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Caro Babbo Natale, quest’anno vorrei…

 

gioco tra specie diverse

Caro Babbo Natale, quest’anno vorrei…

 

Valentina Vitali

 

A questa formula universalmente usata segue di solito una lista più o meno lunga di richieste che consistono, soprattutto nel caso dei bambini, in giochi di vario genere. Il gioco è infatti una delle attività più piacevoli dell’infanzia (e non solo), a cui si dedica tutto il proprio tempo lasciato libero da scuola e compiti e casa e l’unico obiettivo sembra il divertimento. Allora anche le altre specie animali si divertono? Perché indubbiamente giocano, e non solo cani e gatti. Molti sono i ricercatori che si sono concentrati sul gioco nei non umani, cercando di ricostruirne l’evoluzione, i significati e le capacità neuronali richieste eppure tuttora non esiste una definizione di gioco valida per tutte le attività ludiche osservate. Ottenere delle generalizzazioni corrette per comportamenti così eterogenei, che variano in base alla specie, all’età, al sesso, al benessere psico-fisico, al luogo e alla socialità, è estremamente difficile. D’altro canto è paradossalmente facile riconoscere con spontaneità una dinamica ludica anche in taxa molto lontani dall’uomo.

La definizione a cui ci si riferisce attualmente (di Burghardt) prevede che il gioco rispetti 5 criteri: il comportamento deve essere incompleto da un punto di vista funzionale, deve essere piacevole e volontario, assumere forme esagerate, deve presentarsi ripetutamente e essere attuato quando gli individui sono in uno stato di benessere e non sottoposti a stress. Un altro elemento difficile da comprendere è perché una pratica così energicamente dispendiosa (basta pensare ai cuccioli che crollano a dormire profondamente dopo il gioco) e pure pericolosa (aumenta ad esempio la visibilità per i predatori e abbassa il livello di attenzione) sia così diffusa e perseguita. Giocare serve per imparare i comportamenti corretti da adottare in diverse situazioni reali; i giovani della

box tra gatti  

puzzola ad esempio giocano mordendosi la nuca, gesto da utilizzare sia nella predazione che durante l’accoppiamento, oppure nei Felidi (dai gatti ai leoni) la madre gioca con i propri cuccioli per insegnare loro tecniche di caccia efficaci o, ancora, i pinguini di Adelia giocano buttandosi reciprocamente in acqua per poi uscirne con un balzo, lo stesso attuato dagli adulti per atterrare sul ghiaccio sfuggendo ai predatori. L’attività ludica però può servire anche per smaltire un surplus energetico che piccoli sani e sazi possono accumulare, per sviluppare un fisico adatto alle attività da adulto, esplorare il luogo in cui si vive o gli oggetti che si hanno intorno, imparare le regole sociali del proprio gruppo o sviluppare le proprie capacità cognitive. Giocare infatti non è semplice. Se si eseguono azioni proprie della predazione, dell’aggressione o della riproduzione, bisogna chiarire che le intenzioni sono giocose, altrimenti si rischia di essere fraintesi e i danni possono essere gravi. Si sono perciò evoluti dei metasegnali di inizio o prosecuzione del gioco, il cui unico scopo è indicare che tutto ciò che si farà è finzione, gioco e divertimento e quindi modificare il significato dei segnali che si produrranno successivamente. Ciò vuol dire che gli animali che giocano hanno capacità cognitive che permettono di accordarsi, chiedere il permesso di

bastone come giocattolo  

fare qualcosa, usare consapevolmente dei segnali e capire un’atmosfera di gioco e finzione. I metasegnali sono estremamente vari: nei Canidi viene usato l’inchino stereotipato, proprio anche dei cani domestici, nei primati la faccia giocosa, in cui abbozzano un sorriso scoprendo parzialmente i denti, i polli si mettono a correre in tondo, le antilocapre stabiliscono un contatto testa-testa, la mangusta nana emette vocalizzazioni definite e le arvicole agresti addirittura usano i feromoni. Stupiscono la consapevolezza e l’intenzionalità con cui questi segnali vengono usati. I coyote, ad esempio, hanno stretti rapporti di dominanza e per questo i cuccioli di rango subordinato eseguono molte volte l’inchino a gioco già iniziato, allo scopo di chiarire che l’aggressione è solo finzione; oppure nei Canidi l’inchino si ripete sempre prima o dopo i gesti più fraintendibili, come quello di mordere e scuotere la testa. Giocare significa anche migliorare l’autocontrollo attuando comportamenti di autoimpedimento (self-handicapping), come morsi controllati, oppure creare situazioni immaginarie e distorcere le realtà (pretend play), quando ad esempio i gatti inseguono e mordono la propria coda fingendo si tratti di una preda. Dato che il gioco ricopre questi importanti ruoli e permette di sviluppare capacità cognitive, la sua assenza o un suo utilizzo non corretto (cuccioli cresciuti senza la madre) porta ad individui con problemi comportamentali o sociali, come dimostrato nei macachi rhesus. Solo i mammiferi o i vertebrati giocano? Una ricerca pubblicata su Animal Behaviour ha mostrato evidenze di attività ludica che soddisfa i 5 criteri di Burghardt persino nei bombi, comunemente considerati automi sempre indaffarati nella raccolta di polline e nettare. 45 bombi sono stati messi in uno spazio con del cibo raggiungibile attraverso un percorso libero o uno con delle palline di legno mobili. Nonostante non fosse necessario per ottenere la ricompensa alimentare, gli insetti (soprattutto giovani maschi) hanno interagito tantissimo con le sfere facendole rotolare. Nessuno ha mai allungato la proboscide sulle palline per cercare sostanze zuccherine, ha mostrato i genitali per accoppiarsi o ha spostato le sfere in precise direzioni cercando di portare ordine (come a volte accade). L’interazione con le palline era priva di scopo o meglio serviva solo a divertirsi. Forse l’unica informazione che non stupisce di questo studio è che persino nei bombi la passione per il calcio sembra essere principalmente maschile.

 

anche le orche giocano tra loro