La natura non è buona, saggia, bella. É natura
Piero Bianucci settembre 2022
Il filosofo evoluzionista Telmo Pievani legge le pandemie, i microbi resistenti agli antibiotici, l’inquinamento, il cambiamento climatico, le disuguaglianze, le migrazioni con il paradigma darwiniano. E alla fine la corretta comunicazione della scienza emerge come problema fondamentale
Per gentile concessione de "la Stampa"
Telmo Pievani, professore di filosofia delle scienze biologiche all’Università di Padova, ha raccolto nel suo ultimo libro “La natura è più grande di noi” (Solferino, 200 pagine, 16 euro) “storie di microbi, di umani e di altre strane creature”. É una scorribanda tra le più recenti, importanti e curiose scoperte scientifiche reperibili in una ben selezionata e aggiornata biblioteca di alta divulgazione scientifica. Ma a guidare l’escursione di Pievani c’è una visione sistemica che mette in ordine le conquiste della ricerca tracciando la fitta rete delle relazioni tra i viventi sotto il grande paradigma dell’evoluzione (disegno). Nella rete c’è la chiave per capire e affrontare alcuni tra i maggiori problemi del nostro tempo: pandemie virali come quella del Covid 19, resistenza dei microbi agli antibiotici, cambiamento climatico, inquinamento, migrazioni, disuguaglianze sociali, la stessa comunicazione della scienza e i suoi fallimenti.
Parola abusata
La parola natura è abusata. Ambientalisti da salotto, politicanti demagoghi e imprenditori furbastri la associano a valori morali (la natura è buona e giusta), estetici (la natura è bella, romantica, elegante), culturali (la natura è saggia, non commette errori), economici (la natura non spreca). É un modo di intenderla senza base scientifica. La natura è semplicemente la natura, da “natum”, participio passato del verbo latino nascere. Natura è ciò che nasce (e muore) dall’alba unicellulare della vita (3,6 miliardi di anni fa) ai 10 milioni di specie di oggi, a domani – fino a quando ci sarà un domani.
Formule antropomorfe
La natura non giudica, fa notare Pievani. E di conseguenza, aggiungerei, non può e non deve essere giudicata. Dobbiamo stare attenti alle parole.
Talvolta anche il linguaggio della scienza è antropomorfo. La legge di gravità dice che le masse si attraggono. Bene, anzi, male: in realtà la natura non ha leggi (quelle ce le vediamo noi) ma semmai meccanismi, e l’attrazione è qualcosa che osserviamo nelle manifestazioni della gravità ma Einstein ne ha dato una interpretazione completamente diversa, e non è detto che sia definitiva. La realtà vera è che non sappiamo che cosa sia intrinsecamente la gravità.
La realtà vera è che “la natura è più grande di noi” nonostante tutti gli sforzi fatti per dominarla con la forza e con l’intelligenza.
Supercomputer da 20 watt
Attraversiamo una fase dell’evoluzione nella quale caso e necessità hanno inserito nella intricata rete di relazioni della natura una specie particolare (ma tutte, ciascuna a modo suo, sono particolari). La specie Homo sapiens. Questa sembra una novità speciale, un salto di qualità. Il cervello umano pesa 1350 grammi, può memorizzare 2,5 milioni di GB di informazioni equivalenti a 300 anni di video e consuma 20 watt. Il supercomputer “Leonardo” realizzato al Tecnopolo di Bologna, il secondo del mondo per potenza, assorbe energia come una città di 120 mila abitanti, è composto da 150 armadi e occupa 7000 metri quadrati. Formidabili quei 1350 grammi di neuroni che abbiamo nella testa!
Trarre le conseguenze
Dunque il cervello umano è perfetto? É il punto di arrivo della natura? Niente affatto. “Quando ammiriamo nella natura la bellezza, l’armonia e la funzionalità dimentichiamo spesso che non stiamo osservando prodotti finiti, ma processi in corso”, osserva Pievani. “L’evoluzione non si attiene a standard prefissati, bensì esplora il possibile. Ecco perché l’imperfezione è ovunque: la selezione naturale fa di necessità virtù con il materiale a disposizione (…) Rita Levi-Montalcini descrisse magnificamente l’imperfezione del cervello umano, un accrocco di parti vecchie e nuove”. L’accrocco è stato efficientissimo nel modellare l’ambiente a proprio comodo ma, non essendo perfetto, ha esagerato. Adesso tuttavia, sembra suggerire Pievani, quell’accrocco ha raggiunto un livello sufficiente a capire la rete delle connessioni. Saprà trarne le conseguenze?
Problema di comunicazione
Ridotto all’osso, alla fine è un problema di comunicazione. Inevitabilmente (per fortuna) siamo tutti diversi e tutti abbiamo diverse intelligenze (e diverse stupidità). Quindi sono diverse le conseguenze che si possono trarre dalla rete di connessioni che stiamo esplorando (e nel decifrarla siamo solo all’inizio). Giustamente Pievani si preoccupa della complessità di questa fase culturale (8 miliardi di umani che vanno da Elon Musk al nigeriano con un dollaro al giorno, il web che ci connette 24 ore su 24, aerei che in poche ore spostano virus e batteri dal polo nord al polo sud) e delle vie ingannevoli che può prendere la comunicazione nel pianeta globalizzato.
Il Covid, che apre il libro come sintomo di una serie di errori umani, lo chiude attraverso l’analisi degli errori commessi nel comunicarlo. Ne esce un decalogo di consigli ai giornalisti e agli scienziati, nella consapevolezza che l’infallibilità non esiste e che tutto ciò che vive è fragile. Le ultime otto pagine, dolorosamente autobiografiche, sono il sigillo di questa durissima fragilità.