Della mia amica codirossa, della fedeltà. Del tempo e di una benedetta finestra
Giorgio Paesani 23/11/2022
Una volta, mentre tenevo una conferenza, forse sui rapaci, una signora del pubblico mi chiese se può nascere “amicizia” tra uomini e uccelli selvatici. Le risposi di no, decisamente, anche un po’ seccamente. Forse un po’ troppo, col senno di quello che mi sarebbe accaduto negli anni successivi.
Questa è la “storia” tra me e una femmina di Codirosso spazzacamino.
Attivare una mangiatoia per uccelli selvatici è una cosa gratificante e divertente se lo fai per bene, senza esagerare, in sicurezza. Poche regole e la legge fondamentale su tutte: “la mangiatoia non salva nessuno”.
Dopo i primi giorni di rodaggio, il tempo che il cibo venisse notato dagli uccelli dei giardini dei vicini, ed ecco le prime cinciarelle, poi le cinciallegre, un pettirosso e un codirosso spazzacamino.
Il Codirosso spazzacamino (Phoenicurus ochrurus) è un piccolo passeriforme insettivoro, tipico di ambienti rocciosi, più spesso di montagna, ma molto “sinantropico” tanto da essere immancabile presenza sulle costruzioni umane, anche abitate e assiduamente frequentate.
È un migratore a corto raggio, Dal nord e dalle alte montagne ne scendono moltissimi verso i climi più caldi della pianura e della costa, è comunissimo come svernante sulle nostre isole e, durante le migrazioni, su queste raggiunge densità imbarazzanti! Frequenta volentieri le aree urbane, anche molto degradate e con pochissimo verde. Probabilmente le nostre care zone industriali, in gran parte abbandonate e sottoposte ad una lenta “naturalizzazione” sono ambienti ideali per questo folletto di roccia.
Il Codirosso spazzacamino arrivato in mangiatoia aveva il piumaggio tipico del giovane o della femmina: marrone grigiastro pressoché uniforme, una sfumatura bianca sulle ali creata dal margine esterno delle penne secondarie più interne, la coda rossa come il groppone.
Nel loro ambiente il codirossi spazzacamini non hanno molto da temere dall’uomo. Di solito li ignora, solo in alcune maledette regioni o vallate l’uomo si accanisce ad ammazzarne a migliaia, illegalmente, pur di passare lunghe serate ad accumulare colesterolo sulle pareti delle proprie arterie. Bontà sua. Ma in generale l’uomo non è una minaccia e lo spazzacamino si lascia osservare mentre agita la coda e, a sua volta, ti studia.
Così faceva la codirossina (avrei scoperto l’anno successivo che era una signora), mi guardava e aspettava che mi allontanassi per piombare in mangiatoia e battere sul tempo quel bullo da siepe del pettirosso, sempre pronto alla rissa!
In effetti capii che il pettirosso mangiava la maggior parte delle tarme della farina che mettevo in mezzo al cibo e agli altri lasciava il resto. Così decisi di dare una mano alla mia scodinzolante ammiratrice. Presi una tarma (larva di Tenebrio molitor) e la lanciai sul tetto del vicino un paio metri sotto e altrettanti di distanza. Volevo allontanarmi ma lei si lanciò, prese la larva e volò con l’insetto nel becco sulla grondaia. Un paio di colpetti contro il rame e poi “gulp!”, ingoiata!
Mica lo sapevo, ma era l’inizio di una esperienza che mi porterò dentro finché campo e, se esisterà un volo low cost verso altre destinazioni, chiederò se posso tenerla nel bagaglio a mano.
Andò avanti tutto l’inverno così: mi svegliavo, prendevo il barattolo delle tarme, aprivo la finestra dello studio, schioccavo la lingua, la codirossina rispondeva e arrivava, due, tre, quattro…cinque (a volte anche nove) larve e poi ciao, andava via sazia. Questo fino alla prima decade di aprile, poi, un giorno, non si fece viva, nemmeno quello dopo e il successivo. “Ok, sei partita, buon viaggio e stai lontana dai mie simili”.
Passano sei mesi, più o meno, torna l’autunno, riattivo la mangiatoia. Una mattina mentre metto il cibo dentro sento il “Tak-tak!” da codirosso spazzacamino! Eccolo lì, sulla grondaia!
Datemi del pazzo ma io parlo con tutti gli animali, finora nessuno mi ha risposto a parole e la cosa è consolante ma insisto a cercare il bordo del baratro. Tant’è che le faccio “Mica ci conosciamo?” e schiocco la lingua. E lei vola sul tetto del vicino, mi guarda quasi a dirmi “E la tarma? Che fai mi prendi per la coda?”. Corro dentro, prendo le tarme e la storia riprende. Era LEI!!
Confesso che ebbi la tentazione di abituarla a venirsi a prendere il cibo dalle mani, ma ho resistito. Non tutti gli umani sono innocui come me ed io, anche se sono una pecora nera, appartengo alla specie animale peggiore dell’Universo, tra quelle conosciute, ed è un bene che nessuna forma vivente selvatica si abitui troppo a fidarsi di un uomo. Anche se la cosa mi fa un gran male sono contento quando vedo che gli animali inorridiscono nel vedermi e fuggono.
Il nostro rapporto andò avanti immutato, anno dopo anno, superando nevicate, separazione e divorzio, lavori di ristrutturazione del vicino (terrificanti), fuochi artificiali, scosse di terremoto, potenti libecciate e tremende tramontanate. Poteva essere il Giorno Peggiore, con la casa piena di demoni che banchettavano con la mia anima, ma quando aprivo la finestra “Tak tak!” “Eccoti, oggi te ne do sei perché sennò le finiamo, tanto non fa freddo. Fai a modino!”. Chiudevo la finestra, mi giravo e i demoni erano lì, atterriti, si guardavano tra loro e, sconsolati, svanivano nell’angolo tra il bagno e la porta d’ingresso. Poteva essere la Meravigliosa Mattinata dell’anno, ed ero in ritardo, e non vedevo l’ora di uscire, ma aprivo la finestra e “Tak tak!” “Oh, vieni! Arriva la pappa! Sbrigati che faccio tardi!”.
E la codirossina continuava a tornare, ancora ed ancora negli anni! 4, 5, 6... La cosa si fece notevole. 7, 8... Incredibile. Ho persino perso il conto, in effetti, ma le prime foto parlano chiaro, almeno 7-8 anni!
Poi, come in tutte le fiabe, e in molte vite, le cose sono cambiate. Mi sono trasferito in Veneto. Sono partito alla fine dell’estate lasciando a casa pochi libri, qualche disco e un barattolo da allevamento pieno di tarme della farina, non si sa mai… Tornasse…
Quell’autunno passai di casa qualche volta, ma solo la notte, per ripartire verso l’Elba la mattina prestissimo, a buio. Finalmente solo dopo tanti mesi riuscii a fermarmi per due giorni, se non ricordo male a fine dicembre. Sinceramente non ci contavo, pensavo che, senza la mangiatoia attiva, se anche fosse miracolosamente tornata non si sarebbe fermata, avrebbe cambiato zona, vista la chiusura del ristorante.
Arrivai un venerdì notte. La casa era fredda e senza vita, senza vibrazioni, come sono le case disabitate.
La mattina apro la finestra. La mangiatoia è lì ma vuota da mesi, nessun pennuto in giro. Sospiro. Schiocco la lingua, aspetto, nulla. “Ok, non sei tornata, vecchiarella. Ci vediamo dall’altra parte”. Mi giro ma una forza leggera e misteriosa mi fa lasciare la finestra aperta.
“Tak-tak! Tak-tak!”.
Tornò quell’ultimo inverno, ci saremmo rivisti altre tre o quattro volte dopo quella mattina. Notai che il suo piumaggio era molto “mascolinizzato”, un fenomeno assolutamente normale e conosciuto anche tra gli uccelli. La sfumatura bianca sulle ali era diventata una bella linea candida molto netta, da giovane maschio.
Mi accorsi che mi ero liberato da un peso sul cuore. Pensavo di averla abbandonata e che non se la sarebbe cavata senza il mio supporto alimentare e invece no, se l’era cavata alla grande, per quell’ultimo inverno!
Dunque fu amicizia? No. Certo che no! Ma quando parli con un animale, inizi a comunicare a suoni, gesti, coi fatti, la cosa riguarda una parte di te molto più profonda di quanto immagini, più che preistorica, risale a prima del bivio, prima della caduta dal Paradiso Terrestre. È una carezza da dentro, materna e paterna, che ripara le ferite e scaccia i demoni dai pensieri perché ti rimpicciolisce al punto tale da metterti in contatto con quello che sei, con quello di cui sei piccola e temporanea espressione.
Sono tornato a Livorno un paio di settimane fa. Vado in terrazzo e, si, schiocco le labbra! Sento un “Tak, tak!” e vedo un codirosso spazzacamino sul tetto del vicino, in alto. No, non era lei, magari una sua discendente, chissà, o magari le cose vanno come dovrebbero andare, ogni tanto.