, od ornamentali, allegorici e simbolici. Sono altrettanti filoni che crescono di pari passo, anche se le loro strade si fanno sempre più differenziate: da un lato lo studio di carattere sempre più strettamente scientifico; dall'altro, l'elaborazione politico-simbolica che troverà il culmine nel Rinascimento. Quando Cosimo fonda nel 1544 a Pisa il più antico orto botanico del mondo - ancora in vita dalla nascita ad oggi, anche se non nella sua sede originaria, primato che spetta invece all’orto di Padova – segna un'istanza parallela a quella del giardino principesco di Boboli (1549) iniziato dal nonno Lorenzo il Magnifico. Con la loro peculiare miscela vegetale e le piante esotiche, gli orti botanici sono i primi giardini globalizzati della storia. Altri orti di questo genere nascono a Pisa, Padova, Genova, Catania e finiranno per sposarsi con istituzioni accademiche.

 

Uno sviluppo più complesso, per i tanti rimandi culturali, hanno invece i giardini aristocratici destinati alla celebrazione del principe e del suo potere. È ancora rintracciabile l'ascendenza architettonica dell'hortus conclusus, ma l'ideologia é radicalmente cambiata. Le corti rinascimentali costruiscono residenze isolate e incombenti sul tessuto urbano e con giardino annesso, ricche di citazioni filologiche, un modello da “leggere” quale frutto della cultura umanistica intrisa di temi neoplatonici e del concetto classico di ordine e forma, armonia ed equilibrio (concinnitas), ma che in definitiva autocelebrano le élites che promuovono (e finanziano) la nuova era. Anche il giardino signorile si articola, nel disegno, per tappe: c'è il “Giardino dei Principi”, destinato al dominus per le feste, le conversazioni, e gli incontri mondani dove l’aspetto visivo era quello maggiormente ricercato nella scelta e disposizione delle specie vegetali; il verziere accoglieva alberi da frutto collocati secondo una precisa sequenza attorno a una vasca centrale per i pesci (il pozzo o fonte dei monasteri si è qui trasformato nella più prosaica peschiera, senza perdere la valenza simbolica dell'acqua come sorgente di vita); il “Giardino delle Erbe piccole” che prevedeva la piantumazione

– oltre alle specie medicinali coltivate nei monasteri – di fiori e piante ornamentali e profumate ed é il fratello maggiore dell'orto botanico; e il “Giardino delle Delizie”.

A livello simbolico, però, nel giardino dei principi diventano evidenti i riferimenti alla letteratura cortese-provenzale. Nel Roman de la Rose - il poema allegorico che in tutta Europa mosse la diffusione dell’ideale di amor cortese, scritto a quattro mani attorno al 1230 da Guillaume de Lorris e Jean Chopinel de Meung – é la ricerca della Rosa, che allude all’amata e alla sessualità, il plot narrativo. Nel giardino del Diletto, regno di Amore e Virtù, l’io narrante é trafitto dalla freccia di Eros: sono i motivi che tornano nelle decorazioni dei giardini principeschi. In Italia – dove si rintraccia una continuità ininterrotta dell'uso del giardino per le più diverse funzioni – il parco signorile in epoca rinascimentale si fa terreno fecondo dei nuovi significati. Lo spunto letterario dell'idea di rappresentazione profana sta nel romanzo allegorico Hypnerotomachia Polyphili (dalla radice greca: Combattimento d'amore in sogno dell'amante di Polia) che fu stampato da Aldo Manuzio il Vecchio nel 1499 e nel quale compaiono vicende iniziatiche distribuite in giardini nei quali natura e artificio si confrontano e si mimano nel gioco delle parti. Il Polifilo – il prodotto materiale è capolavoro peraltro della xilografia veneziana - é un viaggio d'iniziazione sul motivo dell'amore e della ricerca della donna amata. Polifilo é personaggio intessuto di suggestioni pagane e politeiste con continui rimandi agli dei dell'antica Roma. Il recupero della cultura e magnificenza della Roma antica era diffuso negli ambienti umanisti, che si trattasse di intellettuali, aristocratici o prelati. A Firenze gli artisti del mecenate Lorenzo il Magnifico si esercitano nello studio della bellezza classica, della statuaria greco-romana, dell'ideale platonico. Gli aspetti del giardino medievale e i suoi messaggi spirituali intrinseci, che mai erano stati accantonati, vengono rielaborati in una visione neoplatonica.

I primi esempi, nella stessa organizzazione dello spazio, si ispirano ancora all’hortus conclusus monastico che nei documenti é il più citato assieme all'hortus deliciarum (l'Eden adamitico). Nel Quattrocento i giardini vengono arricchiti con una gamma di fiori e frutti simbolici grazie alla riscoperta dei classici: la rosa é fiore sacro a Venere, attributo delle Grazie. Rappresenta la Vergine e nella chiave cristiana puà essere il simbolo del sangue divino e, per le sue spine, delle terrene pene di amore come nel Roman. Il giglio, nato da Giunone mentre allattava Ercole, simbolo della purezza e della povertà. Le violette, della modestia e dell’umiltà. La melagrana che nasce dal sangue di Bacco rappresenta anche l'unità della Chiesa. La palma (due palme appaiono in sogno a Rea Silvia prima della nascita di Romolo e Remo) sta per la giustizia e la gloria di Dio. L'olivo, pianta sacra a Minerva, simbolo della misericordia, ma anche di pace e nella traslazione palma-olivo simbolo pasquale di Cristo che vince la morte, della vittoria sul peccato e della Resurrezione. Il trifoglio si utilizza alludendo alla Trinità, mentre il fico albero sacro a Saturno é metafora della fertilità e della salvezza e l'arancia rimanda ad Afrodite. A seconda degli ispiratori e dei committenti, si incrociano, alternano e sovrappongono significati sacri e profani. Il Polifilo fa da veicolo di una transizione culturale. Ebbe una grande fortuna, non tanto per il soggetto, tutto sommato di intonazione cortese, quanto nello sviluppo narrativo e nell'abbraccio alla mitologia: si passa dalla selva disorientante, il caos della natura selvaggia, a un giardino di cristallo – dall'oscurità alla luce – poi Polifilo si addentra in un giardino di forma labirintica, che non manca mai negli elaborati parchi rinascimentali italiani concludendosi nell'isola di Citera di omerica memoria, dove la natura é domata e le piante sono ordinate in settori ben organizzati attorno al tempio di Venere.

Il percorso simbolico-iniziatico diventa l'impianto archittetonico del giardino del principe, la rappresentazione del cammino di elevazione: dall'indistinto selvatico (hyle), metafora dell'ignoranza e del peccato, si passa in una zona a prato ricca di aiuole fiorite, siepi, giochi d'acqua, vasche e peschiere, colossi, grotte abitabili, ninfei e teatri; quindi al labirinto, o “giardino segreto”, allegoria dell'avventura imprevedibile della vita, dell'esperienza esistenziale, ma pure di conoscenza del sé; fino a sfociare, come nel parco fiorentino di Boboli, alla grande vasca simbolo dell'oceano, evoluzione grandiosa della fonte. L'acqua é l'elemento vivificante, santificante, fons vitae, così come l'antro della grotta é l'archetipo del sentiero sotterraneo misterico, nel quale ci si deve dantescamente addentrare per uscire dalla selva-morte della non conoscenza e della perdizione (mi ritrovai per una selva oscura/ché la diritta via era smarrita). La grotta e l'acqua, la morte e la vita, gli inferi e la salvezza: una grandiosa allegoria affidata all'organizzazione dello spazio, agli elementi architettonici, al giardinaggio.

Non vi é giardino all'italiana che non presenti l'elemento della grotta. La grotta grande del Buontalenti a Boboli fu realizzata con portentoso effetto scenografico, concrezioni calcaree in forma di stalattiti, conchiglie e rilevi in terracotta, in cui l’acqua che scivolava dalle pareti dava vivacità e colore. È un canone: ve ne sono da Villa d'Este a Tivoli agli Orti farnesiani di Caprarola, fino alla Villa del Principe di Genova e alla seicentesca Villa Doria Pamphili a Roma frutto degli allestimenti scenografici di Giovanni Francesco Grimaldi e del pittore Alessandro Algardi. In fondo al percorso c'è il traguardo sommitale del giardino nel quale gli iniziati, cioè gli intimi del principe, godono le delizie del giardino che domina il paesaggio sottostante e dove, appartata, sorge la casina dei piaceri mondani e intellettuali, conviviali e sensuali. L'impianto é allora una metafora politica della corte, la celebrazione del potere del principe, della sua sapienza e perfezione spirituale. I motivi mondani si accompagnano a quelli religiosi volendo rappresentarli apparentemente senza contraddizione tra le due dimensioni del sacro e del profano. Didascalico in tal senso il percorso nelle stanze interne di Palazzo Farnese a Caprarola, progetto avviato dal cardinale Alessandro Farnese, nel quale si alternano motivi pittorici classico-mitologici con le storie e i personaggi biblici delle susseguenti/adiacenti stanze. Poi, si esce nel giardino verso l’insieme delle “stanze” esterne in cui é suddiviso il parco che, qui come altrove in altre ville cardinalizie e signorili, doveva ricreare le suggestioni del “Paradiso perduto” e ispirare un’esperienza di elevazione attraverso la contemplazione e l’armonia naturale che facilitassero l’avvicinamento a Dio.

Il trionfo di questi temi nel giardino all'italiana rinascimentale é un modello che si estenderà a tutta l’Europa e che contiene una filosofia dello spirito, una metafisica dell'orto tanto importante quanto i suoi aspetti scientifici che acquisteranno un peso sempre maggiore col passare dei secoli. La scansione del disegno é in genere tripartita: l'area a bosco, che nelle proprietà più grandi si fonde alla selva circostante che funge pure da riserva di caccia del signore, é lo spazio selvatico; una porzione a prato, variamente abbellito; mentre l'hortus conclusus di radice medievale, quello protetto e coltivato con spezie ed essenze officinali, é intrecciato col giardino delle delizie, lo spazio-vetta dell'autocelebrazione del modello politico e gerarchico nel quale si specchia il vertice della società che in quei cenacoli si raccoglie. A Genova gli “amenissimi giardini” disegnati da Perin del Vaga accolgono nel 1533 l'imperatore Carlo V nel suo soggiorno alla Villa del suo ammiraglio Andrea Doria, sistemata in tre spazi terrazzati e arricchiti di giochi d'acqua come la fontana dei Delfini di Silvio Cosini e la fontana del Tritone realizzata dallo scultore fiorentino Giovanni Angelo Montorsoli, mentre alle spalle del palazzo la collina di Granarolo viene organizzata in terrazze sovrapposte di aiuole e boschetti. Il giardino é architettura di piante ed elementi decorativi (animali raffigurati, bestiari fantastici o reali come nel caravanserraglio, oppure nella grande uccelliera della Villa del Principe di Genova), statue e fontane. È teatro dove il principe può portare in scena spettacoli comici o drammatici, é arena di tornei e talvolta lago per naumachie. Luogo d'incontro tra natura assoggettata e plasmata dall'uomo - che sta al centro del creato - e cultura, con termine d'epoca ars ovvero artificio di creazioni elaborate.

Per queste ragioni alla sistemazione dei giardini aristocratici, sempre più magnificenti, lavorarono architetti di prestigio come, in epoca barocca, Ferdinando Fuga a Villa Corsini a Roma, oggi orto botanico. A Genova l'erede di Andrea Doria, Giovanni Andrea I, affida la sistemazione della Villa all'architetto Giovanni Ponzello che culmina nel giardino all'italiana con la fontana del Nettuno di Taddeo Carlone. A Caprarola é il genio di Giacomo Barozzi da Vignola a progettare i grandi quadrati del giardino esterno1 terrazzato, seppure la disposizione a quadri rialzati risale al monastero benedettino-cistercense. L'analisi moderna delle fasi costruttive degli Orti farnesiani intraprese attorno al 1559 presso il palazzo di Caprarola, capolavoro del Rinascimento, ha confermato che furono progettati con finalità simboliche e che una complessa rete di significati e riferimenti sottende alla creazione di ogni singolo riquadro. Gli architetti dovevano disegnare percorsi e scenografie metaforiche, come la scala d'acqua simbolo di elevazione. A Villa Lante a Bagnaia tutto lo spazio del giardino é organizzato attorno alla scalinata 2. Si intrecciano temi religiosi e profani, mitologici e in taluni casi sapienziali veicolati dal grottesco come nel Boschetto, il giardino dei “mostri” di Bomarzo voluto da Pier Francesco Orsini detto Vicino. Benché sono attestate lettere di Vicino dell'aprile 1562 inviate ad Alessandro Farnese relative a una campionatura di materiali, i risultati di ciascuna realizzazione dei due committenti mostrano la differenza di idee che ciascuno vuole trasmettere col proprio giardino. Ma per la maggior parte, i giardini compendiavano comunque un discorso simbolico ortodosso: l’acqua - che non manca mai e i suoi giochi, sempre presenti nel giardino all’italiana – era identificata con il principio della vita e i pesci alludevano alla fertilità. Spesso, come a Villa Corsini a Roma, la sistemazione del giardino é pensata per agevolare la comprensione del “cammino del sapere” attraverso precise armonie e itinerari fra le specie vegetali immesse. Solo in epoca più avanzata l’attenzione si sposta sulla valenza didattico-scientifica del percorso negli orti botanici. Nel barocco l'intonazione favorisce semmai l'effetto scenico e la teatralità. La valenza mondana e scenografica diventa in quest'epoca dominante anche nei giardini dei principi della Chiesa come nella Villa d'Este del cardinale Ippolito a Tivoli. Via via che si perderà la nozione dei significati allegorici, però, il giardino all'italiana sarà sempre più visto come artificioso, tanto che si importerà la moda inglese o “paesista” di una natura ormai incorniciata come macchia di verde nello spazio urbano.

 

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1 L'architetto, direttore dei lavori, sovrintendeva gli appalti e i mastri artigiani nell'esecuzione dei lavori. Dai documenti contabili dei pagamenti per il cantiere (“fabbrica”) di Palazzo Farnese a Caprarola, detti “misure”, rinvenuti dallo storico americano Loren W. Partridge negli Archivi di Stato di Roma, é noto quanto numerosi e richiesti fossero gli artigiani specializzati. Il fontaniere Curzio Maccarone - che lavora pure ai giardini del Quirinale, del Vaticano e a Villa d'Este a Tivoli - é tanto richiesto e oberato che sono annotati i suoi ripetuti rinvii degli impegni a Caprarola nonché i solleciti e nuovi appalti accompagnati da ricche offerte economiche. Anzi sarebbe stato proprio il Vignola, esperto ingegnere idraulico, a segnalarlo al cardinale per i progetti farnesiani degli Horti sul Palatino a Roma, di Caprarola e di Parma.

2 Il modello della “scala d'acqua” di Bagnaia e Caprarola sarà ripreso e sviluppato in epoca barocca per i “teatri delle acque” delle ville tuscolane e di Villa Aldobrandini a Frascati dove il progetto del ninfeo fu completato nel 1622 da due grandi architetti come Carlo Maderno e Giovanni Fontana.