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Elio Fabri commento a uno scritto di J. Langeneck "Il metodo e la democrazia: che fare?"

Il metodo e la democrazia: che fare?

di Elio Fabri


(commento del fisico E. Fabri ad uno scritto di Joachim Langeneck che trovate qui) - luglio 2014

 


Sono capitato per caso su questo articolo (1), solo perché ho sbagliato a cliccare. Ma visto l’ar­gomento, l’ho letto, e così ho scoperto che parla anche di me. Ecco il motivo di questo com­mento.

Su molte cose che Langeneck dice sono d’accordo; ma su diverse altre dissento. Per es. non credo che la situazione dell’Italia sia particolare. Possiamo cercare statistiche a favore del­l’una o dell’altra tesi, ma a mio parere il problema riguarda un po’ tutto il mondo (e limitia­moci pure al cosiddetto Occidente, visto che degli altri sappiamo assai poco). Per es. non credo affatto che gli USA se la passino meglio: di recente ho visto dati secondo i quali il 25% degli americani sono convinti che il Sole giri attorno alla Terra. E non parliamo delle loro idee in materia di origine dell’uomo... Ma anche sui Paesi europei, vorrei vedere da vicino: ho l’impressione che siamo un po’ troppo schiavi di un mito, che tutto e tutti in Europa siano meglio di noi. Vero in certi casi, ma non sempre; e per es. proprio sulla scuola avrei dei dubbi.

L. osserva che “una media di otto-dieci anni di obbligo scolastico apparentemente non sono sufficienti a permettere di capire perché il metodo sperimentale abbia delle caratteristiche che i fondi di caffè e le chiacchiere da bar non hanno”. Vero, ma che cosa si potrebbe dire dei risultati in altri campi? Padronanza della lingua, cultura storica o geografica ... cose tutt’altro che irrilevanti per orientarsi nel mondo globalizzato di oggi. Poi, che frazione delle ore sco­lastiche è dedicata all’educazione scientifica? Si possono fare molte critiche agli insegnanti, ma non possiamo chiedergli miracoli.

L. sembra convinto che ci siano stati “decenni di presentazione elitaria della ricerca e della conoscenza scientifiche”. Eppure libri e riviste divulgative non sono mai mancati: dalle vec­chie Edizioni Scientifiche Einaudi (poi Boringhieri) a riviste come “Le Scienze”, più altre meno serie ma sempre significative dal punto di vista di questa discussione.

A me pare invece che il vero punto dolente sia proprio la scuola, e ci torno fra un momento.

Dicevo che L. parla anche di me: lo fa prendendomi ad esempio, contrapposto a Dyson, per il mio atteggiamento, che a suo parere non permette “di apprezzare la differenza fra un fisico (o un biologo, o un geologo, o un chimico) ed un cartomante, vista l’aura di mistero e incomu­nicabilità con cui ambedue si presentano”.

Per inciso, ringrazio L. per avermi definito “bravo, competente ed impegnato in una lodevole quanto rara opera di divulgazione”, ma qui c’è un errore: io non sono impegnato nella divul­gazione, nel senso in cui ne stiamo parlando ora. In realtà gran parte del mio tempo, da diversi anni, lo spendo per cercare di migliorare l’insegnamento della fisica (e scientifico, in generale); perché sono convinto che se c’è una soluzione al grave problema posto da L. (il dilemma fra “metodo” e “democrazia”) questa si potrà avere solo nella scuola. È vero che faccio anche divulgazione, ma in un senso particolare; potrei chiamarla “divulgazione di alto livello”, se questo non suonasse ancora un po’ elitario. Ma intendo che il mio lavoro di divul­gazione (per es. attraverso gli scritti su Naturalmente) si rivolge in primo luogo a persone che hanno già una formaazione scientifica universitaria, e che quindi non sono assimilabili al grande pubblico: quello che voterebbe a favore di Stamina, se glielo si chiedesse.

L. giudica non troppo cortese la mia risposta a un ragazzo che chiede consiglio per qualcosa da leggere sulle stringhe. È vero, ed era voluto: quel ragazzo (se poi era un ragazzo: la mia era solo un’ipotesi) meritava una strigliata, perché dalla scuola non aveva imparato niente. Non sarà stata tutta colpa sua, ma un bel po’ sì: per il suo non rendersi conto dell’abisso che esiste tra quel pochissimo che lui può sapere di fisica e la mole di lavoro e di conoscenze che occorre non dico per capire la teoria delle stringhe (neppure io la capisco, del resto, e non me ne preoccupo, perché secondo me non vale la grandiosa diffusione che ha avuto) ma anche solo per capirne la motivazione, i problemi cui dovrebbe rispondere.

Quanto a Dyson, debbo fare una premessa. Il mio incontro con lui avvenne all’epoca della mia tesi di laurea, che fu proprio basata sui lavori — allora recentissimi — di Feynman, Schwinger, Tomonaga; e poi su quello di Dyson, che ne dimostrò l’equivalenza. Gli sono quindi debitore per il mio primo lavoro di ricerca. Allora Dyson non aveva 30 anni; ora ne ha oltre 90, e anche quando ha scritto quei saggi raccolti nel libro di cui parla L. aveva passato gli 80: era un’altra persona.

Non ho letto niente dei libri del Dyson “seconda maniera”, per cui non posso valutare la sua divulgazione. Ma dubito assai che in poche pagine possa aver scritto qualcosa di compren­sibile sulle stringhe. L. scrive: “magari io, da biologo, avrò capito meno di niente, ma ho fini­to il saggio con la piacevole sensazione di aver avuto, perlomeno, la possibilità di provarci, a differenza dello studente di cui sopra”. Che L. non possa aver capito nulla, è per me pratica­mente certo; che cosa possa significare “aver avuto la possibilità di provarci”, dovrebbe spie­garmelo. Una delle cose che da sempre rimprovero a molta divulgazione è proprio l’inganno: far credere a un lettore sprovveduto di aver capito qualcosa, di “essersi fatta un’idea”. Quando invece nella gran maggioranza dei casi ha solo frainteso, ha tradotto nelle sue cate­gorie mentali concetti che nella realtà scientifica hanno tutt’altro significato. Il che, detto tra parentesi, non è affatto innocuo.

Mi si potrebbe obiettare che L., in quanto biologo di professione, appartiene a una cerchia particolare — di cui parlo nella “Candela” 52 — costituita da persone che hanno una pratica scientifica, anche se in un campo diverso, e quindi conoscono almeno il significato della ri­cerca, la dialettica tra fatti e teorie, le caratteristiche del linguaggio scientifico... Era proprio per spiegare la differenza tra un lettore comune e uno con una formazione scientifica pro­fessionale, che feci l’esempio del (supposto) studente che vorrebbe capire le stringhe. Eppure, come ho già detto, quando si arriva a cose così sofisticate come appunto le stringhe, anche questa cerchia particolare non può andare più lontano dello studente di cui sopra.

Ma per la mia citazione ho da fare a L. un appunto più profondo. L’ha presa da una fonte che cita: un articolo su Naturalmente di 8 anni fa. Quell’articolo era tutto dedicato proprio al pro­blema di cui stiamo discutendo: l’ignoranza scientifica di massa, i possibili rimedi, le diffi­coltà, il ruolo della scuola. E non era neppure l’unico: allo stesso argomento (che da anni è centrale nel mio lavoro) ho dedicato, sulla stessa rivista, altre puntate: la 49 (2005), la 50 (2005), la citata 52 (2006), la 69 (2010) che è forse quella in cui ho trattato il tema in modo più approfondito. (2)

Ora chiedo: si può ridurre il mio pensiero e le mie motivazioni a una sola riga (per di più cita­ta in modo impreciso)? Tra l’altro quel botta e risposta faceva parte di un “thread” che già da solo approfondiva il tema: se volete vederlo, andate in groups.google.it, cercate “it.scienza.fisica” e poi “persiana”. Arriverete al thread “consigliatemi un libro di Hawking”, che conta 17 post, tra l’8 e il 21/4/2006.

Come ho già detto, la mia posizione è netta: non credo nella cosiddetta divulgazione, nel modo come viene correntemente intesa, per ragioni che ho diffusamente spiegato in quegli scritti e che qui non posso neppure riassumere. Mi limito a una tesi essenziale: la scienza mo­derna, almeno da un secolo a questa parte (ma anche di più, specialmente per la fisica) è una struttura assai complessa, che non può essere ridotta a poche o molte pagine di articoli o libri. Per di più evitando come la peste numeri e formule... Richiede invece un accostamento gra­duale e sistematico, che può passare solo attraverso la scuola. Il che non significa che oggi la scuola riesca ad adempiere al compito, tutt’altro. Ma ciò non toglie che solo la scuola po­trebbe farlo.

Sembrerebbe che anche L. la pensi allo stesso modo, quando dice che “la scienza non è democratica” e che “il metodo [scientifico] non è più ovvio”. Tuttavia sembra credere che qualche pagina di Dyson possa permettere ciò che la mia posizione non permette: “apprez­zare la differenza fra un fisico (o un biologo, o un geologo, o un chimico) ed un cartomante”. E prosegue: “vista l’aura di mistero e incomunicabilità con cui ambedue si presentano; pre­tendere che una persona che ha ricevuto solo una formazione di base sia in grado di apprez­zare la differenza fra i due approcci e di capire perché uno funziona e l’altro no mi sembra quanto meno discutibile”.

Secondo me L. sbaglia, in due sensi. In primo luogo, io non pretendo niente del genere, anzi. Come ho già detto, da decenni spendo non poche energie per far sì che la scuola riesca a svol­gere quel ruolo formativo che ritengo indispensabile. Ma non solo: da diversi anni partecipo alle discussioni che si svolgono in internet, nei cosiddetti “newsgroups” (incidentalmente, ne ho parlato nella puntata 23 (1999) della “Candela”). Lì capita di tutto: ci sono persone com­petenti, con le quali si può ragionare su vari problemi, a un livello approfondito, anche se ne­cessariamente veloce; ci sono dilettanti più o meno preparati ma seriamente interessati a ca­pire, che pongono questioni alle quali a volte non è facile rispondere: bisogna fare qualche calcolo, consultare testi, informarsi su risultati recenti... Poi ci sono le domande più semplici e magari ingenue, ma alle quali non rifiuto di rispondere quando indicano (a mio giudizio) un atteggiamento sensato verso la scienza. Ci sono numerosi equivoci, quasi sempre provocati dalla lettura di libri divulgativi, ai quali bisogna dare risposta, cercando di fornire almeno una prima impostazione del problema secondo linee scientificamente corrette (molto spesso si tratta di questioni di relatività e cosmologia).

È interessante che su questa linea si è costituita da tempo una comunità di persone di varie competenze professionali, più o meno esperte in vari campi (parlo sempre di fisica) che si danno spesso il cambio nell’intervenire nelle direzioni che ho accennato.

Ma poi ci sono una serie di altri personaggi, di varie caratteristiche, ma tutti uniti da un atteg­giamento comune: loro hanno la risposta ai grandi problemi, che la “scienza ufficiale” rifiuta di ascoltare, perché costituisce una casta chiusa, eccetera eccetera. Si tratta sempre di persone di un’ignoranza abissale, di cui spesso neppure si rendono conto (mentre altre volte ne fanno un presunto punto di forza). Con questi di solito mi comporto così: inizialmente tento un dia­logo, faccio qualche sforzo di spiegazione, di critica, di convinzione. Poi, quando vedo che si tratta di irriducbili, semplicemente li ignoro (tecnicamente, li metto nel “kill file” del mio cli­ente di posta, così che i loro messaggi neppure mi appaiono).

Occasionalmente capita qualcuno come quello che L. ha preso ad esempio: secondo la mia ipotesi, un liceale che ha letto qualcosa (al solito, di divulgativo, magari in qualche rivista scadente) e ne è rimasto sedotto. Per cui chiede consigli di lettura, per saperne di più.

Il mio atteggiamento in questi casi varia, a seconda dell’umore del momento, della fase della luna, di non so che altro. Può darsi che decida di spendere un discorso per cercare di portare il richiedente a capire che la sua domanda è mal posta (come capita spesso), o che non è quel­lo che deve chiedere come problema centrale, o che prima di arrivare a quel punto deve fare un lungo percorso... Non di rado dico qualcosa come “se davvero t’interessa capire queste cose, hai una sola strada: studia fisica all’università (e potrebbe non bastare)”.

Altre volte, magari perché ho già incontrato la stessa situazione a breve distanza di tempo, tendo a essere più sbrigativo, come è accaduto nel caso di cui stiamo trattando. Non sarà del tutto lodevole, ma che volete farci? Nessuno è perfetto :-)

C’è anche da dire che la questione delle stringhe m’innervosisce particolarmente, e ora vorrei spenderci qualche parola. Cercherò di essere breve, e quindi forse incomprensibile, ma non vedo alternative...

Il punto centrale secondo me è questo. La teoria delle stringhe (che poi nel tempo ha avuto molte varianti, ampliamenti, generalizzazioni...) conta ormai circa 40 anni di età. È un teoria estremamente complicata da un punto di vista matematico, e assai sfuggente dal punto di vista fisico. Spiego velocemente la seconda asserzione: la definisco “sfuggente” perché il confronto della teoria con l’esperimento è a dir poco problematico; richiede condizioni speri­mentali che distano per molti ordini di grandezza da quelle oggi realizzabili. Si tratta quindi di una teoria ad oggi inverificabile (non lo dico io, lo dicono quelli che ci lavorano) mentre al tempo stesso pretende di fornire una spiegazione globale di tutti i fenomeni fisici al livello delle particelle e delle interazioni fondamentali, gravità inclusa. Anche la complicazione ma­tematica fa la sua parte, perché per vari aspetti gli stessi ricercatori che se ne occupano fati­cano assai a comprendere l’interpretazione delle equazioni di base: è stato uno degli autori principali, Witten, a dire che la teoria delle stringhe verrà capita forse fra 100 anni. Anche se l’ha detto poniamo 20 anni fa, ne restano ancora 80: aspetta e spera...

Nonostante ciò, la teoria è oggetto di ricerca da parte di un gruppo numeroso di fisici teorici, sono stati scritti numerosi articoli e non pochi libri, anche di livello “divulgativo” (mai come qui le virgolette sono d’obbligo...). Ne cito solo uno, che sembra abbia venduto milioni di copie: Luniverso elegante di Brian Greene. Cito questo perché l’ho letto (contribuendo al suo successo...) e quindi posso parlarne con cognizione di causa. Il mio giudizio, stringatissimo, è una completa bocciatura: io, che sono di mestiere un fisico teorico, anche se ormai vecchio, ci ho capito solo quello che già sapevo, e ci ho trovato anche non trascurabili svarioni. Che cosa possono averci cavato gli altri milioni di lettori? A mio parere niente del tutto, anche se avranno avuto un’impressione diversa (e questo è il lato peggiore della storia...).

Entrambi i fenomeni (il gran numero di ricercatori, e il grande succcesso di pubblico) meri­terebbero un esame e un tentativo di spiegazione, che non posso fare qui. Ma entrambi spie­gano quello che ho scritto sopra, ossia che la teoria delle stringhe m’innervosisce.

Un’altra cosa debbo aggiungere, ed è che secondo me quella teoria prende una strada sba­gliata. Naturalmente non posso dimostrarlo, è solo un’impressione. Ma sono convinto che il tentativo di conciliare le due grandi teorie del 20-mo secolo, ossia la m.q. e la rel. generale, quando avrà successo, lo avrà perché sarà stata presa una strada del tutto diversa. Sono ormai passati quasi 90 anni dalla nascita della m.q., e siamo ormai al centenario delle rel. generale: un tempo lunghissimo, vista l’accelerazione nella ricerca e l’aumento dei ricercatori che vi lavorano. Così come, circa un secolo fa, entrambe quelle teorie si sono basate su una revi­sione di fondo dei paradigmi delle fisica esistente, non ho alcun dubbio che la stesssa cosa dovrà accadere per la nuova teoria di cui si va in cerca. Invece la teoria delle stringhe (e an­che la sua principale concorrente, la loop quantum gravity) continuanao a basarsi sulla m.q. Questo secondo me è un grave errore, che si può spiegare facilmente con l’attuale organiz­zazione della ricerca (mi scuso se non posso approfondire) ma rimane un errore, che a mio giudizio blocca proprio il conseguimento dell’obbiettivo.

È ora di chiudere, visto che l’ho fatta anche troppo lunga. Eppure ce ne sarebbero ancora di cose da dire... Non so quanti avranno avuto la pazienza di leggere fin qui, ma s’intende che sono aperto alle critiche, alle confutazioni, comunque a un seguito della discussione.

Solo come poscritto, e per mostrare che anche nei riguardi della scuola si può avere solo l’ottimismo della volontà, continuamente contrastato dai fatti, segnalo qualcosa che mi è stata indicata di recente. Si tratta di un intervento nel corso delle celebrazioni per il 90-mo anni­versario della fondazione del Liceo Scientifico e Linguistico “Principe Umberto di Savoia” (ma che razza di nome!) di Catania.

https://www.youtube.com/watch?v=O5Sn2TJ0mc4

La conferenza era intitolata “La validità degli insegnamenti mistici alla luce della fisica quan­tistica”. Relatori: Franco Battiato e un non meglio identificato Andrea Di Stefano. Scanda­loso è dir poco, ma di sicuro ce ne sono tanti altri di cui non sono a conoscenza. Purtroppo la scuola è anche questo...

 

 

 


 

(1) J. Langeneck, https://www.naturalmentescienza.it/sections/?s=303

(2) Chi non avesse accesso alla rivista, troverà tutte le 82 puntate della “Candela” che ho scritto finora, all’indirizzo https://www.df.unipi.it/~fabri/sagredo/candela