Viaggio al centro della materia
Fabio Fantini
Immaginate una lunghezza di 2,699 cm (abbiate pazienza, un motivo ci sarà) [1], appena poco più del diametro di una moneta da 2 €. Considerate questa lunghezza come il lato di un cubo che costruirete mentalmente. Ora che avete il solido geometrico, potete riempirlo con una sostanza familiare: acqua. Acqua solida, però, quindi immaginate di avere un cubetto di ghiaccio delle dimensioni che ho suggerito, alla temperatura di 0°C (e alla pressione di 101,3 kPa, se vi piace essere pignoli). Questo oggetto sarà la porta di accesso a un percorso che ci porterà sempre più in profondità nella struttura della materia. Con trasparente riferimento al famoso romanzo di Jules Verne che ispira il titolo di questo articolo, il cubetto di ghiaccio sarà l’analogo del cratere vulcanico da cui ci addentreremo nelle viscere di un mondo che riteniamo di conoscere bene solo perché a esserci familiare è la sua superficie. Prima della partenza, però, come in ogni viaggio organizzato che si rispetti, occorre una breve nota informativa per illustrare l’itinerario.
Una linea di pensiero di grande successo nella storia dell’umanità ritiene che la natura della materia possa essere analizzata in termini di particelle elementari costituenti. Si tratta di una tradizione che vanta radici antiche, espressioni letterarie di rilievo e, cosa forse più importante, un numero imponente di conferme scientifiche. Non meraviglierà quindi l’affermazione che il nostro cubetto di ghiaccio è formato da un reticolo cristallino di molecole di acqua, ciascuna delle quali è a sua volta costituita da una combinazione rigorosamente precisa di due atomi di idrogeno e un atomo di ossigeno (figura 1).
La ricerca di unità fondamentali è ricorsiva, un po’ come se avessimo a che fare con una matrioska: quando scopri una particella costitutiva, guardi bene e ce ne trovi dentro una ancora più piccola. Ciascun atomo, infatti, è costituito da un minuscolo nucleo e da uno o più elettroni che occupano un vasto (relativamente alle dimensioni atomiche) spazio circostante. Il nucleo atomico è a sua volta costituito da un numero variabile di particelle più piccole: protoni (uno o più) e neutroni (zero o più). Protoni e neutroni, le particelle subatomiche componenti del nucleo, per questo motivo chiamate nucleoni, sono formati da combinazioni diverse di tre particelle ancora più piccole, i quark.
E ai quark ci fermiamo, almeno all’aprile 2020. Già finito? Tutto qui? Calma, questa è solo la presentazione degli incontri che faremo. Il viaggio vero e proprio, con tanto di colpo di scena finale, comincia adesso, al prezzo di qualche calcolo e sfruttando come mezzo di trasporto la qualità primaria della materia, cioè la massa. La fisica classica definisce la massa come misura della resistenza di un corpo ai cambiamenti di moto e la indica come proporzionale alla quantità di materia presente nel corpo. Questa definizione andrà benissimo per iniziare il viaggio, ma non affezionatevici troppo, mi raccomando.
Spero non abbiate classificato come un’innocua stramberia il fatto di avere fissato a 2,699 cm il lato del cubetto di ghiaccio. Visto che i calcoli saranno il prezzo del nostro biglietto di viaggio, cerchiamo almeno di sfruttare qualche riduzione per comitive. Vi rammento che il volume di un cubo di lato 2,699 cm è 19,66 cm3 e che la densità del ghiaccio a 0°C vale 0,9167 g/cm3. Comincerete a intuire qual è la facilitazione di calcolo che intendo sfruttare, quando vi preciso che la massa del cubetto è 18,02 g. Frequentazioni più o meno lontane della tavola periodica consentiranno di ricordare che la massa molecolare relativa dell’acqua vale 18,02 u (unità di massa atomica). Bene, quel cubetto è, nel limite di accuratezza consentito da quattro cifre significative, una mole di acqua e contiene un numero di molecole dato dalla costante di Avogadro: 6,022 · 1023, che d’ora in poi indicheremo per comodità con il simbolo NA.
L’analisi più dettagliata del contenuto del cubetto di ghiaccio (formula chimica H2O) ci consente di precisare che gli atomi di idrogeno sono 2 · NA, mentre quelli di ossigeno sono NA. La massa di un atomo di idrogeno è 1,674 · 10–24 g, mentre quella di un atomo di ossigeno è 2,657 · 10-23 g. La massa complessiva di tutti gli atomi di idrogeno nel cubetto di ghiaccio è 2 · NA · 1,674 · 10–24 g = 2,016 g; quella di tutti gli atomi di ossigeno è NA · 2,657 · 10-23 g = 16,00 g. Il totale, a quattro cifre significative, è 18,02 g.
Breve sosta di riflessione al termine della prima tappa. Dal punto di vista della massa, abbiamo avuto piena conferma che un oggetto macroscopico, il cubetto di ghiaccio, è perfettamente equivalente alla somma dei contributi delle unità microscopiche elementari di cui è composto. Rinforzati nelle nostre sicurezze, siamo pronti per la seconda tappa.
Incuranti del paradosso etimologico, nella seconda tappa avremo come mèta lo «smontaggio» dell’atomo in componenti ancora più piccole e fondamentali. Ogni atomo è costituito da un nucleo, a sua volta formato da una combinazione di protoni e neutroni, e da elettroni in numero uguale a quello dei protoni nel nucleo. Il nucleo dell’atomo di idrogeno è formato da un solo protone, e trattiene un solo elettrone. Il nucleo di un atomo di ossigeno, invece, ha otto protoni e otto neutroni, ed è circondato da otto elettroni. La seconda tappa del nostro viaggio verso la profondità della materia ci porterà a calcolare la massa dei costituenti subatomici del cubetto di ghiaccio, per verificarne la corrispondenza con i nostri 18,02 g di partenza.
Allo stato attuale delle conoscenze, [2] la massa del protone vale 1,672 621 923 69 · 10-24 g, quella del neutrone vale 1,674 927 498 04 · 10-24 g e quella dell’elettrone vale 9,109 383 7015 · 10-28 g. So che avete dato una scorsa rapida a questi valori, un po’ come quando uno si affaccia su un precipizio, dà un’occhiata e ritrae subito lo sguardo mentre percepisce un vago senso di attorcigliamento nel basso ventre; se, però, tornerete a osservarli con coraggiosa determinazione, vedrete che ci viene offerto un nuovo sconto comitive. Poiché nei nostri calcoli stiamo usando quattro cifre significative, indichiamo la massa di neutrone e protone rispettivamente come 1,675 · 10-24 g e 1,673 · 10-24 g. La massa dell’elettrone a quattro cifre significative è 9,109 · 10-28 g, che equivale a 0,0009109 · 10-24 g. Il contributo degli elettroni alla massa degli atomi incide sulla quinta cifra delle misure, oltre il margine di accuratezza che abbiamo scelto e quindi possiamo considerarlo trascurabile. Per calcolare la massa del cubetto di ghiaccio possiamo limitarci a sommare la massa dei neutroni e quella dei protoni, trascurando gli elettroni.
Rincuorati da questo piccolo ma non marginale aiuto, siamo pronti per completare la seconda tappa. Il nucleo di un atomo di idrogeno contiene un protone, mentre il nucleo di un atomo di ossigeno contiene otto protoni e otto neutroni. Ogni molecola di acqua contiene due atomi di idrogeno e uno di ossigeno e pertanto 10 protoni e 8 neutroni. Il numero totale di protoni presenti nel cubetto di ghiaccio è 10 · NA = 6,022 · 1024 e il numero totale dei neutroni è 8 · NA = 4,818 · 1024. Moltiplichiamo il numero di protoni e di neutroni per la rispettiva massa e sommiamo i risultati per ricavare la massa del cubetto di ghiaccio. Dunque: 6,022 · 1024 protoni · 1,673 · 10-24 g/protone = 10,07 g; 4,818 · 1024 neutroni · 1,675 · 10-24 g/neutrone = 8,069 g. Il totale è 18,14 g. Ohibò, ci avanza un po’ di massa! E dire che avevamo trascurato gli elettroni! Ci serve una nuova pausa di riflessione.
Il fatto è che protoni e neutroni che formano un nucleo atomico hanno una massa leggermente inferiore a quella delle stesse particelle prese separatamente. Si tratta di un fenomeno noto come difetto di massa. Possiamo affermare, in prima approssimazione, che l’energia necessaria per vincere la repulsione tra i nucleoni e assicurare stabilità al nucleo proviene da una lieve perdita di massa di neutroni e protoni, convertita in energia secondo la relazione E = mc2. La perdita di massa è misurabile sperimentalmente ed equivale, nel caso dell’ossigeno, a circa lo 0,8%. Il fenomeno non riguarda i nuclei dell’idrogeno, composti da un solo protone, pertanto il difetto di massa complessivo nell’acqua è intorno allo 0,7%.
La determinazione sperimentale della massa dell’ossigeno fornisce il valore 2,657 · 10–23 g, leggermente diverso da quello ricavabile per via teorica attraverso la somma delle masse di otto neutroni e otto protoni, 2,678 · 10–23 g. Potete fare i conti, se avete cominciato a prenderci gusto, e verificherete che il difetto di massa vale appunto lo 0,8% della massa teorica. Individuata la correzione da apportare, torniamo a sommare le masse dei nucleoni presenti in una mole di acqua, differenziati tra idrogeno, senza difetto di massa, e ossigeno, con difetto di massa. Dunque: 2 · NA protoni · 1,673 · 10-24 g = 2,016 g di idrogeno; 16 · NA nucleoni · 1,660 · 10-24 g/nucleone = 16,00 g di ossigeno. Il totale ci fa tirare un sospiro di sollievo: 18,02 g!
Il superamento delle difficoltà infonde nuove forze, quindi ci apprestiamo ad affrontare la terza e ultima tappa del viaggio con baldanzoso entusiasmo. Tutti in marcia verso i quark, andiamo!
Prima di iniziare quest’ultima fatica, occorre precisare che i quark sono particelle, per usare un eufemismo, piuttosto elusive e che misurarne la massa non è operazione semplice. Gli strumenti che permettono di rilevare i quark e molte altre particelle subatomiche sono gli acceleratori di particelle, nei quali sono fatte avvenire collisioni con energie che i fisici misurano, per uso consolidato, in eV (elettronvolt). Per questo motivo, torna comodo misurare le masse della particelle in eV/c2, una scelta meno bizzarra di quanto possa sembrare, se ricordiamo che m = E/c2. [3] L’eV corrisponde a una quantità di energia molto piccola, dell’ordine di 10–19 J, pertanto non ci sorprenderà sapere che le masse di particelle pur piccolissime sono espresse in MeV/c2. Ad esempio, la massa dell’elettrone vale 0,511 MeV/c2, quella del protone 938,3 MeV/c2, quella del neutrone 939,6 MeV/c2.
Figura 2 – Schema della struttura del protone e del neutrone. I quark sono caratterizzati da proprietà che prendono il nome di sapore, colore, carica elettrica e spin (i primi due termini non sono da interpetrare alla lettera). u e d sono due dei pos- sibili sapori, mentre esistono tre possibili colori, indicati conv- enzionalmente come rosso, verde, blu. L’assegnazione del colore ai singoli quark è arbitraria, ma in ciascun nucleone devono esser presenti tutti i tipi di colore. (da:wikipedia)
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Esistono sei tipi di quark, ma quelli che entrano nella composizione dei nucleoni sono solo i due quark più stabili e più comuni, indicati come quark up (u) e quark down (d). Ogni protone è composto da due quark up e un quark down, mentre ogni neutrone è costituito da un quark up e due quark down (figura 2). Tralasciamo la pur sorprendente questione delle cariche elettriche, che sono frazionarie e valgono 2/3 e -1/3 rispettivamente per i quark up e i quark down, per interessarci della massa di queste particelle. La massa dei quark è nota con un certo margine di incertezza [4]e pertanto è espressa a due cifre significative: il quark u ha una massa di 2,3 MeV/c2, con un intervallo di fiducia compreso tra 1,8 e 3,0 MeV/c2; il quark d ha una massa di 4,8 MeV/c2, con un intervallo di fiducia compreso tra 4,5 e 5,3 MeV/c2.
Anche a volere considerare i valori massimi dell’intervallo di fiducia, la somma delle masse dei quark contenuti in un protone, due u e un d, dà come risultato 11,3 MeV/c2, mentre per il neutrone, con due d e un u, otteniamo 13,6 MeV/c2. Possiamo stropicciarci gli occhi quanto vogliamo, si tratta di valori che rappresentano un misero 1,2% e 1,4 % della massa rispettivamente del protone e del neutrone. Dove è finito il 98% e passa della massa restante?
L’ultima tappa del nostro viaggio si rivela più problematica del previsto, perché la mèta è svanita o, meglio, ce ne è rimasto poco più dell’1%. L’aggiustamento richiesto non è da poco e per cavarcela abbiamo bisogno di un ripensamento radicale del concetto di massa. Se fino agli atomi e, sia pure al prezzo di qualche lieve ritocco, fino ai nucleoni il nostro modello di riduzione particellare della materia ha funzionato, è chiaro che ora non va più bene. I quark non sono particelle dotate di una identità materiale precisa, tale da poterci fare affermare che risolvono completamente il livello materiale superiore. I quark u e d, in particolare, hanno una massa poco maggiore di un elettrone, il cui comportamento dualistico è ben noto. I quark, come gli elettroni, sono particelle-onda, configurabili come fluttuazioni fondamentali di campi quantistici elementari. [5]
All’interno della struttura del nucleone, i tre quark sono in agitazione perpetua, trattenuti, però, dalla forza nucleare forte. Al contrario della forza di gravità o della forza elettrostatica, che diminuiscono di intensità con l’aumentare della distanza, la forza nucleare forte funziona come un elastico, che appena si tende obbliga a riprendere la posizione iniziale. Quando i quark si avvicinano, la forza diminuisce e permette movimenti che però non possono distanziarli troppo, perché la forza torna subito a farsi sentire. Il risultato è una struttura stabile, il nucleone, appunto, nel quale i tre quark sono legati con un certo grado di flessibilità, che consente loro di sbatacchiare qua e là entro i limiti di confinamento imposti dalla forza nucleare forte. [6]
La forza nucleare forte agisce grazie a mediatori di forza chiamati gluoni, una volta tanto un nome esplicativo, infatti «incollano» i quark uno all’altro. I gluoni sono privi di massa come i fotoni, ma al contrario di questi sono confinati all’interno del nucleone, scambiati in continuazione tra i tre quark. Potreste pensare che avere aggiunto particelle prive di massa alla struttura dei nucleoni non ci faccia fare passi avanti per risolvere il problema della massa mancante. La dinamica delle interazioni all’interno dei nucleoni fornisce, invece, l’indizio decisivo per giungere a una risposta inevitabile quanto sconcertante: la maggior parte della massa di protoni e neutroni è dovuta all’energia delle interazioni tra i quark e i gluoni che costituiscono i nucleoni. Il fenomeno del difetto di massa, che era emerso nella seconda tappa, va rivisto in questa ottica: non si tratta di massa che si trasforma in energia, ma di energia che passa da un tipo di campo a un altro. La forza che lega protoni e neutroni nel nucleo atomico è un residuo della forza responsabile del legame tra i quark e che deborda fuori dai singoli nucleoni.
Secondo la visione del mondo aperta dagli atomisti greci e culminata con la fisica classica, è la materia che possiede energia. Anche quando riduciamo la materia ai suoi costituenti microscopici, essi non cessano di possedere la qualità distintiva della materia, cioè la massa. Un cubetto di ghiaccio è stato il punto di ingresso per il viaggio nella profondità della materia, il nostro Snæfellsjökull [7] per mantenere l’iniziale analogia letteraria. Lungo il tragitto siamo stati costretti a riconsiderare le convinzioni iniziali, perdendo gradualmente di vista l’ancoraggio sicuro della concretezza della materia. Man mano che siamo passati a considerare particelle materiali sempre più fondamentali, abbiamo visto emergere la loro caratteristica di essere il risultato di interazioni tra campi quantistici intangibili. Ciò che riconosciamo come massa è un comportamento di questi campi, non una loro proprietà intrinseca.
Anche se il nostro mondo fisico è pieno di oggetti duri e pesanti, è in realtà l’energia dei campi quantistici a determinarne le caratteristiche. La massa è una manifestazione fisica di quell’energia, non il contrario. Il punto di riemersione in superficie al termine del viaggio, il nostro Stromboli da cui siamo tornati a rivedere le stelle, ci ha scaraventato a latitudini intellettuali inusuali, sotto un cielo completamente diverso, nel quale a orientarci non sono più le stelle fisse degli atomi duri e impenetrabili, ma le mutevoli costellazioni dell’energia dei campi quantistici.
Ringrazio Stefano Piazzini e le colleghe di redazione Francesca Civile e Lucia Stelli per la preziosa revisione.
[1] Per chi chiedesse ragione del ricorso a quattro cifre significative, ricordo che nell’insegnamento di chimica negli istituti superiori sono di norma riportate nelle tavole e sono usate nei calcoli quattro cifre significative, in genere adeguate all’accuratezza delle misure che si possono effettuare in un laboratorio scolastico; inoltre, nel caso delle masse delle particelle subatomiche, quattro cifre significative sono il minimo indispensabile per apprezzare la differenza di massa tra protone e neutrone.
[2] I dati sono tabulati nel sito del National Institute of Standards and Technology, un equivalente del paese dei balocchi, per chi ama sguazzare tra le costanti fisiche fondamentali (e cose affini): https://physics.nist.gov/cgi-bin/cuu/Category?view=html&Atomic+and+nuclear.x=87&Atomic+and+nuclear.y=9
[3] Nell’addendum al suo articolo sulla relatività ristretta del 1905, Einstein presentò la relazione fra massa ed energia nella forma m = E/c2, non nella più popolare e del tutto equivalente forma E = mc2, e scrisse: «La massa di un corpo è una misura del suo contenuto di energia.» Forse vista lunga, più che preveggenza.
[4] I dati sono disponibili, con relativa discussione delle incertezze legate alle misure, presso il sito del Particle Data Group: http://pdg.lbl.gov/2019/reviews/rpp2019-rev-quark-masses.pdf
[5] Immagino vi piacerebbe farvi un’idea precisa di che cos’è un campo quantistico, ma dovrete accontentarvi di un generico accenno. In generale, un campo è una entità fisica rappresentabile tramite un valore in funzione della posizione nello spazio-tempo. Il campo gravitazionale terrestre, ad esempio, assume in ogni punto valori descritti dall’accelerazione di gravità ed esprime l’azione della forza di gravità. Nei campi quantistici le forze sono trasmesse da onde nel campo, che possiedono anche gli attributi corpuscolari e possono essere considerate particelle, quanti del campo stesso. Queste particelle non sono posizionate in un punto fisso, ma hanno una probabilità di essere trovate in una certa regione di spazio. In fisica quantistica questa probabilità è rappresentata dal modulo al quadrato della funzione d’onda della particella, una funzione complessa che ha come variabili reali le quattro coordinate spazio-temporali. La dinamica della funzione d’onda è descritta dall’equazione di Schrödinger. Il campo quantistico è un’entità che esiste in ogni punto dello spazio e che regola la creazione e la annichilazione delle particelle. Può anche darsi che a questo punto ne sappiate più di prima, non posso escluderlo.
[6] I fisici individuano quattro forze (o interazioni) fondamentali, cioè non riconducibili ad altre forze: forza di gravità, forza elettromagnetica, forza nucleare forte, forza nucleare debole. Le prime due sono familiari; la forza nucleare forte è responsabile dell’interazione che lega i quark nei nucleoni e i nucleoni tra loro; la forza nucleare debole è responsabile dei decadimenti nucleari. Il motivo per cui le forze nucleari, debole e forte, sono poco familiari ai più è che il loro raggio d’azione è dell’ordine delle dimensioni delle particelle subatomiche. Ciò non toglie che la loro azione sia, alla lettera, essenziale per il mondo fisico in cui viviamo (noi compresi).
[7] Per i lettori che non avessero sperimentato la mia stessa incondizionata passione adolescenziale per i romanzi di Jules Verne, in particolare per Viaggio al centro della Terra, Snæfellsjökull (Sneffels, nel romanzo) è il nome del vulcano islandese nel cui cratere si calano il professor Otto Lidenbrock, suo nipote Axel e la guida Hans Bjelke per iniziare il mirabolante viaggio nelle viscere del pianeta che li porterà a riemergere in superficie allo Stromboli.